lunedì 20 ottobre 2025

MOREA, LA REGIONE PERDUTA DEGLI ALBANESI

 

La Morea, l'antica penisola del Peloponneso, un tempo ospitava villaggi e città albanesi che ne ricoprivano colline, montagne e coste. Ancor prima dell'esistenza dei greci, era il luogo in cui gli Arbëri, figli dell'Illiria, della Macedonia e dell'Epiro, costruirono le loro vite, le loro chiese, le loro torri e i loro canti fin dai tempi antichi, finché le tempeste delle invasioni non li travolsero.

Sotto i Turchi, sotto i Veneziani e poi sotto il moderno falso stato greco, gli albanesi della Morea come anche quelli dell'Epiro, furono oppressi, dispersi, costretti a rinnegare la loro lingua madre e le loro radici Arbërore.

L'immortale canto "O bella Morea" è rimasto a ricordo di una terra che non parla più albanese, ma dove ogni pietra e ogni montagna un tempo aveva la voce degli Arbëri. ⬇️
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Da questa antica terra di Morea, dall'Epiro, e da tutte le terre abitate da albanesi, i suoi figli partirono verso l'Italia e l'antica Arbëria, portando con sé il canto, il sangue e la memoria.

Morea non è solo un toponimo dimenticato nella storia: è la ferita e l'orgoglio di un popolo e una nazione, quella albanese, che un tempo si estendeva fino al Golfo di Laconia e alle coste dell'Argolide.

Oggi ci ricorda che l'antica Albania era più vasta dei suoi attuali confini e che il ricordo degli Arbëreshë è la prova più evidente che la Morea, come anche l'Epiro, era territorio albanese, la patria perduta dell'Arbëria meridionale.

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giovedì 16 ottobre 2025

PERCHÉ IL PELOPONNESO NON HA UN NOME GRECO E PERCHÉ NON È MAI STATO UN TERRITORIO GRECO?


Siamo in tempi pre-ellenici, ed ho già detto tutto!!! La storia inizia con Tantalo, il padre di Pelope, che si dice fosse proprietario di una miniera d'oro sul monte Sipulo, in Anatolia, nell'attuale Turchia. A quale tribù, a quale popolo, apparteneva Pelope secondo gli autori antichi?


In una testimonianza secondo Erodoto:

Serse dà questa risposta ad Artabano quando discutono su come sconfiggere i loro avversari:

"se conduco un esercito contro questi uomini, uomini come Pelope, il Frigio, (Brigje), che era uno schiavo dei miei antenati..." secondo Erodoto, libro 7, capitolo 11.

La successiva prova proviene da Strabone:

“I confini di questi territori sono stati così confusi tra loro che ho spesso detto che è incerto se il territorio intorno al monte Sipulo, che gli antichi chiamano Frigia, facesse parte della Frigia Maggiore o Minore, dove i Frigi dicono che vissero Tantalo, Pelope e Niobe.”, secondo Strabone, Geografia, libro dodicesimo, capitolo 4.

"Mentre si diceva che Pelope fosse stato esiliato nel Peloponneso, è accettato che Tantalo, sebbene scacciato dalla Paflagonia da Ilo, frigio, rimase sulla costa orientale dell'Egeo." Un fatto che, basandosi su scritti ittiti, Mary Elizabeth Cooper riporta nell'opera "Uhha-ziti, re di Arzawa; Tantalo, re di Lidia".

Apollodoro scrive: “Quando Pelope giunse all'oceano, essendo stato scacciato da Efesto, tornò a Pisa, in Elide, e riuscì a prendere il regno di Enamo, ma non prima di aver sottomesso quella che era chiamata Apia e Pelasgio, che lui (Pelopo) chiamò Peloponneso dal suo nome.” secondo Apollodoro, Library Epitome, tradotto da J.G.Frazer.

Secondo Tucidide, “Quei Peloponnesiaci che conservano tradizioni accurate dicono originariamente che Pelope accrebbe il suo potere grazie alle grandi ricchezze che portò con sé dall'Asia in un paese povero dove, sebbene straniero, poté dare il suo nome al Peloponneso e di questa grande fortuna godettero i suoi discendenti dopo la morte di Euristeo, re di Micene, ucciso in Attica dagli Eraclidi.

Atreo (figlio di Pelope) era stato bandito dal padre a causa dell'assassinio di Crisippo.

Euristeo non fece mai ritorno e i Micenei, che avevano paura degli Eraclidi, erano pronti ad accettare Atreo, considerato un uomo potente.

Riuscì così a impadronirsi del trono di Micene e degli altri possedimenti di Euristeo.

La casa di Pelope trionfò su quella di Perseo. Questo accadde, credo, perché Agamennone ereditò questo potere, sebbene fosse in grado di organizzare una spedizione, e gli altri principi lo seguirono non per il bene, ma per paura. " Secondo Tucidide, Storia della guerra del Peloponneso, libro 1, capitolo 9, tradotto da Benjamin Jovett.

Quindi il Peloponneso non ha un nome greco ma frigio.

Atreo ed Erope ebbero i figli Agamennone, Menelao e Anassibia.

Menelao, inizialmente con l'aiuto di Agamennone, diventa re di Sparta e prende in moglie Elena, che in seguito viene rapita dal principe dardano Paride e da Alessandro.

Sempre nel Peloponneso, si stabilirono i Dardani, esiliati per motivi di guerra sull'isola di Tenedo, di fronte a Troia, e condotti prigionieri a Micene da Agamennone. Questi Dardani chiamarono il loro nuovo insediamento Tenea e in seguito furono esiliati in Italia. ⬇️
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Micene e Sparta erano due potenti regni di sangue per metà frigio, i cui re al tempo della guerra di Troia erano discendenti dei primi re dardani di Troo e Ilo.

Il re dardano Priamo ebbe in moglie Ecuba, della tribù frigia dei Brigi.

Le due tribù principali dell'Anatolia, i Dardani e i Frigi, i Brigi, vivevano fianco a fianco nell'Illirico.

Questa prova delle origini di Pelope e dei regni di Micene e Sparta chiarisce meglio chi combatté contro chi a Troia e quali legami di sangue avessero i Dardani, avversari di Troia, con Micene e Sparta.

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sabato 11 ottobre 2025

SHËN MËRIA KËTJE LARTË (LA MADONNA DI LASSÙ)

 

Sono andato a visitare uno dei luoghi più suggestivi della zona del Pollino, esempio della vita religiosa eremitica e contemplativa di questo territorio. I ruderi del Santuario della Madonna degli Aramei o delle Armi, meglio conosciuto come Eremo della Madonna di Lassù o “Shën Mëria Këtje Lartë”, dall’idioma albanese ancora in uso tra la minoranza etnica locale, si trova incastonato tra le rocce del Timpone del Corvo a nord del borgo Arbëresh di Frascineto, ad un’altezza di circa 850 metri s.l.m.. Questo affascinante luogo di culto, risalente a prima del X secolo, veniva utilizzato come asceterio dai monaci Cristiani Ortodossi provenienti dall'Oriente, dediti all'ascetismo e ad una vita mistica, prima dell'invasione cattolico-normanna, quando il sud Italia era interamente Cristiano Ortodossa.

Il titolo “Madonna delle Armi” deriva dal Koinè ecclesiastico Των αρμων (Tōn armōn) ossia "delle grotte, degli anfratti", con riferimento alle cavità presenti sulle pendici franose delle Piccole Dolomiti di Frascineto. Invece per quanto riguarda il termine “Aramei” potrebbe riferirsi a quell'antica popolazione, nominata più volte nell’Antico Testamento, che abitava nella Mesopotamia e nelle zone dell’attuale Turchia e Siria. Dapprima adoravano diverse divinità Babilonesi, successivamente furono uno dei primi popoli ad abbracciare il Cristianesimo Ortodosso.

Negli anni dell’Iconoclastia e poi ai tempi della minaccia turca, la Calabria e la Puglia divennero le principali terre d’asilo dei monaci Ortodossi che, per sfuggire alle persecuzioni, furono costretti ad abbandonare le loro terre, attraversare il mare, e nascondersi in luoghi solitari e facilmente difendibili. In cinque secoli la Calabria si popolò di anacoreti in ogni angolo sperduto del suo territorio e uno dei luoghi scelti da questi mistici fu proprio il territorio di Frascineto, inserendosi nel vasto panorama degli insediamenti rupestri dell'antica Calabria Ortodossa. 

Le celle interne presenti inizialmente, sono da ricollegare ai diversi tipi di vita religiosa, che vanno dal completo isolamento della vita eremitica, ad un’esistenza quasi cenobitica che riuniva più monaci in una comunità monastica organizzata. Per l’adattamento da antico asceterio a luogo di culto, fu chiusa l’apertura della spelonca naturale sulla pietra calcarea, dove erano scavate le celle, con un muro prospettico perfettamente mimetizzato nella roccia. L’ampia caverna è divisa in due piani, ora poco evidenti, con la parte inferiore adibita a chiesa e con il piano superiore in cui si aprivano le celle. Questo si deduce dai buchi presenti nel muro in cui erano infilate le travi che reggevano il pavimento del secondo piano. All’interno della struttura si possono notare ancora i muri divisori con coperture a spiovente. Due arcate centrali e un altare sono ormai quasi irriconoscibili. 

Di fronte a questa bellissima struttura è inevitabile il richiamo alla mente delle cappelle rupestri Armene, più precisamente al monastero di Gheghrd, la cui unica differenza è semplicemente il sistema di pietre a croci (Khatchar) che chiude le entrate. 

Un incavo serviva per raccogliere l’acqua che sgocciolava dalla volta: una singolare acquasantiera che si riempiva tramite l’acqua che scivolava su una costola naturale presente nella parete rocciosa. 

Gli anziani del luogo affermano che in passato si poteva ammirare nella grotta un affresco raffigurante una bellissima Icona Ortodossa della Madre di Dio oggi del tutto scomparsa. 

Accanto al santuario rupestre è presente una grotta dove per tradizione nella seconda domenica dopo Pasqua, i fedeli di Ejanina, frazione di Frascineto, sono soliti celebrare un rito religioso risalente al loro passato Ortodosso; dopo aver pranzato ai piedi del santuario, riscendono in paese intonando antiche rapsodi e canti popolari Albanesi dedicati alla Madre di Dio, ma anche alle possenti querce che offrono ombra e ristoro, mentre si svolge la danza tipica popolare Arbëresh, conosciuta come Vallja, una ridda colorata che rievoca una grande vittoria riportata da Giorgio Castriota Skanderberg contro gli invasori Turchi il 27 aprile 1467.

Durante il tragitto, grazie alle suggestioni che il paesaggio offre, ci si immerge come per incanto in un’atmosfera d’altri tempi e si pensa alle difficoltà che dovettero affrontare quei monaci relativamente alla viabilità, ma anche allo svolgimento delle semplici mansioni quotidiane in un luogo così estremamente impervio. Gli asceti, però, qui trovarono un’oasi di pace facendo crescere sempre di più l’abbazia in onore dell’Apostolo Pietro, oggi situata vicino al cimitero comunale e dichiarata Monumento Nazionale, che, anche se rimaneggiata nei secoli, ci offre ancora peculiari testimonianze Ortodosse, come la particolare cupola con calotta a gradoni concentrici, rastremati e coperti di tegole.

Dopo l'invasione Cattolico-normanna, cacciando i monaci Ortodossi, la chiesa di San Pietro fu presa dai cattolici. Furono proprio i preti cattolici dell’abbazia di San Pietro ad accogliere e assegnare le terre ai profughi Albanesi Ortodossi che giunsero alle pendici del Pollino nel XV secolo, creando il primo nucleo da cui nascerà l’attuale Frascineto. Col tempo anche gli Arbëresh furono assorbiti dal cattolicesimo mantenendo qualche antica tradizione a ricordo del loro glorioso passato Ortodosso.  

Purtroppo questo sito è in completo stato di abbandono e la sua non facile accessibilità lo rende ancor di più incline ad essere dimenticato. Solo gli avventurosi che tenacemente si spingono fin “lassù” (Këtje Lartë), tra monumenti e balze rocciose dalle forme maestose e bizzarre che danno l'impressione di trovarsi realmente sulle Dolomiti, riescono a godere della santa atmosfera del luogo, pregna di un palpabile e avvincente misticismo.




giovedì 2 ottobre 2025

LA GJITONIA: IL CUORE DELLE COMUNITÀ ARBËRESHE 🇦🇱

 

🌿 La Gjitonia (parola Arbëresh che significa “vicinato, comunità di case e famiglie”) è molto più di un semplice quartiere: è l’anima sociale e culturale dei paesi Arbëresh fin dall'antichità. Rappresenta il luogo della condivisione, della solidarietà e dell’identità collettiva, un vero e proprio microcosmo in cui la vita quotidiana si intrecciava con i valori della comunità.

La radice semantica della parola Gjitonia è la parola albanese Gji che significa "Seno Materno" o "seno" in generale. Dalla radice albanese Gji seno, provengono le parole Gjirì, Gjiton, Gjitonia. 

Gjirì che dall'Arbëresh si traduce come "parente" o "parente stretto", è l'unione delle parole Gji=seno e Ri=nuovo, che letteralmente dovrebbe significare, "un nuovo seno" o "una persona nata dallo stesso seno".

Gjiton che dall'Arbëresh si traduce come "vicino" o " vicino di casa", è l'unione delle parole Gji=seno e Ton=nostro, ovvero Gji Ton che letteralmente significa " del nostro seno" o "che fa parte del nostro seno".

Gjitonia invece è formato dalle parole albanesi Gji=seno + Ton=nostro e -ia=suffisso che indica un luogo abitato e letteralmente può tradursi come "il luogo del nostro seno materno".

La Gjitonia anticamente era il luogo in cui abitavano i parenti dello stesso seno. La Gjitonia che ora si traduce con "vicinato" era il luogo o spazio abitativo in cui abitavano i parenti della stessa famiglia, dallo stesso seno, dato che prima erano numerose e prevaleva spesso una nutrice. 

Quindi quello che dice il signor Avato assumendo che la parola Gjitonia è una parola di origine greca è completamente falso. Egli dice che deriva dal greco Γειτονιά che a sua volta deriva dal greco antico γείτων legato alla vicinanza fisica ed alla convivenza urbana. Ma questo è totalmente sbagliato perché come ho dimostrato sopra la radice semantica di questa parola si trova esattamente e perfettamente nell'Albanese e nei suoi suffissi e non nel greco, perché rispetto alla lingua Albanese il greco è una lingua tarda piena di prestiti.

Quindi è tutto il contrario, la parola greca che lui cita deriva proprio dall'Albanese essendo l'albanese più antico del greco e dato che la radice semantica della parola si trova perfettamente nello stesso albanese e non nel greco, e cosa importante l'albanese era la lingua più parlata nei Balcani e nel moderno stato greco prima che fosse perseguitata e cancella da questo. Il signor Avato essendo un uniata filogrekko si è pure dimenticato la sua lingua oltre le sue radici e ora sta cercando di distruggere le nostre radici giocando sull'ignoranza delle persone inventandosi queste fesserie. I linguisti che lui cita evidentemente si sono dimenticati dell'antichità della nostra bellissima lingua che contiene i semi delle lingue europee e che precede di millenni il greco e il latino.

Gjitonia è una parola puramente Albanese-Arbëresh e non greca.

Cordiali saluti. 🙏🏽