giovedì 29 febbraio 2024

VISITA ALLA MADONNA DEL CASTELLO - Castrovillari

 

Visita all'Antica città Ortodossa di Neon Sassonion, oggi conosciuta come Castrovillari, nell'estremo oriente mercurense. 🐂☿🔯🔥

In alcune antiche pergamene greche conservate a Castrovillari vi è scritto che l'attuale città di Castrovillari era anticamente chiamata Neon Sassonion cioè La Nuova Sassonia. Quindi si presume che i monaci Ortodossi che prima fondarono l'Antica Cittadella di Sassonia, a pochi chilometri da lì, si spostarono ed edificarono la Neon Sassonia, quella che oggi è il centro storico di Castrovillari.

Nelle vicinanze vi si assediarono i romani costruendo delle ville fortificate da cui poi l'area prenderà il nome di Castrum Villari appunto "Fortezza delle Ville".

Sulle pendici sud‐orientali del colle di Santa Maria del Castello vi sono diverse grotte che sono state abitate dai monaci eremiti Ortodossi italogreci: in esse si può vedere ancora oggi il piccolo rialzo che serviva da cuccetta e il piccolo incavo che doveva contenere le icone sacre e la lucerna. 

Quando il colle cominciò quindi ad essere popolato dai villici delle campagne vicine, la vita solitaria e silenziosa dei monaci Ortodossi eremiti divenne difficile, allora essi decisero di trasferirsi su altre colline e montagne, o in monasteri vicini. Molti si diressero sul massiccio dell'Orsomarso, vicino ai fiumi Lao e Mercure, alla famosa eparchia monastica del "Mercurion". 

I monaci Ortodossi che vi rimasero eressero diverse Chiese e Castrovillari rimase comunque Ortodossa fino all'arrivo dei Normanni in combutta con i cattolici romani.

Allontanandosi da Castrovillari i monaci perseguitati dovettero lasciare sul luogo diversi oggetti di devozione tra cui anche un'immagine della Madonna che essi stessi avrebbero dipinto sulla parete di una piccola e rustica cappelluccia vicino le grotte.

Su una collinetta che si eleva sui 350 metri, dove anticamente vi risiedevano i monaci Ortodossi oggi si trova Il Santuario cattolico di Santa Maria del Castello – detto comunemente Madonna del Castello. 

L’edificio fu costruito nel 1090, per ordine del conte Ruggero il Normanno (figlio di Roberto il Guiscardo) detto il Borsa, con l’intenzione di costruire una fortezza che sorgesse nel punto più alto della città, per difendersi da attacchi e incursioni nemiche e per meglio proteggere la sua corte dall’ostilità del popolo castrovillarese verso la dominazione cattolico-normanna. Note sono, infatti, le imprese che i Normanni dovettero condurre più volte e per lunghi anni prima di impossessarsi della città di Castrovillari, dotata di possenti fortificazioni e di una coraggiosa resistenza degli abitanti, successivamente arresi agli assedi dei conquistatori soltanto perché esasperati dalla fame.

I Normanni, con la complicità della chiesa cattolica, conquistarono la città nel 1064 dopo il lungo assedio di Roberto il Guiscardo, e dopo che già quasi tutta la Calabria era finita nelle loro sanguinose mani. Ma anche negli anni seguenti la città fu contesa dai successivi principi normanni: Guglielmo Arenga si ribellò a Roberto Il Guiscardo nel 1073 il quale, impegnato nella presa di San Severina, mandò il figlio Ruggero ad assediare Castrovillari; quest’ultimo, succedendo al padre nel 1085 e memore della lunga e indomita resistenza della città, ordinò che sulla sommità del colle sorgesse un possente castello per tenere in soggezione i cittadini. È il 1090 quando gli operai inviati dal conte Ruggero cominciarono a gettare le basi della temuta fortezza, inasprendo l’ostilità degli abitanti.

La tradizione racconta, però, che durante i lavori di edificazione ordinati dal Borsa, le mura della fortezza costruite durante il giorno crollassero misteriosamente durante la notte. L’accaduto suscitò lo stupore del conte che, inorgoglito, ordinò alle maestranze di scavare più a fondo nella roccia per rinforzare le fondamenta del castello. Scavarono fino a raggiungere le antiche grotte degli ultimi monaci Ortodossi che erano fuggiti alla loro persecuzione. E fu durante l’ultima fase di scavi che avvenne il ritrovamento, ad opera degli operai che eseguivano i lavori, di un’immagine raffigurante la Madonna col Bambino, dipinta su un pezzo di muro. Dinnanzi all’apparire della sacra immagine, gli operai caddero in ginocchio, il popolo accorse e gridò al miracolo. La scoperta, considerata prodigiosa, creò il presupposto per l’insurrezione dei cittadini contro la costruzione della fortezza e la dominazione.

Fu proprio in questo momento che i cattolici romani in combutta con i normanni ne approfittarono per far sì che con l'inganno la città venisse conquistata.

Grazie al vescovo di Cassano Sassone, Vicario del Papa Urbano II e amico del conte Ruggero, che accolse la causa di ribellione del popolo castrovillarese, il conte ordinò che al posto del castello fosse costruito un santuario cattolico al centro del quale fu posta l’immagine della Madonna che, da quel momento in poi, fu detta del Castello. 

Il popolo castrovillarese, fu così fatto fesso e contento; i normanni si impossessarono della città e i cattolici romani finirono l'opera di cattolicizzazione e sottomissione al Vaticano del popolo castrovillarese.

Nonostante ormai da secoli Castrovillari sia diventata cattolica, le radici dell'Ortodossia e del santo lavoro dei monaci Ortodossi guidati solo da Cristo, rimangono lì da sempre nel silenzio, testimoniati nella bellissima Immagine Ortodossa da tutti venerata. 𓋴𓈖𓃀𓏜𓎟

martedì 27 febbraio 2024

L'INFLUENZA AFRICANA SULLA CONOSCENZA (cosìdetta) "GRECA".


Talete di Mileto è considerato il primo filosofo occidentale. Si recò a Kemet (Egitto) come dichiarato da lui stesso e consigliò ai suoi studenti di andare in Egitto per studiare. Diodoro Siculo, lo scrittore "greco", venne in Africa e soggiornò ad Anu in Egitto. Ha ammesso che molti di coloro che sono "celebrati tra i greci per l'intelligenza e la cultura" hanno studiato in Egitto.

Quando gli egiziani terminarono di costruire le piramidi nel 2500 a.C., passarono 1.700 anni prima che Omero, il primo scrittore così detto greco, iniziasse a scrivere L'Iliade, il classico europeo. Si dice che Omero abbia trascorso sette anni in Egitto e abbia studiato legge, filosofia, religione, astronomia e politica. Molti dei grandi filosofi europei studiarono in Egitto perché era la capitale educativa del mondo antico. È noto che Pitagora trascorse più di 20 anni in Africa. Quando Socrate scrisse dei suoi studi nel libro Buciro, ammise categoricamente: "Ho studiato filosofia e medicina in Egitto". Non ha studiato queste materie in "Grecia" che come stato non esisteva, ma in Africa!

Nel campo della medicina, gli africani (antichi egizi) scrissero libri di medicina come il papiro Hearst (7a dinastia 2000 a.C.), il papiro Kahun (12a e 13a dinastia 2133-1766 a.C.) che contiene trattamenti ginecologici, e il papiro Ebers (18a dinastia 1500 a.C.).

Sulle pareti del Tempio di Kom Ombo hanno lasciato registrazioni degli strumenti medici originali utilizzati nelle loro operazioni. Questi strumenti sono costituiti da pinze, coppette ad aria, coltelli, spugne, forbici, tricipiti, una bilancia per pesare porzioni di medicinale, un divaricatore per separare la pelle, una sedia da parto e l'origine del moderno simbolo di prescrizione RX.

Nel 47 a.C., i medici dell'antica Kemet fecero nascere il figlio di Cleopatra VII chiamato Cesarione ("Piccolo Cesare"). La procedura medica eseguita da questi medici africani per far nascere questo bambino prese il nome da Piccolo Cesare, da cui ora abbiamo il termine medico "Parto Cesareo".

Quando i medici africani scrivevano questi testi medici ed eseguivano tutte queste operazioni mediche, Ippocrate, ilcosì detto greco (ora considerato il "padre della medicina") non era ancora nato, fino al 333 a.C., quasi 2.000 anni dopo.

DEREK 🔯🔥
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YANITZA 🔯🇦🇱


Ecco un'altra eroina albanese che ha ispirato l'Europa con la rivolta contro gli ottomani. Un'altra delle tante prove che gli Arbëresh, discendenti dall'unica antica società matriarcale d'europa, non solo uomini ma anche donne, guidarono le rivolte contro gli invasori ottomani nel corso della storia.

Questa stampa intitolata "Yanitza, la Giovanna d'Arco albanese" raffigura un momento potente della storia. Nell'immagine vediamo Yanitza, una giovane donna coraggiosa e determinata che ha assunto il ruolo del padre defunto per condurre una battaglia vittoriosa contro i turchi. Il suo straordinario coraggio ispirò Paul Paray a comporre una cantata in suo onore, che vinse il prestigioso Prix de Rome nel 1911. Durante questo periodo, l'Albania rimase sotto il dominio ottomano fino alla sua indipendenza nel 1912. La storia di Yanitza simboleggia non solo la sua lotta personale ma riflette anche la lotta più ampia per la libertà e l'indipendenza all'interno dei Balcani. L'immagine raffigura un intenso confronto tra le truppe montenegrine e le forze turche. Mostra Yanitza come una vera eroina che guida i suoi compagni ribelli con incrollabile determinazione. L'immagine è piena di azione e agitazione mentre i soldati si scontrano l'uno contro l'altro nella loro lotta per la liberazione. Questa immagine storica serve a ricordare lo spirito indomabile che risiede negli individui disposti a opporsi all'oppressione e a combattere per ciò in cui credono. Il coraggio di Yanitza continua a ispirare generazioni anche oggi, ricordandoci la nostra capacità di resilienza e forza di fronte alle avversità.

lunedì 26 febbraio 2024

APPELLO A TUTTI GLI ARBËRESH 🔯🇦🇱

 

“KRISHTIN NA KEMI ME NE ……”
KUR EDHËTIN PRINTË TON NDË TALLIET ISHIN GJITHË ORTODOSË
SUALLTIN ME TA: BESIN – LIRIN – FLAMURIN     
             
 QISHA ORTODOSE PIR ARBËRESHTË:
"ME TË JEMI MË SHËPIT TON" !!!

"Già nel recente passato, o Fratelli italo-albanesi, vi ho informato ed erudito sulla nostra condizione riguardo la vera ed unica Fede. Quella Fede che i nostri Avi venendo dalle regioni della Grecia e dell’Albania nel Regno delle Due Sicilie, hanno portato e mantenuto con grandi stenti e patimenti a causa delle mire distruttrici ed espansionistiche sia dei vescovi latini, sia dei signorotti locali alleati dei vescovi.

Quella non era altro che l’Unica, Santa ed Apostolica Fede di N.S.G.C., e lo è ancora, per cui valeva la pena combattere tenacemente (esempio lampante il Santo Martire di Spezzano Albanese Arciprete Padre Nicola Basta) in quanto riusciva ad unire un popolo, stremato da decenni di guerre contro i turchi, in terre straniere e non sempre ospitali.

Non dobbiamo dimenticare tanti nostri sventurati paesi che non sono riusciti, nonostante abbiano combattuto fortemente contro un avversario subdolo, ad arrivare a mantenere ciò di cui andavano orgogliosi (S. Caterina Alb., Spezzano Alb., Cerzeto ecc.).

 Purtroppo loro hanno dovuto soccombere ed in alcuni casi oltre a perdere la Fede, hanno subito anche la sfortuna e la beffa di dover dimenticare la lingua.

FEDE - LINGUA: un binomio inscindibile ed indissolubile per non perdere in modo definitivo ciò che resta della nostra Cultura, delle nostre Tradizioni, delle nostre Memorie, del nostro Patrimonio Linguistico e della nostra ricchezza Spirituale.

LINGUA: ovvero quel poco che ancora riesce ad essere parlata nei nostri poveri paesi da chi, tuttora, con tenacia la insegna ai propri figli.

E certamente la nostra lingua parlata non è quella che si può evidenziare nei cartelli stradali presa in prestito dallo Shqip; questa è una lingua importata che serve soltanto a qualcuno per prendere in giro un intero popolo e che grazie alla legge 482/99 guadagnarsi qualche euro.

FEDE: ovvero quella per cui ancora, in molti, nei nostri paesi continuano a sperare di ritornare a “combattere”, per dimostrare prima a se stessi e poi a chi sappiamo noi che vale veramente la pena di lottare per riportare nella sua originaria dimensione ciò che nel corso dei secoli è diventato: <soltanto un mantello che serve esclusivamente per coprire ciò che di falso è nascosto sotto>.

La nuova fede, che ci hanno inculcato con la forza e con l’inganno, di cui ci riempiamo la bocca in alcuni momenti (mai raccontata in termini corretti dal punto di vista storico) e quando siamo costretti a Folklorizzare il nostro Essere italo-albanesi anche dal punto di vista religioso con Messe a destra e a manca, non è quella per cui abbiamo sofferto e per cui molti nostri avi sono stati martirizzati.

Ciò di cui noi dobbiamo andare fieri è celato nel nostro intimo, nel nostro spirito battagliero, nel nostro essere dalla testa ai piedi ARBËRESHË, sicuramente nascosto, al quale manca solo l’imput giusto perché esploda.

Forse è arrivato o sta per arrivare il momento, solo Dio lo sa, che l’orgoglio di essere stati e di essere diversi dagli altri, orgoglio che ci ha caratterizzati in questi cinque secoli e che testardamente ci ha fatto sentire “gjaku jonë i shëprishur” ci farà urlare a squarcia gola, anche se a qualche latino travestito da arbëresh non piacerà, con nome e cognome quella profetica parola che molti, anzi pochissimi, non vogliono sentire, tantomeno nominare e di cui hanno una terrore bestiale: ORTODOSSIA.

È una parola che fa paura, è un incubo da esorcizzare, è una parola spaventosa, è una parola impronunciabile e diabolica: guai se il popolo italo-albanese, tenuto nell’ignoranza da chi ha sempre saputo, si appropriasse di qualcosa di cui si è persa la memoria, guai se la nostra gente si impossessasse di ciò di cui è stata espropriata e spogliata. Fratelli Italo-albanesi: molte verità dalle fondamenta di sabbia, che finalmente molti autori scavando in profondità, con una dose di raro coraggio, stanno svelando (Vittorio Elmo, Matteo Mandalà, Nando Elmo, Costantino Marco e qualche insigne Professore universitario), cadrebbero portandosi appresso tanti privilegi di cui il povero popolo italo-albanse non ha mai saputo e tanto meno goduto.

ORTODOSSIA: un tabù da sfatare, una gioia interiore da rivivere, un figlio da ritrovare, un amore da coltivare, una moglie da amare.

In altre parole l’ORTODOSSIA: l’unica, la vera, l’originale, la sicura, la certa, la reale, l’inconfutabile, l’indistruttibile, l’innegabile, l’indiscutibile FEDE di Gesù Cristo, degli Apostoli e dei Santi Padri e per noi il non reciso cordone ombelicale che ancora potrà legarci al nostro passato, alla nostra cultura, alla nostra lingua, alle nostre radici, ai nostri Martiri, ai nostri Santi Padri, al nostro essere Figli dell’Oriente.

Noi meraviglioso POPOLO ARBËRESHË, per grazia di Dio, non abbiamo abiurato a questa Fede, non abbiamo venduto la nostra primo genitura per un pugno di lenticchie, siamo stati annessi questo si, ma non ci siamo mai genuflessi e inchinati a nessuno. Neanche chi continua a sorreggere l’insostenibile, potrà sostenere il contrario quando diciamo che la Verità ci è stata nascosta, occultata, negata per i motivi che tutti conosciamo.  ALLORA ? 

Già si intravedono all’orizzonte le prime crepe di questo castello costruito sulla sabbia, le prime scosse di questo terremoto che si chiama Ortodossia stanno dando i loro frutti: la gente vuole sapere e molti dovranno dare delle spiegazioni che non sono quelle fino ad ora rifilate ad un popolo martoriato e martirizzato. Tutto questo sta compiendosi “Quando venne la pienezza dei tempi ……” e la nostra umile Chiesa, che è principalmente la vostra, è convinta, più che mai, che il torto da noi subito sta per essere lavato e purificato.

La Santa Chiesa Cristiana Ortodossa, di cui mi onore di appartenere e di essere Presbitero, sarà lieta di offrirvi tutto ciò che fino ad ora vi è stato negato.  Cari Fratelli arbëreshë, da noi sarete a casa vostra e nessuno potrà mai buttarvi fuori, perché qui voi siete quel figlio che si era perduto e che è stato ritrovato.

D’ora in avanti, solo nella Chiesa Ortodossa potete dire con orgoglio: <U jam arbëreshë e jo litì>.  Il binomio “ARBËRESHË – ORTODOSSIA” è inscindibile e l’Ortodossia ha un solo significato: RETTA FEDE. Quindi l’Arbëreshë e l’Ortodossia sono indissolubili ed indivisibili e portatori dell’unica Verità."

San Basile, 15-09-2007

Padre Giovanni Capparelli
Presbitero Ortodosso Arbëresh 
Patriarcato di Mosca

domenica 25 febbraio 2024

⚡🇪🇹 ETIOPIA, RAPITI E UCCISI QUATTRO MONACI ORTODOSSI.


 Uomini armati legati al gruppo ribelle Oromo Liberation Army hanno attaccato il monastero di Zequala (uno dei maggiori dell’Etiopia), a 50 chilometri da Addis Abeba, dove hanno rapito e successivamente ucciso quattro monaci.

Una breve dichiarazione della Chiesa ortodossa etiope ha identificato le vittime come l’amministratore Abba Teklemariam Asrat, Abba Kidanemariam Tilahun (il segretario del monastero), Abba Gebremariam Abebe (uno studioso di libri sull'educazione ecclesiastica etiope) e l'asceta Hailemariam Woldesenbet.

“L’incidente accaduto a Zequala è molto pericoloso. Padri che non conoscono nient’altro tranne la preghiera e la [vita] ascetica… padri che non possono essere collegati ad alcuna trasgressione sono stati brutalmente giustiziati, uccisi”, ha commentato Abune Mathias, Patriarca della Chiesa Ortodossa etiope. “Ciò richiede una devota preghiera eucaristica per il nostro Paese. È un atto preoccupante quello che viene commesso… è molto molto triste. Preghiamo tutti il ​​nostro Dio”.

La Chiesa Ortodossa etiope Tewahedo ha avanzato l'ipotesi che “il gruppo Oromo Liberation Army abbia un legame clandestino con le autorità governative regionali dell'Oromia per prendere di mira gli appartenenti alla Chiesa Cristiana Ortodossa della regione”. I religiosi hanno dovuto affrontare attacchi incessanti da parte delle autorità governative etiopi e di gruppi armati in diverse parti del paese. Centinaia di seguaci sono stati uccisi e diverse chiese bruciate da quando Abiy Ahmed ha preso il potere come primo ministro nell’aprile del 2018. 

PADRE GJERGJ SULI 🔯🇦🇱

 


Gjergj Suli (1893–1948), noto anche come At Gjergj Suli, era un sacerdote e martire Ortodosso albanese.

Gjergj Suli nacque nel villaggio di Lekël, Vilayet di Yannina, Impero Ottomano oggi moderna Albania meridionale. Il suo cognome suggerisce che la sua famiglia potrebbe essere di origine Souliote Arvanite e provenire da quella regione. Ha intrapreso i suoi primi studi nella scuola del suo villaggio e in seguito ha frequentato il ginnasio di lingua greca Zosimea a Yannina.

Nel 1922 emigrò negli Stati Uniti, dove trascorse 12 anni a Boston, Massachusetts, e Filadelfia, Pennsylvania. È stato ordinato sacerdote negli Stati Uniti dopo aver frequentato una scuola religiosa. Suli aveva stretti rapporti con Fan Noli, essendo entrambi tra chierici Ortodossi e attivisti di Vatra, la Federazione Panalbanese d'America.

Suli tornò in Albania nel 1934, dove iniziò a lavorare come sacerdote nel suo villaggio natale, poi in altri villaggi come Labovë, Tërbuq, Hundkuq ecc. Era un oppositore del regime italiano instaurato in Albania dopo l'invasione del 1939. Era anche scettico riguardo alle idee bolsceviche che si diffondevano durante la seconda guerra mondiale.

Essendo una persona con un'ampia cultura e conoscenza di diverse lingue straniere, Suli manteneva la corrispondenza con molte persone fuori dall'Albania, molte delle quali erano attivisti di Vatra. La sua vasta corrispondenza fu uno dei pretesti utilizzati dalle autorità comuniste per accusarlo di essere un informatore dei servizi segreti stranieri. Fu arrestato nel 1946 e in seguito subì per diversi mesi la prigione ad Argirocastro. Fu giustiziato da un plotone di esecuzione il 28 gennaio 1948.

I carnefici rossi furono sorpresi dall'atteggiamento di quel Giorgio, che consegnò la sua anima a Dio facendo il Segno della Croce.

Inoltre, la sua biblioteca personale e la corrispondenza furono distrutte.

La Chiesa Ortodossa Autocefala d'Albania ne ricorda l'anniversario della morte come chierico di ampia cultura e che durante tutta la sua vita lavorò con devozione per la Parola di Dio.

DEREK 🔯🔥

venerdì 23 febbraio 2024

ANNIVERSARIO DELLA RIVISTA DEL SOMMO VATE ARBËRESH 🔯🇦🇱

 



Il 23 febbraio 1848 veniva pubblicato a Napoli il primo giornale della storia della stampa albanese, "L'albanese d'Italia".

Questa pubblicazione periodica, considerata la pietra angolare della stampa nazionale, era sotto la direzione di una delle figure centrali del periodo rinascimentale, lo scrittore Arbëresh Girolamo De Rada di Macchia Albanese, in provincia di Cosenza, Calabria.

Il giornale, scritto principalmente in italiano e parzialmente in Arbëresh, fungeva da forum per la comunicazione di messaggi politici, sociali e culturali, nel tentativo di creare e informare l'opinione pubblica della comunità Arbëresh in Italia. A questo scopo, in alcuni suoi numeri, sono state pubblicate numerose notizie sugli sviluppi in Albania e nella regione dei Balcani.

De Rada, che gode degli attributi del "padre" del giornalismo albanese, oltre all'ideazione del periodico, si era fatto carico di portare avanti ogni processo previsto fino alla stampa dei contenuti. In seguito lo aiutò un collega, lo studente Nicola Castagna. Personalità del mondo Arbër, intraprese nel 1883 la pubblicazione della prima rivista in lingua albanese, “Flamuri i Arbërit”.

mercoledì 21 febbraio 2024

PADRE LLAMBO BALLAMAÇI 🔯🇦🇱

 

Harallamb Ballamaçi nacque nel 1850, nel villaggio di Plasë a Korça, in seno a una famiglia albanese con alti sentimenti per la propria lingua. 

Suo padre, Anastas Zograf Ballamaçi, insieme al fratello Kostandin fu uno dei più importanti iconografi albanesi che con il suo pennello decorava le numerose chiese Ortodosse di Korça e dei suoi sobborghi fino al Monte Athos. ⬇️
https://giuseppecapparelli85.blogspot.com/2024/01/kostandin-e-athanas-zografi-attivita.html

In casa Ballamaçi c'erano anche molte copie del sillabario dell'albanese, con il quale Harallambi e i bambini del villaggio impararono a scrivere la lingua albanese parlata sin da piccoli.

Harallamb Ballamaçi ricevette le sue prime lezioni nella scuola cittadina dove gli fu insegnata la lingua greca, quando le Grandi Potenze occidentali fabbricarono lo Stato ortodosso chiamato Grecia e lo sovrapposero ai territori albanesi dell'Arbania meridionale rubando le loro terre tra cui l'Epiro. Successivamente frequentò le lezioni teologiche in un Monastero e indossò l'abito sacerdotale. Nel 1869 Ballamaçi fu nominato sacerdote nella Chiesa Ortodossa di "San Giorgio" a Korça, dove iniziò la sua missione spirituale, religiosa e patriottica.

Nel 1876, il padre di Padre Haralambi, Anastas Ballamaçi, dipinse ad olio il volto dell'eroe albanese Gjergj Kastriot Skënderbeu. Nel 1883 Padre Llambo Ballamaçi fu nominato insegnante nella scuola bizantina della città, dove insegnò segretamente la lingua albanese ai bambini albanesi, perché le scuole albanesi e l'insegnamento della lingua albanese furono vietati dai Turchi e dal Patriarcato ecumenico greco.

Padre Llambo Ballamaçi si è opposto in modo provocatorio e inequivocabile a tutti i falsi dogmi predicati dai turchi ottomani e dal metropolita di Korça il quale diceva che per essere ortodossi bisognava parlare solo greco. Così Padre Llambro si opponeva dicendo: "Essere di religione Ortodossa o musulmana non significa essere greco, valacco o turco".

Nelle condizioni di “assedio religioso”,tutte le azioni compiute da Padre Ballamaçi giunsero all'attenzione della chiesa greca. Il despota di Korça quasi impazzì. Era più facile per lui morire di disperazione, o uccidersi in un canale dove passavano le acque di scarico, che sentir dire che la lingua albanese stava rinascendo. Fece di tutto per denunciarlo al governo turco, nella speranza che quando il Sultano avesse saputo che quest'uomo insegnava la lingua albanese ai bambini di Korça, avrebbe ordinato la decapitazione di Padre Haralambi, ma in realtà ciò non accadde.

Nel 1887, Pandeli Sotiri di Selcka in Argirocastro, nominò il primo insegnante albanese a Korça. Molti ragazzi e ragazze frequentavano quella scuola, ma la chiesa greca faceva del suo meglio per intimidire i genitori che volevano insegnare ai propri figli la lingua albanese. Chiunque avesse portato i bambini a scuola sarebbe stato scomunicato e sarebbe rimasto maledetto di generazione in generazione. Non ci sarebbe stato posto per loro nemmeno nell'aldilà. E la chiesa greca riuscì ad avere successo. I bambini Ortodossi abbandonarono la scuola albanese. L'insegnante rischiava di essere rinchiuso. Adesso il despota di Korça stava quasi morendo di gioia, ma il suo sorriso fu nuovamente tagliato a metà da Padre Llambro Ballamaçi che segretamente continuava and insegnare la lingua albanese.

Padre Llambro stava diventando sempre più spaventoso per la chiesa greca. Situato tra i ponti del fuoco ardente delle crociate medievali, perché da un lato i greco-romani, i turchi ottomani selgiuchidi, i turaniani-bulgari, i macedoni-slavi, gli albanesi che andarono con i Valacchi e dall'altro Il metropolita di Korça che agì contro di lui, tuttavia non si separò né dalla sua Chiesa Ortodossa che predicava la prosperità né dalla scuola che seminava l'albanese, il sapere e la cultura.

Nel dicembre 1912, un gruppo di greci fece la prima visita a casa sua inviando due importanti ufficiali dell'esercito greco, Apostolidhis e Vardas, che minacciarono di ucciderlo se non avesse smesso di insegnare la lingua albanese.

Più volte aveva detto faccia a faccia ai turchi e ai greci che "con le persecuzioni e i massacri la coscienza dei miei connazionali albanesi non poteva essere cambiata".

Il 5 aprile 1914 dieci soldati greci armati si recarono alla casa dove viveva Padre Ballamaçi. Quando circondarono la sua casa, qualcuno degli Andarti greci cominciò a gridare: "Papà Llambro, vieni fuori perché ti cercano!". 

"Parto", disse Padre Ballamaçi ai suoi familiari, "ma non preoccupatevi, andrò e tornerò, come sempre, non è la prima volta che mi succede e voi lo sapete". Il capitano Thrakas accompagnato da diverse guardie, entrò nella casa di Padre Llambro controllando tutto, anche il cassetto dove Padre Ballamaçi teneva i suoi risparmi e da lì presero tutto quello che hanno trovato. Poi tornarono da Padre Ballamaçi, gli saltarono addosso e cominciarono a infilzarlo con le baionette delle loro armi. Il sangue copriva tutto il corpo di Padre Llambo. Cadde e si rialzò, morì e resuscitò. Lo afferrarono e lo portarono verso la costa di Shëndëllia. In tutto quello che stava accadendo, gli abitanti del villaggio guardavano con orrore dalle finestre delle case. Nessuno ha osato aiutarlo. Le guardie greche erano pronte a uccidere chiunque per mezza parola. Piangevano in silenzio e pregavano per Padre Llambo. Riuscì a raggiungere la riva di Shëndëllia, dove crollò e cadde, per non tornare mai più a casa. Insieme a lui fu anche ucciso suo fratello Sotir.

Padre Llambro Ballamaçi era il prete Ortodosso albanese che i greci massacrarono e uccisero perché insegnava la lingua albanese ai bambini e agli illetterati e issava la bandiera albanese con il vessillo di Skanderbeg a Korça. Papa Harallamb Ballamaçi è l'ottavo martire della lingua albanese, dopo i martiri Pjetër Budi, Dhaskal Todhri, Naum Bredhi Vekilharxhi, Anastas Kullurioti, Jani Vreto, Koto Hoxhi e Pandeli Sotiri.

Nella foto: in alto a sinistra Padre Llambo Ballamaçi; a destra la casa di Padre Llambro (alla finestra), i suoi parenti stretti e i patrioti albanesi; in basso i corpi di Padre Llambro Ballamaçi e Sotir, suo fratello con la loro famiglia e gli albanesi di Korca che li piangono.

domenica 18 febbraio 2024

ATENE, QUANDO SI PARLAVA L'ARBËRESH, ERA IL LUOGO DELLA "LINGUA DEGLI UCCELLI" 🔯🇦🇱

 

"Io sono Arvanita e parlo Arvanitika", - questa era la frase ripetuta con orgoglio, da ogni abitante di Salamina, a testimonianza dello storico greco Tasos Karantis. Sulla rivista greca "Raggi dei Greci" sono pubblicati due studi sulla storia degli Arvaniti in Grecia.

Da questi studi risulta evidente che, nella maggior parte delle regioni della Grecia, compresa Atene, la lingua dominante era quella degli Arvaniti o, come lo chiamavano loro, l'Arbëresh.

In una pagina di questa rivista, l’articolo in questione presenta ciò che oggi gli stessi greci negano o cercano di diffamare. I dati provengono dall'opera di Dhimitriu Byzantiu, scritta nel 1836. Ecco cosa scrive, nello specifico: "I visitatori hanno notato con sorpresa che gli abitanti dei villaggi intorno all'Attica, ma fino e all'interno di essa, nel centro della capitale dell'Attica nello stato appena formato, parlavano una lingua che gli Arvaniti più antichi chiamavano: 'Arbëresh', una lingua che era ampiamente conosciuta come Arvanita".

Dopodiché confronta i villaggi greci e quelli Arvaniti-Arbëresh, dove secondo lui non c'era differenza. Addirittura, fino al XX secolo, la lingua prevalente in questi villaggi e all'interno di Atene era l'Arbëresh.

Poi c'è lo studio di uno storico di nome Tasos Karantis, sugli Arvaniti di Salamina, che mostra come i suoi abitanti affermassero con orgoglio: "Eimai arbanitis kai milao arbanitika (Io sono Arvanita e parlo Arvanitika)".

Questi indigeni dissero che "la lingua appartiene ai nostri padri, poiché questa lingua è ricca di sentimento ed espressione, essendo chiamata in modo ancora più poetico: gjuha e zogjve, gjuha e dallëndysheve! (La lingua degli uccelli, la lingua delle rondini!)"

martedì 13 febbraio 2024

PADRE KRISTO NEGOVANI 🔯🇦🇱

 

Il 12 febbraio è l'anniversario dell'assassinio del sacerdote Ortodosso e scrittore albanese Padre Kristo Negovani.

Nato nel villaggio Arbëresh di Negovani (attuale Grecia), un paesino dell'allora regione di Kolonjë (Albania). Studiò ad Atene grazie al generoso finanziamento ed alla protezione di suo padre, Harallambi Çali, che era un ricco mercante, scrittore e patriota albanese che combatté contro gli obiettivi antialbanesi della chiesa ortodossa greca e dei circoli sciovinisti della borghesia ellenica. Egli morì barbaramente massacrato dai soldati greci.

La morte di suo padre, che venne ucciso nel 1891, costrinse Kristo Negovani ad abbandonare gli studi ed a lavorare come insegnante in una scuola elementare, a Leskovik, per mantenere la famiglia. Nel 1894 emigrò a Braila, in Romania, dove lavorò per tre anni come falegname. Qui entrò in contatto con il movimento di rinascita nazionale albanese ed imparò a scrivere nella lingua albanese.

Nel 1897, dopo esser stato ordinato sacerdote, tornò nel suo villaggio natale e continuò il suo lavoro come insegnante. Padre Negovani decise di insegnare presso la propria abitazione la scrittura albanese ad oltre un centinaio di bambini ed adulti albanesi analfabeti. Diverse opere degne di nota scritte in albanese da Negovani furono la Storia dell'Antico Testamento (1899), una Storia della Bibbia (1903) e gli Atti dei Santi Apostoli (1906). Il sacerdote Negovani volle tenere la Divina Liturgia solo in lingua albanese per la sua gente, per far comprendere loro il Vangelo, ma questo non venne apprezzato dalla chiesa ortodossa greca del Fanar.

Il 10 febbraio 1905, Negovani tenne la Divina Liturgia Ortodossa in lingua Arbëresh (Tosk) alla presenza di Karavangelis, vescovo filoellenico del territorio di Kastoria (zona ottomana di lingua albanese, obbiettivo espansionistico territoriale della “Megali Idea”) il quale, uscendo dalla chiesa, pronunciò queste parole: "Spero che l'anno prossimo tu non sia tra i vivi" e denunciò l'uso dell'albanese in massa. 

Due giorni dopo, nella notte di sabato 12 febbraio 1905, il villaggio fu circondato da soldati greci, un gruppo di filo elleni prelevarono Padre Negovani dalla chiesa mentre distribuiva l'anafora. Lo portarono alla periferia del villaggio e lo massacrarono con delle asce dicendo: “Vai adesso a fare propaganda per l'Albania e predicare il Vangelo in albanese”. Insieme a lui uccisero anche suo fratello, Theodos.

L'uccisione di papa Kristo fu pianta da tutti gli albanesi dentro e fuori la madrepatria, tra i quali Zef Skiroi gli dedicò una poesia. In risposta all'omicidio di Padre Kristos, il 9 settembre 1906, la squadra di Bajo Topulli uccise il despota Foti, metropolita di Korça, accusato di essere stato il principale mandante dell'omicidio dei fratelli Negovani.

Uccidersi tra fratelli per delle ideologie umane e nazionaliste è la cosa più triste che ci possa essere sia da una parte che dall'altra. Possa Dio avere misericordia.

domenica 11 febbraio 2024

VENEZIA ILLIRICA 🔯🇦🇱

 

Agli antichi Veneti ci si riferisce anche con i termini "Venetici", "Heneti" o "Eneti" parenti di Enea.

Erodoto ricorda gli "Eneti" tra le tribù pelasgo-illiriche (odierni albanesi) il ramo più occidentale di quell'insieme di popolazioni.

Secondo Catone, i Veneti sono di stirpe troiana albanese imparentati con gli Etiopi, in quanto il fratello del re troiano Priamo, Titone, era il padre di Memnone re d'Etiopia e Persia.

Secondo la storiografia romana, i Veneti sarebbero stati una popolazione proveniente dalla Paflagonia albanese, regione dell'Asia Minore sul Mar Nero. Parteciparono alla Guerra di Troia dove furono da lì espulsi.

A Troia morì Pilemene, il comandante degli Eneti, che, rimasti senza patria e senza guida, si rivolsero ad Antenore. Dopo varie vicende, questi li condusse ad approdare sulle coste occidentali del Mar Adriatico settentrionale. Qui la popolazione scacciò gli Euganei, una popolazione locale che si rifugiò nelle valli alpine e di cui oggi non rimangono tracce rilevanti.

Strabone indica anche i Veneti come celti, una delle tribù asiatiche albanesi che insieme a Bruto d'Albania Epiri dopo la guerra di Troia fondarono la Britannia. ⬇️
https://giuseppecapparelli85.blogspot.com/2024/01/britannia.html

I Veneti si stanziarono dapprima in piccoli villaggi, in seguito iniziarono il disboscamento delle foreste, e si organizzarono in centri abitati sempre più grossi, soprattutto lungo i fiumi Adige, Brenta (dall'albanese Brenda) e Piave.

I Veneti intrattennero rapporti commerciali e culturali con la vicina Etruria di stessa origine. Ebbero poi con Roma rapporti amichevoli e si giovarono dell'aiuto della città laziale di stessa origine per allontanare la minaccia costituita dall'invasione dei Galli: in cambio di protezione, permisero ai Romani di stabilirsi pacificamente nel loro territorio e, in definitiva, di colonizzarlo costruendo strade, ponti e villaggi. Il Veneto non venne quindi conquistato con la forza dai Romani, ma fu inglobato pacificamente e, con il tempo, la cultura veneta si perse e venne sostituita (in parte assimilata) dalle usanze di Roma.

Nella foto: uno dei tre ovali del pittore Paolo Caliari detto il Veronese nel soffitto della Chiesa di San Sebastiano a Venezia, in cui si rievocano le storie bibliche di Ester e di Mardocheo. Ester, ragazza ebrea nella corte del re persiano Assuer, e Mardocheo, suo zio che, insieme ad essa, ormai regina, smaschera un complotto e i piani di annientamento del popolo ebreo da parte di Amman.

Nell'ovale principale è rappresentato "L'INGRESSO TRIONFALE DI MARDOCHEO". La bandiera che accompagna il trionfo 🇦🇱 - rossa e con un’aquila bicefala nera - araldo “Kastriota” o “Arbëresh”, rievoca le vittorie dell'eroe albanese Skanderbeg contro le invasioni turche.

La ricercatrice Lucia Nadin fa notare le congruenze tra la vita di Skanderbeg e quella di Mardocheo, davvero sorprendenti: entrambi presi in ostaggio sin dalla giovinezza e cresciuti in esilio alla corte del re dove, distinti per le loro capacità, aspettavano solo di porsi alla guida, verso la salvezza e la vittoria, del proprio popolo perseguitato, ed entrambi, in modi diversi, sono considerati dei protettori della fede.

venerdì 9 febbraio 2024

VISITA ALLA CASA DI GIROLAMO DE RADA 🔯🇦🇱

 

Girolamo De Rada nacque a Macchia Albanese nel 1814, è stato uno scrittore, poeta e pubblicista Arbëresh. Figlio di un sacerdote della Chiesa italo-albanese, fu fra le più importanti figure del movimento culturale e letterario albanese del XIX secolo. Fu il principale iniziatore della letteratura albanese moderna e si batté per l'indipendenza dell'Albania.

De Rada contribuì in maniera decisiva al sorgere e alla diffusione di una moderna coscienza identitaria sia all'interno della minoranza arbëreshe (albanesi d'Italia), sia tra gli albanesi dei Balcani (Albania e Kosovo, ma anche Macedonia, Grecia e Montenegro), gettando le basi di una moderna e comune letteratura nazionale albanese.

Molte scuole, vie e piazze portano il suo nome nei paesi Arbëresh in Italia, in Albania, in Kosovo e nei paesi albanesi di Macedonia e Montenegro. Anche in molte città italiane (Cosenza, Catanzaro, Cassano Jonio ecc.) ci sono vie dedicate al Poeta.

giovedì 8 febbraio 2024

CHIESA DI SANTA MARIA A MALIGRAD IN ALBANIA 🔯🇦🇱

 

Questa bellissima cappella Ortodossa del XIV secolo si trova sulla piccola isola di Maligrad, all'estremità meridionale del Lago Prespa in Albania.

L’edificio fu realizzato nel 1369 per volere di Qesar Novaku, un nobiluomo locale in onore della Vergine Maria e l'unico modo per raggiungere la chiesa è in barca, un bellissimo viaggio di 10 minuti durante il quale si possono vedere stormi di uccelli e pellicani. Sull’isola c’è un piccolo sentiero che conduce attraverso alcuni alberi di fico fino a una grotta che nasconde la piccola chiesa.

Il posto è tranquillo e indisturbato con un'atmosfera di calma. La cappella è riccamente decorata da antichi affreschi tra i quali vi è raffigurata la famiglia di Novak con sua moglie.

mercoledì 7 febbraio 2024

SVELATA STATUA DI SAN COSTANTINO A ROMA

 

Roma svela una replica in scala 1:1 alta 13 metri dell'antico Colosso di San Costantino il Grande a Villa Caffarelli ⬅️.

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San Costantino il Grande nacque il 27 febbraio 272 da una nobile famiglia illirica-Arber 🔯🇦🇱 a Nish della Dardania 🍐🇦🇱; egli fu il primo imperatore Cristiano e il fondatore di Costantinopoli. Suo padre Costanzo era al tempo di Diocleziano uno dei due Cesari che regnarono in Gallia, Gran Bretagna e Spagna. Il 25 luglio 306 suo padre Costanzo morì a York e Costantino fu proclamato Augusto (imperatore) dall'esercito, composto principalmente da illiri 🇦🇱.

Questa scelta non fu accettata da Galerio e dagli altri generali, che diedero inizio ad una lunga serie di guerre civili. Dopo una serie di eventi storici, Costantino si scontra con Massenzio, figlio di Massimiano nel 312, con la sconfitta di quest'ultimo nella battaglia di Ponte Milvio, alla periferia di Roma.

La battaglia durò diversi giorni ed è nota l’importanza che ebbe nella storia. Costantino, prima della battaglia vide, nel crepuscolo, una visione: sul cielo apparve il simbolo della Croce con la scritta IN HOC SIGNO VICES. 

Cristo, durante la notte, gli sarebbe apparso in sogno
“esortando Costantino ad apporre quel simbolo sugli scudi dei soldati con quei segni celesti di Dio e ad iniziare quindi la battaglia. Egli fece dunque in questo modo e ruotando e piegando su se stessa la punta superiore della lettera greca X , segnò gli scudi con l’abbreviazione della parola Χριστός (Cristo)” (Eusebio di Cesarea)

Con la vittoria, Costantino divenne così l’indiscusso monarca dell’Impero Romano d’Occidente, mentre Licinio regnava su quello d’Oriente. Nel 323 Costantino attaccò e sconfisse anche Licinio e da quel momento sino alla sua morte, avvenuta nel 337, fu il solo sovrano di tutto l’Impero romano, inserendo come stendardo il famoso simbolo illirico dell'Aquila Bicipite 🇦🇱.

Poche persone, nella lunga storia dell'umanità, sono state onorate con il titolo di Grande. Prominente fra loro è senza dubbio San Costantino il Grande. Era davvero grande, non solo nei progetti di prudenza politica, nella gestione finanziaria, nella riforma amministrativa, nell'abilità militare ma anche come persona saggia e coraggiosa. Inoltre nel 313, fu emanato a Milano l’editto di Costantino, con il quale si decretava valida a tutti gli effetti la religione Cristiana accanto alle forme di paganesimo già diffuse nella popolazione dell’impero e la restituzione dei beni alle comunità ecclesiastiche precedentemente confiscate dall’impero durante i periodi di persecuzione. Successivamente ha adottato prevedimenti per incoraggiarne la diffusione del Cristianesimo, convocando i primi Concili Ecumenici, incoraggiando la costruzione di templi e onorando i Santi Martiri.

Famosa è anche la madre di Costantino, Sant'Elena, che nel 326 d.C. si reca a Gerusalemme, dove "con grande fatica e spese ha trovato la Croce di Cristo e altre due croci dei ladroni", scrive lo storico cipriota Leontio Macherà.

San Costantino morì a Nicomedia, in Bitinia, il 22 maggio 337, dopo aver ricevuto il santo Battesimo e i suoi resti furono conservati nella Chiesa dei Santi Apostoli da lui stesso costruita.

Costantino è stato dichiarato santo dalla Chiesa Ortodossa e la Chiesa d'Oriente lo considera il più grande santo.




lunedì 5 febbraio 2024

LA TARANTELLA DEI BRIGANTI


"So arrivati li brianti
So arrivati e songo tanti
Parlano di Masaniello
Vuonno ancora a Francischiello o o o o o

Acciduno a li piemontesi
Currunu pi lu paese
Fannu scigli ai benestanti
E preiano a tutti li Santi i i i i i

La brianta Filumena
Va a cavallo puru prena
Lu cumpare suiu Schiavone
Spara cu lu trombone ee e e e e

Hannu dittu ca so muorti armati
L’hannu accisi mille surdati
Lu rré burbone si ne gghiuto
E natu friscu ave minuto(n’arrivatu natu e scunusciuto).

Sulu na vecchia vistuta nera
Chiagni li figli e si dispera
Va dicennu ca li rignanti
So fitienti tutti quanti
E addinucchiata sui corpi caldi
Ammaledice a Garibbalde".

"Gli Arbëresh erano la spina dorsale del sud italia, sono stati loro ad essere in prima linea ad ogni ribellione, fu lo spirito combattivo, la tenacia e il forte senso dell'onore e della giustizia Arbërsh a determinare la loro natura ribelle." (Cit.)

(Nella foto i famosi briganti Arbëresh della Puglia, tra cui in alto Filomena Pennacchio e Cosimo Mazzeo detto Pizzichicchio 🔯🇦🇱)

DEREK 🔯🔥
https://t.me/DerekRasTafarI

domenica 4 febbraio 2024

LA TORRE DEGLI ALBANESI DEL MONASTERO DI HILANDAR SUL MONTE ATHOS

A 1 km a sud del monastero di Hilandar sul Monte Athos, nella foresta, sopra il desertico Skete della Santissima Trinità vi è ancora tutt'oggi una torre in rovina. La posizione è vicino alla strada sterrata che collega il monastero alla sua Arsanas occidentale (Giovanitsa).

Nel XV secolo la torre apparteneva a Ioannis (Ivanis) Kastrioti, sovrano dell'Albania settentrionale e padre di Gjergj Kastrioti, l'eroe nazionale dell'Albania (meglio conosciuto come "Skenderbeg").

Secondo un documento del 1421-1422, Ioannis Kastrioti acquistò la torre e 4 adelfata (per sé e per tre dei suoi figli) dal monastero di Hilandar per la cifra di 60 fiorini veneziani, dove vi si ritirò come monaco.

“Adelfaton” era il diritto di risiedere in una dipendenza di un monastero sul Monte Athos, accompagnato dal diritto di sfruttare i raccolti dei terreni circostanti. Il diritto era valido per tutta la vita, ma non poteva essere ereditato. Era una pratica comune un tempo, soprattutto nei secoli XIV e XV, quando diversi ricchi signori secolari dei Balcani acquistarono questo tipo di proprietà sull'Athos per ritirarsi e rimanervi come monaci alla fine della loro vita.

Tuttavia, la torre preesisteva molto prima che Kastrioti la acquistasse. La cronologia esatta non è nota. Inizialmente doveva trattarsi di una torre prettamente difensiva, che probabilmente fungeva da rifugio per i monaci in caso di incursioni piratesche. Molto probabilmente fu costruita nello stesso periodo della torre di Agios Savas del Monastero di Hilandar (con la quale esistono somiglianze strutturali), quindi ipotizziamo che si tratti di una costruzione del XII secolo, circa. Quando Kastrioti lo acquistò dovette fare una radicale ristrutturazione, e forse, poi, furono aggiunti altri edifici all'area circostante.

La torre fu restituita al monastero alla fine del XV secolo, probabilmente nel 1468, dopo la morte di tutti i beneficiari dell'adelfaton. In epoca successiva vi si stabilì una comunità di monaci - apparentemente organizzata secondo i canoni di uno Skete - che riuscì a ricevere per diversi decenni, almeno fino al 1528, ricche donazioni da parte dei sovrani della Valacchia.

Nei vari documenti monastici dell'epoca, relativi a queste donazioni, sembra che fosse già stabilito il nome “Torre degli Albanesi” (arbanaskij pirg), mentre talvolta veniva utilizzato anche il nome “Torre di San Giorgio”.

La torre fu utilizzata per secoli successivi. Probabilmente fu abbandonato intorno agli inizi del XX secolo o poco prima.