lunedì 20 ottobre 2025

MOREA, LA REGIONE PERDUTA DEGLI ALBANESI

 

La Morea, l'antica penisola del Peloponneso, un tempo ospitava villaggi e città albanesi che ne ricoprivano colline, montagne e coste. Ancor prima dell'esistenza dei greci, era il luogo in cui gli Arbëri, figli dell'Illiria, della Macedonia e dell'Epiro, costruirono le loro vite, le loro chiese, le loro torri e i loro canti fin dai tempi antichi, finché le tempeste delle invasioni non li travolsero.

Sotto i Turchi, sotto i Veneziani e poi sotto il moderno falso stato greco, gli albanesi della Morea come anche quelli dell'Epiro, furono oppressi, dispersi, costretti a rinnegare la loro lingua madre e le loro radici Arbërore.

L'immortale canto "O bella Morea" è rimasto a ricordo di una terra che non parla più albanese, ma dove ogni pietra e ogni montagna un tempo aveva la voce degli Arbëri. ⬇️
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Da questa antica terra di Morea, dall'Epiro, e da tutte le terre abitate da albanesi, i suoi figli partirono verso l'Italia e l'antica Arbëria, portando con sé il canto, il sangue e la memoria.

Morea non è solo un toponimo dimenticato nella storia: è la ferita e l'orgoglio di un popolo e una nazione, quella albanese, che un tempo si estendeva fino al Golfo di Laconia e alle coste dell'Argolide.

Oggi ci ricorda che l'antica Albania era più vasta dei suoi attuali confini e che il ricordo degli Arbëreshë è la prova più evidente che la Morea, come anche l'Epiro, era territorio albanese, la patria perduta dell'Arbëria meridionale.

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giovedì 16 ottobre 2025

PERCHÉ IL PELOPONNESO NON HA UN NOME GRECO E PERCHÉ NON È MAI STATO UN TERRITORIO GRECO?


Siamo in tempi pre-ellenici, ed ho già detto tutto!!! La storia inizia con Tantalo, il padre di Pelope, che si dice fosse proprietario di una miniera d'oro sul monte Sipulo, in Anatolia, nell'attuale Turchia. A quale tribù, a quale popolo, apparteneva Pelope secondo gli autori antichi?


In una testimonianza secondo Erodoto:

Serse dà questa risposta ad Artabano quando discutono su come sconfiggere i loro avversari:

"se conduco un esercito contro questi uomini, uomini come Pelope, il Frigio, (Brigje), che era uno schiavo dei miei antenati..." secondo Erodoto, libro 7, capitolo 11.

La successiva prova proviene da Strabone:

“I confini di questi territori sono stati così confusi tra loro che ho spesso detto che è incerto se il territorio intorno al monte Sipulo, che gli antichi chiamano Frigia, facesse parte della Frigia Maggiore o Minore, dove i Frigi dicono che vissero Tantalo, Pelope e Niobe.”, secondo Strabone, Geografia, libro dodicesimo, capitolo 4.

"Mentre si diceva che Pelope fosse stato esiliato nel Peloponneso, è accettato che Tantalo, sebbene scacciato dalla Paflagonia da Ilo, frigio, rimase sulla costa orientale dell'Egeo." Un fatto che, basandosi su scritti ittiti, Mary Elizabeth Cooper riporta nell'opera "Uhha-ziti, re di Arzawa; Tantalo, re di Lidia".

Apollodoro scrive: “Quando Pelope giunse all'oceano, essendo stato scacciato da Efesto, tornò a Pisa, in Elide, e riuscì a prendere il regno di Enamo, ma non prima di aver sottomesso quella che era chiamata Apia e Pelasgio, che lui (Pelopo) chiamò Peloponneso dal suo nome.” secondo Apollodoro, Library Epitome, tradotto da J.G.Frazer.

Secondo Tucidide, “Quei Peloponnesiaci che conservano tradizioni accurate dicono originariamente che Pelope accrebbe il suo potere grazie alle grandi ricchezze che portò con sé dall'Asia in un paese povero dove, sebbene straniero, poté dare il suo nome al Peloponneso e di questa grande fortuna godettero i suoi discendenti dopo la morte di Euristeo, re di Micene, ucciso in Attica dagli Eraclidi.

Atreo (figlio di Pelope) era stato bandito dal padre a causa dell'assassinio di Crisippo.

Euristeo non fece mai ritorno e i Micenei, che avevano paura degli Eraclidi, erano pronti ad accettare Atreo, considerato un uomo potente.

Riuscì così a impadronirsi del trono di Micene e degli altri possedimenti di Euristeo.

La casa di Pelope trionfò su quella di Perseo. Questo accadde, credo, perché Agamennone ereditò questo potere, sebbene fosse in grado di organizzare una spedizione, e gli altri principi lo seguirono non per il bene, ma per paura. " Secondo Tucidide, Storia della guerra del Peloponneso, libro 1, capitolo 9, tradotto da Benjamin Jovett.

Quindi il Peloponneso non ha un nome greco ma frigio.

Atreo ed Erope ebbero i figli Agamennone, Menelao e Anassibia.

Menelao, inizialmente con l'aiuto di Agamennone, diventa re di Sparta e prende in moglie Elena, che in seguito viene rapita dal principe dardano Paride e da Alessandro.

Sempre nel Peloponneso, si stabilirono i Dardani, esiliati per motivi di guerra sull'isola di Tenedo, di fronte a Troia, e condotti prigionieri a Micene da Agamennone. Questi Dardani chiamarono il loro nuovo insediamento Tenea e in seguito furono esiliati in Italia. ⬇️
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Micene e Sparta erano due potenti regni di sangue per metà frigio, i cui re al tempo della guerra di Troia erano discendenti dei primi re dardani di Troo e Ilo.

Il re dardano Priamo ebbe in moglie Ecuba, della tribù frigia dei Brigi.

Le due tribù principali dell'Anatolia, i Dardani e i Frigi, i Brigi, vivevano fianco a fianco nell'Illirico.

Questa prova delle origini di Pelope e dei regni di Micene e Sparta chiarisce meglio chi combatté contro chi a Troia e quali legami di sangue avessero i Dardani, avversari di Troia, con Micene e Sparta.

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MOJ E BUKURA MORE ⬇️
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sabato 11 ottobre 2025

SHËN MËRIA KËTJE LARTË (LA MADONNA DI LASSÙ)

 

Sono andato a visitare uno dei luoghi più suggestivi della zona del Pollino, esempio della vita religiosa eremitica e contemplativa di questo territorio. I ruderi del Santuario della Madonna degli Aramei o delle Armi, meglio conosciuto come Eremo della Madonna di Lassù o “Shën Mëria Këtje Lartë”, dall’idioma albanese ancora in uso tra la minoranza etnica locale, si trova incastonato tra le rocce del Timpone del Corvo a nord del borgo Arbëresh di Frascineto, ad un’altezza di circa 850 metri s.l.m.. Questo affascinante luogo di culto, risalente a prima del X secolo, veniva utilizzato come asceterio dai monaci Cristiani Ortodossi provenienti dall'Oriente, dediti all'ascetismo e ad una vita mistica, prima dell'invasione cattolico-normanna, quando il sud Italia era interamente Cristiano Ortodossa.

Il titolo “Madonna delle Armi” deriva dal Koinè ecclesiastico Των αρμων (Tōn armōn) ossia "delle grotte, degli anfratti", con riferimento alle cavità presenti sulle pendici franose delle Piccole Dolomiti di Frascineto. Invece per quanto riguarda il termine “Aramei” potrebbe riferirsi a quell'antica popolazione, nominata più volte nell’Antico Testamento, che abitava nella Mesopotamia e nelle zone dell’attuale Turchia e Siria. Dapprima adoravano diverse divinità Babilonesi, successivamente furono uno dei primi popoli ad abbracciare il Cristianesimo Ortodosso.

Negli anni dell’Iconoclastia e poi ai tempi della minaccia turca, la Calabria e la Puglia divennero le principali terre d’asilo dei monaci Ortodossi che, per sfuggire alle persecuzioni, furono costretti ad abbandonare le loro terre, attraversare il mare, e nascondersi in luoghi solitari e facilmente difendibili. In cinque secoli la Calabria si popolò di anacoreti in ogni angolo sperduto del suo territorio e uno dei luoghi scelti da questi mistici fu proprio il territorio di Frascineto, inserendosi nel vasto panorama degli insediamenti rupestri dell'antica Calabria Ortodossa. 

Le celle interne presenti inizialmente, sono da ricollegare ai diversi tipi di vita religiosa, che vanno dal completo isolamento della vita eremitica, ad un’esistenza quasi cenobitica che riuniva più monaci in una comunità monastica organizzata. Per l’adattamento da antico asceterio a luogo di culto, fu chiusa l’apertura della spelonca naturale sulla pietra calcarea, dove erano scavate le celle, con un muro prospettico perfettamente mimetizzato nella roccia. L’ampia caverna è divisa in due piani, ora poco evidenti, con la parte inferiore adibita a chiesa e con il piano superiore in cui si aprivano le celle. Questo si deduce dai buchi presenti nel muro in cui erano infilate le travi che reggevano il pavimento del secondo piano. All’interno della struttura si possono notare ancora i muri divisori con coperture a spiovente. Due arcate centrali e un altare sono ormai quasi irriconoscibili. 

Di fronte a questa bellissima struttura è inevitabile il richiamo alla mente delle cappelle rupestri Armene, più precisamente al monastero di Gheghrd, la cui unica differenza è semplicemente il sistema di pietre a croci (Khatchar) che chiude le entrate. 

Un incavo serviva per raccogliere l’acqua che sgocciolava dalla volta: una singolare acquasantiera che si riempiva tramite l’acqua che scivolava su una costola naturale presente nella parete rocciosa. 

Gli anziani del luogo affermano che in passato si poteva ammirare nella grotta un affresco raffigurante una bellissima Icona Ortodossa della Madre di Dio oggi del tutto scomparsa. 

Accanto al santuario rupestre è presente una grotta dove per tradizione nella seconda domenica dopo Pasqua, i fedeli di Ejanina, frazione di Frascineto, sono soliti celebrare un rito religioso risalente al loro passato Ortodosso; dopo aver pranzato ai piedi del santuario, riscendono in paese intonando antiche rapsodi e canti popolari Albanesi dedicati alla Madre di Dio, ma anche alle possenti querce che offrono ombra e ristoro, mentre si svolge la danza tipica popolare Arbëresh, conosciuta come Vallja, una ridda colorata che rievoca una grande vittoria riportata da Giorgio Castriota Skanderberg contro gli invasori Turchi il 27 aprile 1467.

Durante il tragitto, grazie alle suggestioni che il paesaggio offre, ci si immerge come per incanto in un’atmosfera d’altri tempi e si pensa alle difficoltà che dovettero affrontare quei monaci relativamente alla viabilità, ma anche allo svolgimento delle semplici mansioni quotidiane in un luogo così estremamente impervio. Gli asceti, però, qui trovarono un’oasi di pace facendo crescere sempre di più l’abbazia in onore dell’Apostolo Pietro, oggi situata vicino al cimitero comunale e dichiarata Monumento Nazionale, che, anche se rimaneggiata nei secoli, ci offre ancora peculiari testimonianze Ortodosse, come la particolare cupola con calotta a gradoni concentrici, rastremati e coperti di tegole.

Dopo l'invasione Cattolico-normanna, cacciando i monaci Ortodossi, la chiesa di San Pietro fu presa dai cattolici. Furono proprio i preti cattolici dell’abbazia di San Pietro ad accogliere e assegnare le terre ai profughi Albanesi Ortodossi che giunsero alle pendici del Pollino nel XV secolo, creando il primo nucleo da cui nascerà l’attuale Frascineto. Col tempo anche gli Arbëresh furono assorbiti dal cattolicesimo mantenendo qualche antica tradizione a ricordo del loro glorioso passato Ortodosso.  

Purtroppo questo sito è in completo stato di abbandono e la sua non facile accessibilità lo rende ancor di più incline ad essere dimenticato. Solo gli avventurosi che tenacemente si spingono fin “lassù” (Këtje Lartë), tra monumenti e balze rocciose dalle forme maestose e bizzarre che danno l'impressione di trovarsi realmente sulle Dolomiti, riescono a godere della santa atmosfera del luogo, pregna di un palpabile e avvincente misticismo.




giovedì 2 ottobre 2025

LA GJITONIA: IL CUORE DELLE COMUNITÀ ARBËRESHE 🇦🇱

 

🌿 La Gjitonia (parola Arbëresh che significa “vicinato, comunità di case e famiglie”) è molto più di un semplice quartiere: è l’anima sociale e culturale dei paesi Arbëresh fin dall'antichità. Rappresenta il luogo della condivisione, della solidarietà e dell’identità collettiva, un vero e proprio microcosmo in cui la vita quotidiana si intrecciava con i valori della comunità.

La radice semantica della parola Gjitonia è la parola albanese Gji che significa "Seno Materno" o "seno" in generale. Dalla radice albanese Gji seno, provengono le parole Gjirì, Gjiton, Gjitonia. 

Gjirì che dall'Arbëresh si traduce come "parente" o "parente stretto", è l'unione delle parole Gji=seno e Ri=nuovo, che letteralmente dovrebbe significare, "un nuovo seno" o "una persona nata dallo stesso seno".

Gjiton che dall'Arbëresh si traduce come "vicino" o " vicino di casa", è l'unione delle parole Gji=seno e Ton=nostro, ovvero Gji Ton che letteralmente significa " del nostro seno" o "che fa parte del nostro seno".

Gjitonia invece è formato dalle parole albanesi Gji=seno + Ton=nostro e -ia=suffisso che indica un luogo abitato e letteralmente può tradursi come "il luogo del nostro seno materno".

La Gjitonia anticamente era il luogo in cui abitavano i parenti dello stesso seno. La Gjitonia che ora si traduce con "vicinato" era il luogo o spazio abitativo in cui abitavano i parenti della stessa famiglia, dallo stesso seno, dato che prima erano numerose e prevaleva spesso una nutrice. 

Quindi quello che dice il signor Avato assumendo che la parola Gjitonia è una parola di origine greca è completamente falso. Egli dice che deriva dal greco Γειτονιά che a sua volta deriva dal greco antico γείτων legato alla vicinanza fisica ed alla convivenza urbana. Ma questo è totalmente sbagliato perché come ho dimostrato sopra la radice semantica di questa parola si trova esattamente e perfettamente nell'Albanese e nei suoi suffissi e non nel greco, perché rispetto alla lingua Albanese il greco è una lingua tarda piena di prestiti.

Quindi è tutto il contrario, la parola greca che lui cita deriva proprio dall'Albanese essendo l'albanese più antico del greco e dato che la radice semantica della parola si trova perfettamente nello stesso albanese e non nel greco, e cosa importante l'albanese era la lingua più parlata nei Balcani e nel moderno stato greco prima che fosse perseguitata e cancella da questo. Il signor Avato essendo un uniata filogrekko si è pure dimenticato la sua lingua oltre le sue radici e ora sta cercando di distruggere le nostre radici giocando sull'ignoranza delle persone inventandosi queste fesserie. I linguisti che lui cita evidentemente si sono dimenticati dell'antichità della nostra bellissima lingua che contiene i semi delle lingue europee e che precede di millenni il greco e il latino.

Gjitonia è una parola puramente Albanese-Arbëresh e non greca.

Cordiali saluti. 🙏🏽

domenica 28 settembre 2025

LA CATASTROFE DI DRAMALI

 

Nell'estate del 1822, l'Impero Ottomano lanciò una massiccia spedizione per reprimere la Rivoluzione Arvanita-Arbëresh. Mahmud Dramali Pascià guidò un esercito di quasi 30.000 uomini nel Peloponneso, con l'obiettivo di conquistare Nauplia e ripristinare il controllo imperiale. I difensori Arvaniti-Arbëresh, tuttavia, riuscirono a radunare solo circa 2.500-3.000 combattenti sotto il comando del comandante Arvanita-Arbëresh Theodoros Kolokotronis.

Rendendosi conto di non poter affrontare una tale forza in campo aperto, Kolokotronis adottò la strategia della "terra bruciata". I villaggi furono evacuati, le scorte di cibo furono rimosse e i pozzi distrutti, lasciando l'esercito di Dramali senza provviste nell'arido paesaggio estivo. Fame, sete e caldo iniziarono a indebolire le forze ottomane ancor prima del combattimento.

Kolokotronis scelse quindi il terreno perfetto per la battaglia: gli stretti passi montani di Dervenakia. Qui, la vasta cavalleria e il vantaggio numerico degli Ottomani divennero inutili. I combattenti Arvaniti-Arbëresh, nascosti lungo creste e scogliere, lanciarono imboscate, sparando con i moschetti e lanciando pietre sulle affollate colonne ottomane. Tagliati fuori dai rifornimenti e intrappolati in un terreno ostile, il panico si diffuse rapidamente tra le forze di Dramali.

I risultati furono catastrofici per gli ottomani. Circa 4.000 uomini furono uccisi durante le battaglie del 6-8 agosto 1822. Dei circa 30.000 che entrarono nel Peloponneso, più di 20.000 furono uccisi, feriti o (per lo più) dispersi. Al contrario, le perdite Arvanite-Arbëresh furono meno di 300. L'esercito di Dramali, un tempo considerato inarrestabile, fu annientato.

 La portata della sconfitta divenne proverbiale tra la popolazione Arvanita-Arbëresh, dove ogni grande disastro è ancora chiamato "Katastrofa e Dramalit." ("il disastro di Dramali"). Un residuo di circa 3.000 Ottomani tentò di fuggire verso Patrasso, ma nei pressi di Vostizza furono attaccati da Andreas Londos e dai suoi uomini, e solo una manciata di loro riuscì a salvarsi, decretando la completa rovina della campagna di Dramali.

venerdì 26 settembre 2025

L'ALFABETO DI ELBASAN ✒️

 

📜 L'alfabeto Elbasan era un sistema di scrittura di 40 lettere utilizzato per la lingua albanese a metà del XVIII secolo.

Fu creato appositamente per la traduzione manoscritta dei Vangeli in albanese, nota come "Anonymi i Elbasanit".

🔹Questo manoscritto è l'unico documento noto scritto con questo particolare alfabeto.

Gregorio di Durazzo (in albanese: Gregori i Durritsit; o Grigor Konstantinidhi) (c. 1701–1772) fu uno studioso, tipografo, insegnante, monaco e chierico Cristiano Ortodosso Orientale albanese dell'Albania ottomana. Si ritiene che abbia inventato una speciale scrittura alfabetica albanese, la scrittura Elbasan, utilizzata per scrivere il manoscritto del Vangelo di Elbasan.

Il manoscritto è uno dei più antichi testi conosciuti della letteratura Cristiana Ortodossa Albanese, nonché la più antica traduzione conosciuta della Bibbia Ortodossa Orientale in albanese.

domenica 7 settembre 2025

MACEDONIA ED EPIRO SONONIMI DI ALBANIA


 🌿📜 Nella tradizione antica, l'inclusione di territori corrispondenti all'attuale Albania nell'antica Macedonia è attestata da diverse fonti importanti.

Strabone riferisce che, quando il regno macedone fu assorbito da Roma, "la via Egnazia attraversa il territorio di queste tribù, iniziando da Epidamno e Apollonia", collocando così le città di Durazzo e Apollonia all'inizio della grande strada romana all'interno dell'area macedone. Plinio, descrivendo l'organizzazione provinciale romana, è chiaro: "A Lisso inizia la provincia di Macedonia. La sua popolazione sono i Parti e, più all'interno, i Dassareti", integrando così inequivocabilmente le tribù dell'Albania centrale e meridionale nel quadro macedone. Infine, Tolomeo, nella sua Geografia, definisce i confini della Macedonia includendo una serie di città e popolazioni situate nell'attuale Albania: Amantia, Scampi (Elbasan), Dyrrahium (Durazzo), Apollonia e, soprattutto, "In Albani: Albanopolis", che stabilisce la presenza di un etnonimo albanese all'interno della geografia della Macedonia stessa. Queste tre prove coerenti dimostrano che, per gli autori antichi, la Macedonia si estendeva in quella che oggi è l'Albania, abitata da tribù albanesi: dai Partheni, dai Dassareti, dai Taulanti e dagli Albani.

Umanisti come Marin Barleti ripresero questa tradizione, collocando Scutari all'interno della Macedonia ed equiparando l'Epiro e l'Albania all'area macedone. Studiosi albanesi come Pjetër Bogdani e Frang Bardhi rafforzarono ulteriormente questa visione, collegando Alessandro Magno a Skanderbeg e identificando chiaramente Scutari come macedone. È una prova evidente che questa identificazione è rimasta viva nell'autorappresentazione degli albanesi.

Viaggiatori e studiosi europei confermarono la stessa continuità. Lady Mary Wortley Montagu descrisse gli albanesi come nativi dell'"antica Macedonia", mentre Edward Daniel Clarke ne sottolineò la discendenza dai macedoni, sottolineandone la sopravvivenza della lingua, dei costumi e del carattere. Anche i primi cartografi moderni collocarono l'Epiro e la Macedonia all'interno dell'Albania, riflettendo la stessa identificazione.

Questa tradizione ininterrotta, da Strabone, Plinio e Tolomeo, fino agli umanisti e ai viaggiatori moderni, trova il suo culmine nel giudizio degli osservatori del primo Novecento. Come scrisse l'autore francese Georges Verdène nel 1905: "La Macedonia può essere paragonata all'antica Gallia, che nel corso dei secoli e delle successive trasformazioni divenne la Francia moderna. La Macedonia ha cessato di esistere per diventare l'Albania". Questo paragone cattura l'essenza della continuità storica nota nel corso dei secoli: l'Albania non rappresenta una rottura con l'antichità, ma la trasformazione vivente dell'antica Macedonia. Questa concordanza di prove, lungi dal contrario, afferma una chiara conclusione: l'Albania odierna costituisce il cuore stesso dell'antica Macedonia.

Non è un caso che Skanderbeg rivendicasse questa illustre eredità. Ponendosi nella continuità degli Epiroti e dei Macedoni, egli incarnava la continuità vivente tra l'antico dominio di Alessandro e la nazione albanese. In lui, la memoria dell'Epiro e della Macedonia non rimase una reliquia del passato, ma si trasfigurò nel fondamento stesso dell'Albania moderna.

sabato 30 agosto 2025

HISTORIA BYZANTINA DUPLICI COMMENTARIO ILLUSTRATA

 

Autore: Charles du Fresne, Sieur du Cange
Pubblicazione: Parigi, 1680 📖

Nella sua monumentale opera Historia Byzantina duplici commentario illustrata (1680), l'eminente storico francese Charles du Fresne, Sieur du Cange – ampiamente acclamato come il "padre degli studi bizantini" – illumina le genealogie e l'impatto duraturo delle dinastie illiriche, dardane, macedoni, epirote e cioè albanesi. Du Cange evidenzia come queste dinastie non solo difesero le loro terre d'origine, ma raggiunsero anche un ruolo di primo piano nel cuore degli imperi romano e bizantino cioè l'Impero Romano Cristiano Ortodosso d'Oriente.

Dagli imperatori dardani della tarda Roma ai principi epiroti albanesi e ai despoti albanesi di Bisanzio, la loro eredità è inscritta nel contesto stesso della civiltà europea. Questi leader incarnarono coraggio, resilienza e brillantezza strategica, plasmando il corso degli imperi dall'Adriatico a Costantinopoli.

Il commento storico di Du Cange rafforza una verità spesso trascurata: gli albanesi sono gli eredi diretti dell'Impero Romano Cristiano Ortodosso d'Oriente di Costantinopoli, gli eredi diretti degli antichi popoli illirici, epiroti e macedoni il cui valore e il cui governo influenzarono il destino di tutta l'Europa. Questa eredità non è confinata a cronache polverose, ma vive nella nazione albanese, un popolo la cui resistenza, identità culturale e spirito di indipendenza rimangono intatti attraverso i millenni【Du Cange, Historia Byzantina, Parigi 1680】.

L'eredità albanese nella storia bizantina ed europea 🇦🇱

• Radici imperiali: numerosi imperatori e generali bizantini fecero risalire le loro origini all'Illiria, all'Epiro, alla Dardania e alla Macedonia, aree abitate dagli antenati degli odierni albanesi (vedi: J.B. Bury, History of the Later Roman Empire, 1923).

 • Continuità dell'Epiro: il Despotato dell'Epiro, regione albanese, portò avanti le tradizioni ellenistiche e illiriche fino al Medioevo inoltrato (N.G.L. Hammond, Epirus, 1967).

Identità duratura: Du Cange e gli storici successivi riconobbero che gli albanesi preservarono la loro antica eredità nonostante ondate di imperi, conquiste e migrazioni.

Pertanto, la Historia Byzantina è una cronaca bizantina cioè dell'Impero Cristiano Ortodosso d'Oriente Arbër e una testimonianza dell'eterna impronta delle stirpi albanesi sul destino dell'Europa, una stirpe di guerrieri e sovrani la cui eredità ispira ancora orgoglio e unità.

venerdì 29 agosto 2025

GLI ALBANI E LA FONDAZIONE DI ROMA

Presento qui alcuni estratti selezionati dal libro di Dionigi di Alicarnasso "Le Antichità Romane" (The Loeb Classical Library). Dionigi ci informa sulle varie ascendenze Arber romane, tra cui quella degli Albani (Αλβανοί).

Quando gli elleni o greci ancora non esistevano, il Mediterraneo era abitato da popolazioni pelasgiche delle quali gli odierni Albanesi-Arbëresh sono i discendenti.

Tra i primi che si insediarono vicino e nella regione del Lazio vi erano gli Etruschi, gente saggia (Me tru), provenienti dall'Epiro. Molti degli scritti presenti nei loro cimiteri sono stati decifrati grazie alla lingua Albanese.

Gli Enotri, una tribù Arbër arcadica e popolo Italico di origine Pelasgo-illirica cugini dei Dardani Achei e Troiani. Sugli Enotri il glottologo e linguista italiano Giacomo Devoto ne ipotizzò un'origine balcanica proto-Illirica per le somiglianze linguistiche e culturali con quelle degli Albanesi.

Gli Enotri avevano abbandonato spontaneamente il paese allora chiamato Licaonia e ora Arcadia, in cerca di una terra migliore, sotto la guida di Enotro, figlio di Licaone figlio di Pelasgo, da cui la nazione prese il nome. 

Mentre gli Aborigeni occupavano questa regione del Lazio, i primi ad unirsi a loro nel loro insediamento furono i Pelasgi-Albanesi della Emonia ora Tessaglia, dove avevano vissuto per qualche tempo. Dopo i Pelasgi Emoni giunsero i Pelasgi Arcadi dalla città di Pallanzio, che avevano scelto come capo della loro colonia Evandro, figlio di Ermes (Mercurio) e della ninfa Temi (o Carmenta, una donna mortale divenuta dea), insegnando agli abitanti la scrittura e la musica, e fu un alleato di Enea nella guerra contro i Rutuli. Questi costruirono una città accanto a uno dei sette colli che si trovano vicino al centro di Roma, chiamando il luogo Pallanzio, dalla loro città madre in Arcadia. Non molto tempo dopo, quando Eracle giunse in Italia di ritorno a casa con il suo esercito da Eritea, una certa parte del suo esercito, rimase indietro e si stabilì vicino a Pallanzio, accanto a un altro dei colli che ora racchiudono la città. Questo era allora chiamato dagli abitanti colle Saturnio, ma ora è chiamato Campidoglio dai Romani. La maggior parte di questi uomini erano Dori Epei che avevano abbandonato la loro città in Elide dopo che il loro paese era stato devastato da Ercole.

Durante la guerra di Troia, poco prima del duello finale tra Enea e Turno, c'è una conversazione tra gli dei pelasgi dove la dea Era (parola che dall'albanese signfica Vento) "regina del cielo" dice come i nomi Lazio e Albano debbano essere preservati mentre il nome di Troia dovrebbe scomparire.

Accadde che Enea fondò Alba Longa alle pendici del Monte Albano nel Lazio, a capo della confederazione dei popoli latini (populi albenses), da dove venne fondata Roma.

Nella sedicesima generazione dopo la guerra di Troia, gli Albani unirono entrambi questi luoghi in un unico insediamento, circondandoli con un muro e un fossato. Fino ad allora, infatti, c'erano solo ovili per bovini e ovini e alloggi per gli altri pastori, poiché il territorio circostante forniva erba in abbondanza, non solo per l'inverno ma anche per i pascoli estivi, grazie ai fiumi che lo rinfrescavano e lo irrigavano.

Gli Albani erano una nazione composta da Pelasgi-Albanesi: Arcadi, Epei provenienti dall'Elide e, infine, dai Troiani che giunsero in Italia con Enea, figlio di Anchise e Afrodite, dopo la presa di Troia. Ma tutto questo popolo, avendo perso le loro designazioni tribali, finirono per essere chiamati con un nome comune, Latini, da Latino, che era stato re di questo paese. La città murata, quindi, fu costruita da queste tribù nell'anno quattrocentotrentaduesimo dopo la presa di Troia, e nella settima Olimpiade. I capi della colonia erano fratelli gemelli di famiglia reale Albana, Romolo essendo il nome dell'uno e Remo dell'altro. Da parte di madre discendevano da Enea ed erano Dardanidi. Tuttavia, non continuarono entrambi a essere capi della colonia, poiché litigarono per il comando; ma dopo che uno di loro fu ucciso nella battaglia che seguì, Romolo, che sopravvisse, divenne il fondatore della città e la chiamò con il suo nome.

sabato 23 agosto 2025

SAN MERCURIO DEGLI ARBËR E LA MEMORIA STORICA DEGLI STRATIOTI ARBËR IN EUROPA

 

Nella memoria storica e religiosa dei primi Arbër della diaspora, la figura di San Mercurio occupa un posto speciale. 

Mentre oggi il nome di questo santo non è frequente tra gli Arbër e le chiese a lui dedicate sono poche in Grecia e nelle aree di migrazione degli Arbër, nei secoli XV-XVI il suo culto godeva di grande importanza.

Prima del 1821, quando San Giorgio divenne il patrono della rivoluzione Arvanita e in seguito dello stato ellenista greco, la popolazione Arvanita-Arbëresh aveva San Mercurio come patrono. Questo culto era strettamente legato alla natura guerriera degli Arbër e degli Stratioti Albanesi, che vedevano in San Mercurio la figura del santo del soldato e del vincitore in battaglia.

Una chiara testimonianza di questo culto è la diffusione del nome Mërkur tra gli Albanesi del sud e in particolare tra gli Arvaniti. Una delle figure più famose che porta questo nome è Mërkur Bua Shpata, discendente della famiglia principesca Albanese dei Bua Spata in Morea, uno dei più importanti stratioti Albanesi del XV-XVI secolo. Questo nome, associato al culto del santo, racchiudeva non solo il simbolismo della fede Cristiana Ortodossa, ma anche una dimensione identitaria marziale, conferendo al portatore del nome uno status legato alla tradizione dei vincitori e dei difensori della fede.

La figura di Mërkur Bua è una delle prove più evidenti del legame tra il culto di San Mërkur e l'identità marziale degli Arbër. Bua fu comandante di 300 stratioti Arbër e prestò servizio negli eserciti più potenti d'Europa. Combatté per l'imperatore tedesco Massimiliano I, per Luigi XII di Francia, per Venezia e partecipò alle battaglie più importanti dell'epoca. Nella battaglia di Marignani (1515), dove si affrontarono gli eserciti francese e svizzero, gli albanesi al suo comando sbaragliarono l'ordine di battaglia di 40.000 svizzeri, costringendoli alla ritirata. Le cronache europee registrano questa battaglia come la "vittoria dei giganti", dove 300 cavalieri Albanesi si presentarono come un intero esercito.

Lo storico e poeta Coroneo degli Arbani di Grecia, scrisse di lui come discendente di Pirro d'Epiro, Achille, Enea e Alessandro Magno: un'iperbole che attesta lo straordinario rispetto e la fama di questo guerriero Arbano. Nella battaglia di Pavia (1525), pur trovandosi di fronte al suo ex alleato, il re Francesco I di Francia, Bua dimostrò una rara grandezza: quando il re francese fu sconfitto e fatto prigioniero, i mercenari catalani volevano ucciderlo, ma Mërkur Bua intervenne e gli salvò la vita, conferendogli gli onori di un sovrano. Questo gesto era in linea con l'ideale di San Mercurio, guerriero e uomo giusto, a dimostrazione che per gli Arbëri la guerra non aveva solo una dimensione militare, ma anche etica e spirituale.

Il culto di San Mercurio tra gli Arbëri era legato al loro ruolo di soldati della diaspora, come stratioti in Italia, Dalmazia, Francia, Austria, Fiandre, Spagna e Prussia. San Mercurio era visto come il protettore della loro vita precaria, come garante della vittoria e dell'onore in battaglia. Per questo motivo il suo nome divenne comune e numerose chiese dell'epoca gli furono dedicate. Purtroppo, nel corso dei secoli con la presa della chiesa Ortodossa-Arbër di Costantinopoli da parte degli ellenisti e con il mutare delle priorità del culto religioso ellenista del moderno stato greco, questo santo è quasi scomparso dalla memoria collettiva. Oggi, solo resoconti storici e pochi nomi rimasti nelle genealogie testimoniano questo antico legame.

Un importante elemento simbolico è anche la bandiera donata a Mërkur Buas dall'imperatore Massimiliano I nel 1510, che raffigurava un'aquila bicipite nera – simbolo tipico dell'eredità Ortodossa-Arbër – e le insegne araldiche del Ducato di Borgogna. Questa bandiera testimonia la combinazione dell'elemento Arbër con la tradizione europea, a dimostrazione che gli stratioti albanesi e tutti gli Arbër della diaspora non hanno mai perso la loro identità.

Il culto di San Mërkur e la figura di Mërkur Bua fanno parte di un ricco patrimonio, in cui storia, religione e identità Arbër si fondono in una potente narrazione. San Mercurio, in quanto patrono degli Arbër, prima che la Chiesa Ortodossa-Arbër di Costantinopoli fosse presa dagli ellenisti del moderno stato greco e San Giorgio diventasse patrono della Grecia, rappresenta uno strato profondo della cultura della diaspora Albanese e del suo ruolo militare in Europa. La figura di Mercurio Bua, d'altra parte, incarna gli ideali del santo: coraggio, lealtà, onore e grandezza. Questo legame speciale dimostra che gli Arbër, ovunque combattessero, conservarono non solo le loro armi e i loro costumi, ma anche una dimensione spirituale del loro retaggio Ortodosso, rimanendo inseparabili dalle loro radici.


martedì 19 agosto 2025

IL SIGNORE GIURÒ A DAVIDE CON VERITÀ

 

🌿📜 "E, come ricordò Paolo, disse: "Il Signore ha reso stolta la sapienza di questo mondo", ciò che aveva esaminato nella sua sapienza.

E aveva detto: "Da mille donne genererò mille maschi ed erediterò le città del nemico e distruggerò gli idoli".

Ma [il Signore] non gli diede [a Salomone] che tre figli, di cui quello maggiore, il re d'Etiopia, figlio della regina d'Etiopia, è il primogenito.

È lui quello di cui dice nella profezia: "Il Signore giurò a Davide con verità e non se ne pentirà, come, il frutto del tuo ventre, stabilirò sul tuo trono".

Il Signore diede grazia al suo cospetto, a Davide suo servo, e concesse a lui di assidersi sul trono di Dio, dalla sua discendenza, secondo la carne, dalla Vergine: Egli giudicherà i vivi e i morti e retribuirà tutti secondo le proprie azioni. A Lui si deve la Gloria, al Signore nostro Gesù Cristo, nei secoli dei secoli, amìn! E gli concesse anche che, in terra, vi fosse un re sull'arca della Sua Legge, la Santa Celeste Sion, che è il re d'Etiopia.

Quanto a quelli che regneranno, che non sono d'Israele, ciò è una violazione della legge e del comandamento, che il Signore non gradisce."
(Kebra Nagast - La gloria dei re, cap.34)

domenica 17 agosto 2025

BUON COMPLEANNO IMPERATORE MENELIK II

 

🎊🎉💚💛❤️🎊🎉

Il 17 agosto è il compleanno di Imye Menelik, il nostro leader visionario che ha galvanizzato L'Etiopia nella lotta contro il colonialismo nella storica battaglia di Adua del 1° marzo 1896, aprendo le porte alla modernizzazione per la nazione Etiopica.

 Ecco un elenco parziale delle innovazioni da lui introdotte nel Paese di Etiopia:

• Linea ferroviaria
• Telegrafo
• Telefono
• Acqua corrente
• Elettricità
• Fotografia (fu il primo fotografo amatoriale d'Etiopia)
• Automobili
• Addis Abeba come capitale
• Eucalipto
• Servizio postale
• Tipografia
• Riviste di informazione
• Scuola moderna
• Ospedale moderno
• Film
• Biciclette (il primo ciclista d'Etiopia)
• Distilleria
• Filatoio moderno
• Farmacia
• Costituzione scritta
• Ministeri
• Ambasciate straniere (almeno 13 durante il suo mandato)
• Fabbrica di proiettili
• Panetteria
• Cinema
• Registrazione vocale su tamburi di cera
• Patente di guida (fu il primo conducente autorizzato d'Etiopia)
• Orologi con numeri "Geez"
• Riparazione di orologi (fu lui stesso il primo riparatore di orologi ad Addis)
• Pompe per l'acqua
• Ecc. ecc.

Ad eccezione del volo aereo, della televisione, di Internet e di pochi altri - Imye Menelik ha gettato le basi dell'Etiopia moderna.

lunedì 11 agosto 2025

L'OPERA DI PAPANTONIOU

 

"Quando Re Ottone di Grecia arrivò in Grecia nel 1830, riusciva a malapena a sentire qualcuno parlare greco, così chiese: 'Dove sono i greci ad Atene?'

I suoi cortigiani si guardarono l'un l'altro e risposero: 'Non ci sono greci, ma non preoccupatevi perché questa popolazione albanese sarà sempre fedele alla vostra monarchia'".

Questa citazione, inserita in un contesto storico reale, rafforza alcune verità spesso silenziose della storia ufficiale: quando Ottone sbarcò in quella che poi sarà chiamata Grecia (ufficialmente nel 1832), il paese era stato devastato dalla guerra d'indipendenza (1821-1829) e la città di Atene, ancora poco sviluppata e in gran parte disabitata, era abitata principalmente da Arvaniti, albanesi Ortodossi sia autoctoni che insediati fin dal Medioevo.

La lingua greca non era ancora dominante in città come Atene, mentre l'elemento albanese non solo aveva una pronunciata presenza linguistica e culturale, ma costituiva anche la principale forza combattiva che sostenne la formazione dello stato greco moderno. Questi dati, sebbene spesso trascurati dalle narrazioni nazionali, sono confermati anche da altre fonti storiche e documentarie.

Papantoniou, con il suo stile tipicamente critico e tagliente, pone questa realtà al centro della sua ironia storica, mostrando uno scontro tra le aspettative "europee" del re bavarese e la realtà multietnica e linguistica della neonata Grecia. Inoltre, l'affermazione sulla "lealtà della popolazione albanese" alla monarchia è una chiara allusione al ruolo degli Arvaniti nel mantenimento della stabilità interna e al loro contributo alla fondazione dello stato.

Questa prospettiva ci ricorda che la costruzione delle identità nazionali non è un processo semplice e lineare, ma spesso un'attenta selezione della memoria collettiva e la cancellazione di elementi che non si adattano alla narrazione ufficiale. Opere come quella di Papantoniou offrono una rara opportunità di leggere tra le righe della storia e di riscoprire le tracce di comunità che l'hanno significativamente influenzata, ma che sono spesso rimaste nell'ombra.

"Re Ottone" di Zaharias Papantoniou, pubblicato nel 1934 dalla Casa Editrice Dimitrakou di Atene, rappresenta uno dei tentativi più singolari di descrivere con ironia, ma anche con occhio critico, gli albori dello stato greco moderno sotto il regno di re Ottone di Baviera. Tra i numerosi episodi che gettano luce sugli aspetti politici e sociali di quel periodo, un breve ma estremamente significativo frammento serve da spunto per riflettere sulla struttura etnica e linguistica di Atene all'inizio del XIX secolo:

Nota a piè di pagina

1. Zaharias Papantoniou, Re Ottone, Casa Editrice Dimitrakou, Atene, 1934. Sulla copertina vi è raffigurato un albanese in abito tradizionale albanese che in seguito fu rubato dal moderno stato greco.


E anche:
- RE OTTONE NON ACCETTA L'ALBANESE E LA SUA STORIA ⬇️
https://giuseppecapparelli85.blogspot.com/2024/11/re-ottone-non-accetta-lalbanese-e-la.html

Girate queste informazioni ai moderni pseudo filo-greci che nascondono i fatti storici ingannando loro stessi e gli altri.

venerdì 1 agosto 2025

I QUARANTA BAMBINI 🎼🎺🥁

 

🌿 Hailé Selassié I durante la sua prima visita a Gerusalemme (1924)

Hailé Selassié I, futuro imperatore d'Etiopia, compì il suo primo viaggio internazionale nel 1924. All'epoca era giovane ed era sia l'erede al trono che il sovrano d'Etiopia, il che significa che governava in nome dell'imperatrice. Era un leader dalla mentalità moderna che desiderava modernizzare l'Etiopia, abolire la schiavitù e promuovere il suo paese a livello internazionale. Parlava fluentemente il francese e aiutò l'Etiopia ad aderire alla Società delle Nazioni.

Il suo viaggio lo portò attraverso l'Europa e il Medio Oriente per stabilire relazioni diplomatiche. Viaggiò in treno e in nave, arrivando infine a Gerusalemme. Gli etiopi avevano una lunga tradizione di visite a Gerusalemme e lo stesso Hailé Selassié I nutriva un affetto speciale per il Santo Sepolcro, un luogo di grande importanza per i cristiani. Il loro viaggio coincise con le festività pasquali, il che permise loro di partecipare a cerimonie speciali, tra cui l'accensione della lampada. Trascorsero dieci giorni visitando numerosi luoghi sacri e storici.

🌿 Perché Hailé Selassié I visitò Gerusalemme.
Hailé Selassié I aveva obiettivi chiari per il suo viaggio:

Pellegrinaggio: Da cristiano profondamente religioso, stava seguendo le orme del padre. Dimostrò grande rispetto visitando i luoghi santi. Questo contribuì a dissipare le voci in Etiopia secondo cui si fosse convertito al cattolicesimo.

Aiutare gli etiopi a Gerusalemme: Considerava il suo viaggio anche un "viaggio d'affari"; si trattava di aiutare la povera comunità etiope che viveva in condizioni difficili sul tetto del Santo Sepolcro (Golgota). Aveva in programma di incontrare il Patriarca ortodosso egiziano per discutere dei loro problemi.

Proprietà e relazioni ecclesiastiche: Si dice che negoziarono con il Patriarca greco per l'acquisto di una stanza in un monastero vicino al Santo Sepolcro (Golgota) da utilizzare come sala di preghiera per gli etiopi. In cambio, si dice che abbiano donato un ampio appezzamento di terreno al Patriarca greco in Etiopia. Visitarono anche le proprietà etiopi a Gerusalemme che i monaci utilizzavano come fonte di reddito.

🌿 Armenian Orphan Band:

Una delle visite più significative del loro viaggio fu quella a un monastero armeno. Incontrarono il Patriarca armeno e videro una banda musicale composta da 40 bambini armeni di età compresa tra i 15 e i 18 anni, sopravvissuti al genocidio del 1915. Questi orfani erano stati portati a Gerusalemme nel 1922.

Il Patriarca disse ad Hailé Selassié I che prendersi cura di questi talentuosi musicisti era un grande onere finanziario. Hailé Selassié I, mosso da compassione, li portò ad Addis Abeba e diede loro una residenza permanente. Invitò l'intera banda, insieme al loro insegnante e direttore, a trasferirsi ad Addis Abeba e a nominarli Musicisti Reali d'Etiopia. Fu firmato un contratto di residenza quinquennale con l'Armenian Charity Society, responsabile della cura degli orfani. Anche la comunità armena di Gerusalemme accolse con grande gioia l'iniziativa di Hailé Selassié I.

,🌿 "Quaranta Bambini" e l'inno nazionale etiope:

Dopo il fruttuoso viaggio di Hailé Selassié I dall'Europa, gli orfani armeni lo raggiunsero a Porto Said, in Egitto, e si diressero ad Addis Abeba. Sebbene Hailé Selassié I non abbia scritto molto su di loro nelle sue memorie personali, era chiaro che fossero molto importanti per lui.

Questi 40 orfani armeni arrivarono ad Addis Abeba il 6 settembre 1924 e divennero noti come i "Quaranta Bambini". Formarono la Royal Ethiopian Band, ricevettero uno stipendio mensile, alloggio e lezioni di musica dal loro direttore musicale armeno, Kiwerk Nalbandian, egli stesso orfano.

L'imperatore Hailé Selassié I rimase così colpito dall'esibizione della banda che chiese a Nalbandian di comporre l'inno nazionale etiope nel 1926. Nalbandian compose l'inno nazionale, "Tefiri Marsh, Ethiopia Hoi", che significa "Rallegrati, Etiopia!", e fu eseguito per la prima volta dai 40 orfani di Addis Abeba il 2 novembre 1930, quando l'imperatore Hailé Selassié I fu incoronato imperatore.

Sebbene la banda si sciolse dopo l'occultamento dell'imperatore, si dice che la maggior parte dei suoi membri sia rimasta in Etiopia. Questo evento, unito all'arrivo di altri talentuosi armeni, portò la comunità armena di Addis Abeba a crescere e ad aumentare di numero durante il regno dell'imperatore Hailé Selassié I. Ingegneri, fotografi, medici e uomini d'affari armeni contribuirono a trasformare la città in un fiorente centro culturale e commerciale. Al suo apice, oltre duemila armeni vivevano e lavoravano ad Addis Abeba, e la città aveva una chiesa, una scuola superiore e un club molto attivi. Tuttavia, dopo la rivoluzione marxista, ne rimasero solo una cinquantina.

giovedì 31 luglio 2025

I PADRI DELLA RAZZA GRECA E LATINA 🇦🇱

 

⚡ «Οἱ ̓Αλβανοί θεωροῦνται εἰκότως πατέρες τῆς Ἑλληνικῆς φυλῆς»
" Gli Albanesi sono considerati i padri della razza greca"

📜 "Nell'Epiro superiore e medio, dai monti Grammonas e Acrokeravnia alla catena del Pindo e lungo il Drimino, dall'Adriatico e dallo Ionio all'Egeo, ma anche su alcune isole e attorno all'Attica, in gruppi e sporadicamente, vivono gli Albanesi, QUESTA ANTICA TRIBÙ PELASGICA ED ERACLEA, questi coraggiosi e valorosi difensori della fede della patria e fedeli osservatori e custodi degli antichi costumi e tradizioni. GLI ALBANESI SONO CONSIDERATI I PADRI DELLA RAZZA GRECA [...]
 
[...] Questi, come la maggior parte dei popoli antichi dalle rive dell'Eufrate e del Gange fino al Caspio e al Caucaso, accampandosi tra l'Iberia e il Caspio e il Perigeo dell'Ocumene dionisiaco, erano inizialmente ciclopici, nomadi e pastori."
(Estratto da: "Gli albanesi e il loro futuro nell'ellenismo, con un'appendice sui greco-valacchi e bulgari" Anno: 1879)

⚡ «οἱ ̓Αλβανοί πατέρες, τῶν Λατίνων Τὸ γένος, τὰ τειχόκαστρα τῆς δοξασμένης Ρώμης» 
"I padri Albanesi, la stirpe latina, tengano le mura della gloriosa Roma." (Virgilio)

📜"Io, che prima cantavo con un tenero flauto e dalle foreste che emergevano ai campi aperti stringevo e insaziabili coppie di volontà per volgere, un'opera gradita ai contadini, ora canto i carri e l'eroe del crudele Marte, che, come volle il Fato, fuggendo dalla terra di Troia, in Italia sulle rive di Lavinio giunse per primo, poiché dalle divine sinergie ha reso paradisiache molte terre del mare, per l'ira insonne dell'iraconda Era, e poiché da dove molte la guerra sopportò, affinché potesse fondare la patria e portare nel Lazio gli dei di Othe, I PADRI ALBANESI, LA STIRPE LATINA, tengano le mura della gloriosa Roma. Musa, studia le ragioni per me, per la volontà di chi sfida, per quale bisogno di lei la regina degli immortali, il persiano timorato di Dio, soffrì così tanto, così tanto? Tale L'ira si adatta alle viscere celesti. C'era un paese antico, dove i Tiri avevano la loro dimora, in Italia di fronte, di fronte alla foce del Timbrio, Cartagine, ricchissima di potenza e di opere. Feroce in guerra, dove, come si dice, Era amava, unica più di ogni altra terra, più della stessa Samo. Lì aveva un carro, lì carri; a questo regno per dare ai popoli, che il Fato in qualche modo avrebbe perdonato, la dea si prese cura e si prese cura da allora in poi."
(Estratto da: Virgilio, "Eneide di Virgilio", libro primo)

DEREK 🔯🔥

sabato 26 luglio 2025

RE PIRRO D'EPIRO.


 • Re dell'Epiro, Pirro è una delle figure più importanti della storia albanese dell'antichità e la sua vita turbolenta è vividamente descritta da Plutarco.

Con l'ascesa del re molosso, l'antico Epiro acquisì per la prima volta splendore, ben oltre i suoi confini.

~~ Pirro divenne famoso per la sua campagna nell'Italia meridionale, a sostegno delle tribù illiriche come i Messapi e gli Iapigi dell'Illiria di quel tempo.

Pirro e Annibale furono gli unici a contrastare l'avanzata dell'impero romano.

Le vittorie che ottenne, dopo pesanti perdite, diedero origine all'espressione "vittoria di Pirro".

• Tuttavia, la campagna di Pirro in Italia e l'indebolimento della sua patria da parte di una popolazione bellicosa gli causarono in seguito gravi danni, quando fu conquistata dai Romani. Vale la pena notare che Pirro ebbe la fortuna di ereditare l'organizzazione militare di Alessandro Magno, che per l'Epiro è l'equivalente di Filippo II.

~~ Alessandro riorganizzò la società albanese epirota ed è probabilmente il successore delle formazioni che... Nel 353 a.C., il matrimonio di Filippo con Olimpiade portò l'Epiro e il suo esercito sotto l'influenza macedone.

Fu allora che le unità di ricognizione apparvero per la prima volta nell'esercito continentale.

•Nel 281 Taranto (nell'Italia meridionale) chiese l'aiuto di Pirro contro Roma.

Attraversò l'Italia con circa 25.000 uomini e nel 280 ottenne una vittoria completa, forse costosa, su un esercito romano a Eraclea.

Nel 279 Pirro, subendo nuovamente pesanti perdite, sconfisse i Romani ad Ausculum (Ascoli Satriano) in Puglia.

•Nel 275 subì gravi perdite in una battaglia contro Roma a Benevento.

• Anche Pirro, re dell'Epiro, portò venti elefanti per attaccare i Romani nella battaglia di Candia nel 280 a.C.

I Romani non erano preparati a combattere contro gli elefanti e le forze dell'Epiro inflissero loro una schiacciante sconfitta.

• Pirro entrò in Italia con un esercito composto da 20.000 fanti, 3.000 cavalieri, 2.000 arcieri, 500 frombolieri e 20 elefanti da guerra nel tentativo di sottomettere i Romani.

Gli elefanti gli erano stati prestati da Tolomeo II Filadelfo, che aveva anche promesso 9.000 soldati e altri 50 elefanti per difendere l'Epiro mentre Pirro e il suo esercito erano lontani dall'Epiro, che si trovava nell'Italia meridionale.

Fonti:👇
Livio 32.5.9
Hammond 1967: 209-211, 699-700,
Imperium Romano.

martedì 22 luglio 2025

LA GIOIA DEGLI ARVANITI

 

🌿 Alla fine degli anni Ottanta, uno studioso albanese, storico e linguista, si recò ufficialmente in Grecia. Da studioso appassionato, si trovò nella maggior parte delle zone di lingua albanese.

Era padre di un bambino, come tutti gli albanesi di quel tempo, cioè poveri, una volta si fermò da qualche parte a Maratona, in Grecia, sul ciglio della strada, per comprare della frutta. C'era una zona abitata dagli Arvaniti e il venditore era un Arvanita.

Comunicare in albanese con il ragazzo divenne il motivo per cui l'Arvanita intervenne e così abbiamo una storia tanto toccante quanto interessante. L'Arvanita li scambiò per... Arvaniti di Grecia e li ascoltò con molta attenzione...

Il padre va a comprare delle pere, ma il ragazzo non le preferiva e disse al padre in albanese davanti all'Arvanita:

- "Per favore padre, non voglio pere, voglio mele. (nuk dua dardhë, dua mollë)."

L'Arvanita, quando lo sentì, rimase stupito. Era molto colpito da un ragazzo così giovane che conosceva così bene la "lingua arvanita", come faceva da bambino...

"La lingua Arbër vive e non morirà mai con questi uomini coraggiosi", pensò il fruttivendolo.

Negli occhi del vecchio Arvanita, si vedevano stranamente delle lacrime sgorgare dai suoi occhi...

Questo colse padre e figlio di sorpresa.

"Come conosce bene la lingua arvanita il ragazzo", si rivolge a lui il vecchio Arvanita.

"Che tuo figlio viva a lungo come le montagne."

E continuò così: "Con uomini così coraggiosi, la lingua arvanita non andrà mai perduta, non deve andare perduta. Perché è la lingua dei coraggiosi, degli eroi, tutti gli eroi della Grecia sono arvaniti."

Padre e figlio capirono cosa stava succedendo e, dopo averlo lasciato calmare dalla contentezza, il padre disse:

"Noi, signore, non siamo arvaniti, siamo albanesi e parliamo la vostra stessa lingua, come forse saprete."

Il vecchio non se l'aspettava e per un attimo si perse, dato che non aveva mai sentito parlare albanesi prima, ma poi si riprese e disse:

"Eh! Davvero?"

"Sì, signore."

Dopo aver ricevuto alcune spiegazioni, il vecchio finalmente capì.

"Sì, sì, sì, com'è facile capirsi... ma per favore, parlami un po' di albanese..."

"Come parli bene la nostra lingua",
rivolgendosi al figlio...
"Prendila, figlio mio, prendi quante mele vuoi, prendi quello che vuoi, non voglio soldi da te. Poiché mi piaci così tanto, mi hai ricordato la mia infanzia, il tempo in cui nel villaggio tutti parlavano arvanita. Oh, che miracolo fu quello, e anche questo."


Passò più di mezz'ora così, parlando in arvanita.


E poi si rivolge a suo padre, dicendo:

"Centinaia di anni qui in Grecia e la nostra lingua non è cambiata affatto...

Oh, quanto hai reso felice questo vecchio, ne sono stato commosso, ero convinto prima di morire che la nostra lingua vive da qualche parte e che Dio la benedica e la faccia crescere. La lingua Arbër non scomparirà, dicevano gli anziani, ma io avevo paura perché non è scritta e nessuno la insegna a scuola qui in Grecia.

Che tu possa vivere e che Dio sia sempre con te e con la lingua arvanita."

"Ogni pietra che sposterai in Grecia parlerà... arvanita. Ma tempi bui stanno arrivando per la nostra lingua, qui in Grecia. Puoi fare qualcosa al riguardo?"

La preoccupazione del vecchio.
La gioia del vecchio.
L'anima del vecchio.
La lingua arvanita.

Dopo tanto discutere prendemmo la via del ritorno.

Non dimenticherò lo sguardo amaro dell'anziano, che mi guardava perdermi alla svolta della strada. Questo, perché non avrebbe avuto alcuna speranza che gli Arvaniti sarebbero riusciti a sopravvivere.

Dopo 25 anni. Quanto aveva ragione il vecchio Arvanita. Il tempo lo ha dimostrato.

Tra altri 25 anni, non ci saranno più il dialetto arvanita e la lingua albanese in Grecia.

📷 Nella foto: dipinto di Albanesi di Atene... 

"Atene era solo un villaggio albanese. Quasi tutta la popolazione dell'Attica è considerata ed è composta da albanesi. A tre leghe di distanza (14,5 Km) dalla capitale ci sono villaggi che capiscono a malapena il greco."

(Empire Newspaper (Sydney, Australia) 5 Maggio 1863)

venerdì 4 luglio 2025

SULLA "MIGRAZIONE" DEGLI ARVANITI NELLE AREE DEL MODERNO STATO GRECO:

 

Ci viene detto dai moderni filogreci (e loro insistono su questo) che gli Albanesi-Arvaniti giunsero in quel territorio che oggi viene chiamato Grecia, per la prima volta, nel XIII e XIV secolo d.C., e che prima di queste discese, non c'erano Arvaniti in questo paese!

Ma allora:

1. Perché quella che ora è chiamata Grecia, durante il periodo dell'Impero Romano, apparteneva alla provincia dell'"Illirico"?

2. Perché, durante il periodo dell'inizio dell'Impero Bizantino, il Peloponneso apparteneva all'"Illirico Orientale", che aveva Corinto come capitale? E

3. Perché tutti i toponimi antichi (pre-ellenici), i nomi (di dei ed eroi), così come le iscrizioni anteriori al VI secolo a.C., che non possono essere interpretati in lingua greca (antica e moderna), sono interpretati in Albanese-Arvanita-Arbëresh? 

Quindi chiediamo a ogni autentico studioso di storia greca:

È possibile che la Provincia e il Thema dell'Illirico non avessero Illiri, cioè Albanesi-Arvaniti?

È possibile che, dove ci sono toponimi Albanesi-Arvaniti, non ci fossero Arvaniti?

Che qualcuno si renda finalmente conto che la storia degli Albanesi-Arvaniti-Arbëresh è stata scritta di nuovo e in maniera errata, e questa volta... dagli stessi ignoranti Arbëresh e Arvaniti che hanno subìto il lavaggio del cervello dal moderno ellenismo bavarese!!!


📷 Nella foto:
- Mappa della prefettura dell'Illirico 0-399 d.C.

-Traduzine testo foto: La provincia di Acaia, dal 395 d.C. con la separazione dello stato romano d'Oriente da quello d'Occidente, appartiene all'Illirico Orientale con capitale a Corinto e retta da un governatore.

giovedì 26 giugno 2025

IMPARATE LA STORIA


"Ringrazio le istituzioni italiane per aver integrato e non assimilato gli Arbëresh."
(Bajram Begaj, presidente della Repubblica d'Albania, 26 giugno 2025)

Mentre in Italia gli Arbëresh, o albanesi d'Italia, furono integrati nel territorio italiano, gli Arvaniti, gli Albanesi del moderno falso stato greco, furono perseguitati e forzati a dimenticare le loro radici e la loro lingua e assimilati a uno stato fittizio dove paradossalmente inizialmente non si parlava nemmeno greco.

Nel 1916 nel moderno stato della Grecia voluto dagli inglesi ancora si parlava Albanese, e con tutti i mezzi si cercava di cancellare questa lingua e la loro identità.

📷 Nella foto, Tema: Popullsia Arvanite në Greqinë Arvanite, documento n. 126
"ALBANIA - L'ascesa di un regno" di J. Swire - 1971 
ALBANIA PRIMA DEL TRATTATO DI BERLINO
"I capifamiglia [Arvanite-Albanesi] forniscono i migliori soldati dell'esercito greco e anche ottimi marinai" (E.B. 12: 430).
In un articolo del mensile greco Parnassos (febbraio 1916: C.C. 206), si afferma che "la maggior parte dei nostri soldati parla tra loro in lingua albanese, un'abitudine molto deplorevole. È opportuno che questa abitudine venga eliminata con tutti i mezzi necessari e vigorosi". Il principe Lichnowsky scrisse: "lo stesso cosiddetto abito nazionale greco è di origine albanese".

Furono quindi anche gli stranieri, soprattutto i britannici, a unirsi agli ellenici nello sterminio della lingua Albanese nel moderno stato greco. Perché la lingua è la nazione. Se hai perso la tua lingua, hai perso identità e nazionalità.

E ci sono ancora dei tizi 🤡 filogreci tra gli Arbëresh che cercano di distorcere la storia negando e nascondendo come il moderno stato greco abbia agito per eliminare l'identità e la lingua Albanese.

Questi tizi "copia incolla" che hanno dimenticato la loro lingua e le loro radici e la loro storia cercano di collegare gli Arbëresh con la Grecia moderna per ingraziarsi dei fascistelli greci uniati pseudo ortodossi nascondendo il fatto che la Grecia moderna ha perseguitato i nostri fratelli Arvaniti e li ha costretti a dimenticare la loro lingua e indentità.

Il loro obiettivo é ancora volto all'assimilazione e alla distruzione della lingua Arbëresh. Attenti agli ignoranti lupi rapaci.

Per saperne di più leggi anche:
MOJ E BUKURA MORE ⬇️
https://giuseppecapparelli85.blogspot.com/2025/06/moj-e-bukura-more.html

A quei pseudo Arbëresh filogreci che, per la visita di oggi del presidente della repubblica d'Albania nei paesi Arbëresh, sui social scrivono queste stupide domande chiedendo "Che cosa c'entrano gli Arbëresh col presidente dell'Albania?", rispondo: "Perché chi dovrebbe venire a visitare i paesi Arbëresh? Il presidente della Grecia o quello della Serbia? Due nazioni che hanno perseguitato gli Albanesi e cancellato la loro lingua e che tutt'ora ancora cercano di assimilarli? Imparate la storia"

📷 Nella foto in basso: Soldati Albanesi-Arvaniti-Arbëresh Ortodossi in abito tradizionale militare albanese, a Meteora, nel moderno stato della Grecia, nel 1930.


DEREK 🔯🔥

lunedì 23 giugno 2025

MOJ E BUKURA MORE 🇦🇱

 

🌿 Noi Arbëresh cantiamo "Moj e bukura More" perché molti di noi provenivano dalla Morea... Sì, perché la Morea, l'odierno Peloponneso, era una regione Albanese abitata da Albanesi fin dall'antichità.

Per esempio storicamente, la città di Sparta, nel Peloponneso, fu fondata dai Dori nel X secolo a.C., un popolo albanese che proveniva dalla Dardania. E gli stessi Micenei, conquistati dai Dori, erano una popolazione albanese anch'essi discendenti della Dardania.

📜 "Gli albanesi vivono in quella che oggi è chiamata Grecia interna fino al Peloponneso fin dall'invasione dorica del XII secolo a.C. I reperti archeologici hanno stabilito affinità tra i teschi delle montagne albanesi settentrionali e quelli trovati a Creta nello stesso periodo. Il che suggerisce abbastanza che Sparta sia stata fondata dagli antenati degli albanesi. Soprattutto perché il fondatore di Sparta era Illo. Un nome che gli albanesi usano ancora oggi nella forma di Yll, che significa stella." (The Dorian Invasion reviewed in the light of some New Evidence, The Antiquaries Journal, Cambridge University Press, Pagina 220, 08 gennaio 2012)

Più recentemente il Sig. Liakopoulos, studiando i registri catastali ottomani, ha scoperto che all'inizio del loro dominio (ca. 1460-1463), il Peloponneso, che un tempo si chiamava Pelasgia dai suoi abitanti pelasgo-albanesi, pullulava di albanesi a tal punto che per lui non erano emigrati da poco ma risiedevano in quella regione dall'inizio dei tempi. Secondo il suo studio, nel Peloponneso gli albanesi avevano un rapporto di 4 a 1 rispetto ai "greci"; riferendosi a "greci" verso coloro che parlavano una lingua grecanica derivante in sé da un substrato albanese.

Inoltre 500 anni fa, a causa del dominio ottomano, nel regno di Napoli emigrarono solo Albanesi-Arbëresh provenienti da queste regioni, perché? Perché di "greci" non c'è n'erano e la Grecia come stato a quei tempi non esisteva affatto.

La maggioranza greca nel moderno stato greco e la minoranza greca in Albania meridionale è stata inventata a tavolino.

La stessa Atene non era altro che un villaggio Albanese: 

📰 Dall'Empire Newspaper (Sydney, Australia) 5 Maggio 1863 leggiamo:
"Atene era solo un villaggio albanese. Quasi tutta la popolazione dell'Attica è considerata ed è composta da albanesi. A tre leghe di distanza (14,5 Km) dalla capitale ci sono villaggi che capiscono a malapena il greco."

Quando Atene aveva una maggioranza albanese altamente visibile, com'è possibile che sulle montagne dell'Albania meridionale ci fosse una minoranza greca? Tutte stupidaggini...

Indubbiamente, la propaganda del moderno falso stato greco ellenista costruito dagli inglesi su una popolazione a maggioranza Albanese ha fatto danni incalcolabili e ora aimè ci sono dei tizi che ancora ci vogliono etichettare come "greci" o provenienti dalla "Grecia" per il solo scopo di assimilazione e falsificazione della storia per inventarsi un primato che non esiste.

Infatti c'è differenza tra etnia e nazione... Sì, molti dei nostri antenati provengono da quella regione dei Balcani che ora è falsamente chiamata Grecia da dopo il 1821, ma le nostre radici, il nostro sangue e la nostra madre lingua è Albanese-Arbëresh.

"Per dimostrare di essere greco o greco antico, devi prima dimostrare di essere un Arbanon, Arber", quindi di origini albanesi, come diceva un famoso studioso Arvanita amante delle sue radici.

Il moderno stato greco è un'invenzione europea moderna, esso fu istituto dopo la rivoluzione Arvanita del 1821 su una popolazione a stragrande maggioranza Albanese, i quali in seguito furono perseguitati e obbligati con la forza a dimenticare la loro identità, le loro radici e la loro madre lingua.

L'affermazione "controlla la lingua di un popolo e ne controllerai la mente" quì calza a pennello; è un'espressione che sottolinea l'importanza della lingua come strumento di potere e controllo culturale. Non si tratta di un controllo letterale della mente, ma di come la lingua possa influenzare il pensiero, la cultura e, di conseguenza, il comportamento di un gruppo di persone.

Ma persino se vogliamo vedere le cose a livello religioso i fatti sono ben diversi da come ce li raccontano; gli immigrati Albanesi-Arbëresh venuti nel regno di Napoli erano Cristiani Ortodossi facenti parte del Patriarcato di Costantinopoli che come insegnano gli storici:

📜 "L'impero bizantino era l'impero illirico e non quello dei greci nel Medioevo, come prevale l'opinione, perché nel Medioevo non esistevano greci ellenici." (Gustave Glotz. Storico francese)

L'Impero Romano Ortodosso d'Oriente sotto la dinastia Illiro-Macedone dell'antica dinastia Dardana Albanese conobbe una rinascita durante il regno degli imperatori Macedoni albanesi tra la fine del IX, X e l'inizio dell'XI secolo, quando ottenne il controllo del Mar Adriatico e dell'Italia meridionale. La dinastia macedone albanese fu caratterizzata da una rinascita culturale in ambiti come la filosofia e le arti, ed è stata soprannominata l'"Età dell'Oro" di Bisanzio. I primi Cristiani d'Europa furono infatti gli Albanesi convertiti dallo stesso San Paolo come egli stesso scrive negli Atti degli Apostoli, e lo stesso Imperatore Costantino il Grande fondatore di Costantinopoli era Albanese.

Ai moderni studiosi filogreci vorrei dire di guardare ai fatti e non alle seghe mentali degli uniatisti, perché lo scopo di questi è ancora volto alla distruzione e all'assimilazione dell'identità Arbëresh e alla cancellazione della loro lingua madre, proprio come ha fatto il moderno stato greco sui nostri fratelli Arvaniti.


📷 Nella foto: Splendida incisione del XIX secolo, colorata a mano, raffigurante l'acropoli di Micene nel Peloponneso; Uno studioso europeo a Micene è in compagnia dei suoi abitanti autoctoni Albanesi in abito tradizionale Albanese.

📷 Nella foto in basso: Micene, veduta della tomba di Agamennone con un Albanese in costume tradizionale Albanese, di Louis Boitte intorno al 1847.


ATTACCO TERRORISTICO AD UNA CHIESA ORTODOSSA DI DAMASCO, SIRIA.


Damasco, 22 giugno 2025

In questo giorno in cui la nostra Chiesa di Antiochia commemora tutti i Santi di Antiochia, la mano infida del male ha colpito questa sera, reclamando la nostra vita, insieme a quella dei nostri cari caduti oggi come martiri durante la Divina Liturgia serale presso la Chiesa del Profeta Elia a Dweilaa, Damasco.

Secondo le prime informazioni disponibili al momento, si è verificata un'esplosione all'ingresso della chiesa, che ha causato la morte di numerosi martiri e il ferimento di molti altri che si trovavano all'interno della chiesa o nelle sue immediate vicinanze.

Mentre stiamo attualmente contando i martiri e i feriti e raccogliendo i resti e i corpi dei nostri martiri, il cui numero esatto non siamo ancora stati in grado di determinare, il Patriarcato Ortodosso di Antiochia e di tutto l'Oriente condanna fermamente questo atto atroce e denuncia, con la massima fermezza, questo crimine orribile. Invita le autorità responsabili ad assumersi la piena responsabilità di quanto accaduto e continua ad accadere in termini di violazione della sacralità delle chiese e a garantire la protezione di tutti i cittadini.

Sua Beatitudine il Patriarca Giovanni X ha seguito personalmente gli sviluppi fin dal primo momento. Sta conducendo comunicazioni sia locali che regionali per trasmettere al mondo intero la triste realtà che si sta svolgendo a Damasco. Chiede un'azione urgente per porre fine a questi massacri.

Offriamo le nostre preghiere per il riposo delle anime dei martiri, per la guarigione dei feriti e per la consolazione dei nostri fedeli addolorati. Riaffermiamo il nostro incrollabile impegno nella fede e, attraverso questa fermezza, il nostro rifiuto di ogni paura e intimidazione. Imploriamo Cristo nostro Dio di guidare la nave della nostra salvezza attraverso le tempeste di questo mondo, Lui che è benedetto per sempre.

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mercoledì 18 giugno 2025

IL CODICE DI TAR DUSHANI TRUFFÒ GLI ALBANESI, li costrinse alla conversione e confiscò i loro beni.

 

Fonti storiche testimoniano le misure particolarmente dure che Stefan Dushan attuò a danno della popolazione albanese. "Gli Arbani sono gravemente oppressi dall'insopportabile e pesantissimo giogo degli odiati sovrani slavi... Il clero è umiliato e perseguitato, i nobili sono espropriati e imprigionati", scrive un rapporto del 1332 dell'arcivescovo francese di Tivat, Guglielmo di Ada.

A partire dal XIII secolo, i re serbi della dinastia Nemanja si adoperarono per spostare l'epicentro del loro stato da Rasha verso le ricche regioni albanesi del Kosovo e di Gand. Le città di quest'ultima, Scutari, Prizren, Pristina e Skopje, divennero in periodi diversi la sede della corte serba. Un altro importante centro del Kosovo, Peja, dalla metà del XIII secolo divenne il centro della chiesa autocefala serba. Lo spostamento dei centri di gravità dello Stato serbo verso sud fu accompagnato da altri fenomeni di natura sociale ed etnica, più visibili in Kosovo. Parte dell'aristocrazia albanese locale fu espropriata e sostituita dall'aristocrazia terriera serba, laica e soprattutto religiosa. A partire dalla seconda metà del XIII secolo, le chiese e i monasteri Ortodossi albanesi del Kosovo furono serbizzati e molti di essi furono costruiti, dotati di ingenti fondi fondiari.

Durante il regno di Stefano Dušan, intorno alla metà del XIII secolo, i monasteri Ortodossi albanesi, ora serbizzati, di Deçan, Greçanica, Banjska, Kryëngjëllit, il monastero Ortodosso di Hilandar sul Monte Athos e, accanto a essi, i vescovati di Peja, Prizren ecc., possedevano una parte considerevole dei villaggi del Kosovo e di altre regioni dell'Albania settentrionale.

Oltre alla colonizzazione, i re serbi, e in particolare lo zar Stefano Dušan, attuarono una politica volta ad assimilare le popolazioni albanesi delle regioni conquistate. Repressione e persecuzione in campo religioso furono scelte come le più efficaci a tal fine. Interi capitoli del codice di Stefano Dušan e ordini speciali dello zar serbo prevedevano misure severe, come la confisca dei beni, la marchiatura a fuoco, l'espulsione e persino la pena di morte per i cristiani cattolici e Ortodossi albanesi che si rifiutavano di convertirsi all'Ortodossia serba e non venivano ribattezzati con nomi slavi. Oltre ai documenti d'archivio, diversi testimoni dell'epoca, come il viaggiatore anonimo del 1308, l'arcivescovo francese di Tivat, Guglielmo d'Ada (1332), e il cardinale italiano Guido da Padova (1350), sottolineano con particolare enfasi questo aspetto della politica dei re serbi nei confronti delle popolazioni non slave conquistate, sancito dal diritto serbo medievale, il codice di Stefano Dušan (1349). Tali misure colpirono principalmente le popolazioni albanesi di fede cattolica e Ortodossa delle regioni settentrionali e nord-orientali, dove la pressione dello Stato serbo era più forte. Determinarono la diffusione del fenomeno della slavizzazione religioso-onomastica in alcuni strati della popolazione albanese.

Per questo motivo, tra il XIII secolo... XIII-XIV, oltre ai numerosi albanesi che portavano nomi come Gjin, Dede, Gjon, Progon, Llesh, in questi territori vi sono anche altri albanesi, descritti dalla documentazione stessa come tali, che portavano nomi slavi o che si erano adattati all'onomastica slava. Nomi come Pribislav, Radomir, Vladislav o i cognomi Vogliç, Kuqeviç, Flokovci, Gjinovci, ecc., dimostrano che in questo periodo (prima metà del XIV secolo) una parte della popolazione albanese dei territori settentrionali, sotto la violenta pressione degli invasori serbi, si trovava in una fase transitoria di assimilazione culturale e religiosa. In molti territori questo processo di assimilazione si interruppe nelle nuove condizioni che si crearono con la distruzione dello stato serbo e l'arrivo dei turchi ottomani (seconda metà del XIV secolo). Fu in questo periodo che si osservò un ritorno della popolazione alla caratteristica onomastica albanese, parallelamente al nuovo fenomeno dell'assunzione di nomi ottomani. Tuttavia, in alcuni dei territori in questione, soprattutto in specifiche aree di Gentë (Zeta), il processo di slavizzazione continuò anche dopo, portando gradualmente all'assimilazione culturale ed etnica di altre comunità albanesi.

(STORIA DEL POPOLO ALBANESE, V. 1, P. 238-242.)

domenica 15 giugno 2025

VISITA ALLA CHIESA ORTODOSSA DI SANTA SOFIA DI BERAT, ALBANIA 🇦🇱

 

🌿 Immersa nel cuore del Castello di Berat, la Chiesa di Santa Sofia è un gioiello nascosto lungo il sentiero che conduce alla Cattedrale di Santa Maria, oggi sede del Museo Onufri.

Risalente al XVII o XVIII secolo, questa chiesa Ortodossa si distingue per la sua pianta rettangolare e l'abside rivolta ad Est.

È riconosciuta come monumento culturale di I categoria, preservando un pezzo unico della storia di Berat.

Ciò che rende questa chiesa speciale è la sua dedicazione a Santa Sofia, la Sapienza di Dio, una rarità tra le chiese di tutto il mondo. 

Celebrata 25 giorni dopo la Pasqua nel calendario Ortodosso, questa dedicazione differisce da quella a Santa Sofia, la martire onorata il 17 settembre.

La chiesa ha assistito a molti capitoli di storia.

Ha subito danni durante la Seconda Guerra Mondiale a causa dei bombardamenti tedeschi ed è stata successivamente trasformata in un asilo durante il periodo comunista in Albania, quando la religione era fuorilegge. Dopo gli anni '90, è stata riaperta come luogo di culto e, nel 2021, è iniziato un importante restauro, guidato da fedeli devoti.

I visitatori noteranno una targa all'ingresso, che ricorda la ricostruzione della chiesa nel 1946 da parte di un gruppo di fedeli, a testimonianza della sua resilienza e del suo significato duraturo.

Esplorate questo santuario sereno e storico e scoprite le storie incise nelle sue mura e nella sua comunità.


DEREK 🔯🔥

venerdì 13 giugno 2025

ALLE MURA PELASGICHE DI BERAT 🪨🇦🇱

 

🌿 Per mura Pelasgiche si intendono le antichissime mura ciclopiche costruite in pietra grezza dagli antichi Pelasgo-Albanesi, la più antica popolazione d'Europa.

Molto prima dei greci e dell'ascesa della potenza romana, i Balcani occidentali risuonavano del suono della pietra sulla pietra, con le tribù Pelasgo-Albanesi o Illiriche che costruivano imponenti fortezze sulle colline che ancora oggi sfidano il tempo.

I Pelasgo-Illiri costruirono fortezze così avanzate che persino Roma se ne accorse.

Uno degli esempi più straordinari è a Berat, in Albania, fondata dalla tribù pelasgo-albanese dei Dassareti nel VI secolo a.C. In seguito, è stata sotto il dominio di altre tribù illiriche e poi dei romani. Nel 1385 Berat venne conquistata dai turchi ottomani e nel 1396, il clan albanese Cristiano Ortodosso dei Muzaka assunse il controllo di Berat che divenne capitale di una signoria autonoma, il principato di Berat.

I Dassareti furono una tribù pelasgo-illirica dell'Epiro. Erano una sottotribù nordica dei Caoni. Il nome Dassareti deriva dalla parola albanese DASH, cioè ARIETE; l'ariete era il simbolo della loro tribù che veniva inciso anche sugli elmi dei soldati [Qui un esempio ➡️ : https://giuseppecapparelli85.blogspot.com/2024/07/elmo-illirico-decorato.html ]; come per i Caoni il simbolo era il KA o KAU, che significa TORO in albanese.

Le imponenti mura ciclopiche di Berat, di cui oggi rimangono solo pochi tratti delle loro fondamenta, furono costruite con blocchi di pietra così grandi e perfettamente incastrati che gli ingegneri moderni ne dibattono ancora oggi i metodi. Non si trattava di una rozza difesa tribale. Era un'architettura di livello statale, come quella della tribù Pelasgo-Albanese micenea e dell'antica Roma.

E non si trattava neanche di casi isolati. Da Nord a Sud dei Balcani, i forti pelasgo-illirici facevano parte di una rete di roccaforti militari che controllavano passi montani, rotte commerciali e valli fluviali. La loro posizione non era casuale: erano strategici, difendibili e imponenti.

I Pelasgo-Illiri non erano una cultura marginale. Erano ingegneri. Costruttori. Guerrieri. E la loro eredità è scolpita nella pietra lungo le colline dei Balcani.

Ne approfitto per sottolineare l'opportunità di correggere un errore millenario, in particolare quello che traduce costantemente la parola διοι, che qualifica i Pelasgi come "divini", come se questo διοι avesse alcun legame con l'aggettivo Θειος, che a sua volta deriva dal sostantivo Θεος, che significa "Dio" e da cui deriva l'aggettivo Θειος, che corrisponde a: "divino".

In effetti, la parola διοι, che è stata confusa in questo modo dall'ignoranza, non è altro che l'aggettivo preverbale dell'albanese o pelasgico: di-ës, che deriva dal verbo di, con il significato di "ho conoscenza". Διος: quindi è la stessa parola del pelasgico: di-ës, che significa saggio, colui che conosce; e la traduzione corretta di διοι Πελασγοι sarebbe quindi: "I Sapienti Pelasgi" o "I Saggi Pelasgi", e non "I divini Pelasgi", come è sempre stato tradotto in modo errato o per ignoranza.

Un'ignoranza dovuta ad una scarsa presa di coscienza del fatto che il patrimonio linguistico degli antichi popoli dei Balcani, sia degli Illiri che dei Traci e dei greci, è strettamente legato alla lingua albanese, la lingua più antica d'Europa.