mercoledì 6 novembre 2024

SICA ⚔

 

La Sica era un pugnale ricurvo o una spada corta di origine traco-illirica cioè di quelle antiche popolazioni pelasgo-albanesi dell'Età del Bronzo come gli Epiroti, i Macedoni, i Daci, gli Illiri, i Traci ma anche degli antichi pelasgi-albanesi che occupavano la Sicilia.

"La loro principale arma offensiva era la spada ricurva, una forma di arma che può essere fatta risalire all'età del bronzo..." (storico John Wilkes)

Ed è proprio nalla lingua Albanese-Arbëresh che si deve trovare l'etimologia di questa particolare spada: 

In albanese come anche in Arbëresh il coltello si chiama THIKA (con la th come l'inglese thing), riferimento palese all'origine di quest'arma da questo popolo pelasgico-albanese che popolavano i Balcani e la Sicilia nell'antichità pre-classica e classica.

Cosa interessante è anche l'etimologia degli antichi popoli pelasgi che occupavano la Sicilia centrale dove appunto la Sica era l'arma comunemente usata dai Sicani da cui presero l'antico nome dal pelasgo-albanese THIKANËT cioè i portatori di coltello.

Secondo lo storico John Wilkes:
"Sebbene una corta spada ricurva fosse usata da diversi popoli del Mediterraneo, i Romani consideravano la Sica come un'arma propriamente Illirica usata dal furtivo "Sicario"(sicarius)..." A Roma la Sica veniva utilizzata soprattutto da bande di ladri, da cui il nome Sicarii a queste bande; dall'albanese THIKARI cioè colui che porta il coltello.

La Sica veniva usata solamente con la curva rivolta verso il basso, concava, e lo stile di combattimento era simile a quello del Kama (鎌). Consentiva, se usata con maestria, di tranciare un arto con facilità. Era molto temuta dai legionari romani, e comportò delle modifiche nella progettazione delle loro armature.

Mentre le prime Sicae si presentavano con lama a un solo taglio, quelle successive erano evidentemente a doppio taglio. La forma specifica era progettata per aggirare i lati dello scudo del nemico, pugnalarlo o trapassarlo dalla schiena. 

Siccome l'avversario abituale del gladiatore trace era il Mirmillone dotato del grande scudo, un'arma come la Sica era necessaria per rendere il duello più equilibrato ed eccitante.

Anche l'etimologia della parola Mirmillone va trovata nell'Arbëresh: il Mirmillone era una delle categorie gladiatorie che si esibivano negli anfiteatri in epoca romana. Nella categoria dei Mirmilloni venivano infatti arruolati i lottatori dal fisico più possente, e quindi la parola Mirmillone deriva proprio dall'albanese I MIRI, il migliore e I LONI, lasciato da parte e quindi il Mirmillone era "il miglior gladiatore lasciato da parte".

martedì 5 novembre 2024

LA BATTAGLIA DI ISSO ⚔

 


🌿 Oggi, nel 333 a.C., Alessandro Magno ottenne una grande vittoria su Dario di Persia nella battaglia di Isso nell'Anatolia sud-orientale. 

Alessandro Magno fu davvero un genio nel modo in cui riuscì a unire i capi albanesi dopo la morte del padre, dato che ogni volta che moriva un re macedone c'era sempre una guerra civile che devastava il paese. Ma non quando morì Filippo, perché Alessandro teneva di più alla gloria e alla fama piuttosto che ai beni materiali, e così diede ai re e ai principi albanesi ricchi doni e terre in cambio del loro servizio nella successiva campagna asiatica. Così Alessandro portò con sé un esercito confederato albanese rinforzato da unità greche e traci, rendendo così il suo esercito la migliore forza militare che il mondo avesse mai visto.

Dario aveva assoldato 30.000 opliti mercenari greci per fermare Alessandro e salvare il suo impero, ma il giovane re macedone aveva costruito un esercito albanese formidabile all'epoca, dall'Epiro alla Dardania e all'Illiria in Dalmazia, Alessandro aveva scelto unità d'élite dalle forze tribali albanesi e le aveva unite ai suoi contingenti macedoni albanesi per forgiare il miglior esercito del mondo antico. I macedoni, rinforzati dai Dardani e dagli Illiri, sfondarono le linee greche e persiane scatenando una carneficina sul loro cammino, facendo andare nel panico Dario e farlo scappare a gambe levate dalla battaglia, lasciandosi alle spalle il suo accampamento e tutta la sua famiglia per essere catturati dai macedoni. 

Ma Alessandro dimostrò grande cavalleria e trattò la famiglia di Dario come se fosse sua perché, dopotutto, non aveva nulla di personale con Dario, ma stava combattendo contro di lui per la regalità dell'Asia.

📜 Dalla Bibbia leggiamo la profezia di Daniele su Alessandro Magno:
"Guardai, ed  un capro da ovest percorreva la superficie della terra senza toccare il suolo. Il capro aveva fra gli occhi un corno notevole.  Si avvicinava al montone con due corna che avevo visto stare davanti al corso d’acqua; correva verso di lui con tutta la sua furia. Lo vidi scagliarsi contro il montone, pieno di rabbia verso di lui. Assalì il montone e gli ruppe le due corna, e il montone non ebbe la forza di resistergli. Allora il capro lo gettò a terra e lo calpestò, e non c’era nessuno che potesse liberare il montone dal suo potere. Il capro si esaltò moltissimo, ma appena fu diventato potente, il grande corno si ruppe; al suo posto spuntarono quattro corna notevoli, verso i quattro venti dei cieli." (Daniele 8:5-8)

📷 Nella foto: Alessandro in un dettaglio del Mosaico della battaglia di Isso ritrovato a Pompei conservato al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

LA PANAGHIA ARVANITISSA 🇦🇱👑

A Karyes, sull'isola di Chios, oggi inglobato nel moderno stato greco, c'è una chiesa dedicata alla Panaghia Arvanitissa, la Vergine Maria TuttaSanta Arvanita.

L'imperatore Costantino IX Monomaco (1042 - 1054 d.C.) inviò dei muratori Albanesi che provenivano dall'Epiro per costruire Nea Moni a Chios. Dopo la costruzione di Nea Moni (che nonostante i saccheggi e la distruzione da parte dei turchi, sopravvive ancora) queste persone rimasero sull'isola e ne divennero residenti. I loro discendenti erano pastori e si stabilirono a Kochlia (che comprende i villaggi di Karyes, Avgonyma, Anavato e Dafnona).

Questi pastori albanesi che vivevano nel luogo ora noto come Panaghia Arvanitissa videro una ragazza snella in abiti Arvaniti-Arbëresh che vagava tra le cime. Capirono che era la Panaghia e, a causa del suo abbigliamento, la chiamarono Panaghia Arvanitissa.

Nel 1905 in quel luogo fu trovata un'icona della Panaghia e lì fu costruita una chiesa Ortodossa con l'assistenza finanziaria del mercante Alexandros Konstantinidis. Poiché erano gli anni difficili della schiavitù sotto i turchi, che proibivano l'erezione di chiese cristiane, la chiesa fu costruita (come ci informa Stamatis Karmantzis, che scrisse il primo Synaxarion di Panagia Arvanitissa) "in segreto con l'aiuto dei pastori di Karouson e di altri abitanti del villaggio, dopo una lunga lotta, sofferenze e lavoro inimmaginabili, che si svolsero principalmente di notte, perché durante il giorno era molto difficile per paura dei turchi".

Nel 1912, quando Chios fu liberata dai turchi, un gruppo di soldati turchi sconfitti dagli Arvaniti entrò nella chiesa di Panaghia Arvanitissa. La saccheggiarono e danneggiarono le icone. Alcune le ruppero, altre le bruciarono, mentre altre le trafissero e le sfregiarono con le loro spade.

Stamatis Karmantzis nota che "poiché la chiesa è costruita su una collina, gli abitanti di Karyes hanno deciso di festeggiarla il giorno dell'Ascensione. Allo stesso tempo, anche i pastori festeggiano perché è la fine della stagione del foraggio, ringraziando la Panaghia per l'anno trascorso. In suo onore, fanno bollire il latte e lo danno a tutti i pellegrini. Mettono all'asta anche capre e agnelli per la manutenzione e la pulizia della chiesa. La chiesa è chiamata con entrambi i nomi dalla gente di Chios - dell'Ascensione e Panaghia Arvanitissa - ma è meglio conosciuta come la Chiesa della Panaghia Arvanitissa.

Il monaco Nektarios chiarisce, in occasione della veste Arvanita della Vergine Maria, che con il nome Arvanitia si intende Albanese Epirota, perché l'Epiro sin dai tempi antichi è sempre stata una regione Albanese e non greca, essa fu inglobata con la forza nel moderno stato greco solo 80 anni fa quando lo stato greco commise genocidi sulla popolazione espellendo la popolazione nativa albanese. Il monaco Nektarios sottolinea in particolare: "Il Sinaxari di San Nicodemo di Agioreitos nella vita originale di San Cosma di Aitolos e a p. 232 scrive:

"...partito di là, si recò nella parte opposta della Sterea, una regione dell'Arvanitia chiamata Agioi Saranda, e lì insegnò ai cristiani." Come è noto, gli Agioi Saranda si trovano nell'Epiro settentrionale, che a quel tempo si chiamava "Arvanitia". Da qui "Arvanitai". A p. 233 scrive: "E Dio fece per mezzo di lui e là in Albania, similmente ed in altri luoghi cose così maravigliose...".

I cristiani Ortodossi Arvaniti di Chios con le loro lettere all'anziano Nektarios, scritte con fede, semplicità, purezza e rispetto verso la Vergine Maria, rivelano segni miracolosi. Ecco alcuni estratti illustrativi di tre lettere:

a) Dimitrios Malachias di Michele menziona che quando partecipò al lavoro volontario per la riparazione della chiesa, Panaghia Arvanitissa apparve davanti a lui. "Lei si voltò, mi guardò e mi sorrise, senza dire una parola."

b) Konstantinos Andriotis di Nikita riferisce: "La mia bisnonna diceva che quando stavano per costruire la chiesa, poiché la Vergine Maria aveva sognato che costruissero una chiesa, inizialmente cominciarono a collocarla più in basso, dove oggi si trovano ha creato un bacino lacustre. Così la sera gli operai, terminato il lavoro, lasciarono gli attrezzi nel luogo che stavano costruendo. Al mattino gli attrezzi erano scomparsi da dove erano stati lasciati. Dopo 3-4 giorni un pastore trovò gli attrezzi raccolti nel luogo dove oggi si trova l'icona in piazza, accanto alla chiesa, dove c'è un caprifoglio. Quello che devo dire è che Panaghia l'Arvanitissa è davvero viva ed è lì."

c) Eleni Kopsida riferisce: "Ho dovuto affrontare un grave problema di salute, la cui conseguenza è stata un ematoma sulla testa. In quei giorni, nella nostra conversazione telefonica, il monaco Nektarios mi parlò con grande passione della Panaghia Arvanitissa di Chios. Inoltre mi ha detto che la Vergine appare vestita da Arvanitissa. Tra pochi giorni sarei andato ad Atene per fare una risonanza magnetica alla testa. La mia ansia era grande. Poi vedo nel mio sogno una bellissima donna in piedi accanto a me, alta e snella, vestita da Arvanita. La sua uniforme era bianca. L'ho ammirata e ho detto: che bellezza è! Mi sono svegliato dal sogno a mezzanotte e nel dormiveglia dico ad alta voce: "La Madonna Arvanitissa!". Ho raccontato questo sogno alla mia amica Agathi Boyatzi. In due o tre giorni vede anche la Vergine Maria nel sonno vestita esattamente con lo stesso abito, bellissima e con il viso splendente come il sole. In una settimana ho tolto il magnete. Era immacolata! Ho raccontato tutto questo ad uno dei miei cugini di Agrinio, Efrosyni Kyritsis, che ha deciso di venirmi a trovare. All'agenzia Agriniu, dove aspettava di venire a Patrasso, ha visto davanti a sé una fermata dell'autobus, sul cui finestrino c'era scritto: Panaghia i Arvanitissa.


domenica 3 novembre 2024

VISITA A CASTEL NUOVO DI NAPOLI 🏰

 

🌿 Or qui mi accingo a raccontarvi una breve storia de miei avi Difensori della Fede Ortodossa che, esuli dalle loro terre d'origine a causa del Turco invasor, dimorarono a Castel Nuovo di Napoli per il tempo Biblico di 40 anni... ⚔

Dopo la morte di Skanderbeg, D. Giovanni, figlio di lui, fece levata di tutte le donne, i fanciulli, i vecchi inabili alle armi, unendo navi e barche di negozio, dalle città Albanesi di Vallona, Particci, Musachese, Durazzo, Bojana, Dulcigno e Antivari, via facendo verso il porto di questa, ov'erano unite le navi, col convoglio di quattro galere veneziane, con tutta la sua gente fece fatica d'armi, si prepararono all'esodo.

Le donne e i putti mandati furono da essi ad unirsi ad altri uomini, che seguirono don Giovanni ed altri principi albanesi. I cavalieri albanesi che comandavano la soldatesca si chiamavano: Cola Mark-Scini; Elia Mallisi e Marco De Màthia. Quest'ultimo era signore di cinquanta paesi nella Màthia, i due altri erano primari di Scodra. Nella milizia erano molte donne vestite militarmente e che accompagnavano con le armi in mano i loro mariti, e poi unitamente coi detti militi s'imbarcarono.

Le donne, i vecchi e i putti passarono prima il mare, e poi, raggiungendoli D. Giovanni con gli altri soldati, approdarono tutti in Sicilia. E facendo il computo degli imbarcati e delle barche si trovò molta gente mancante e morta per strada d'infermità e di mancanza di viveri, per la repentina partenza, e molte barche dalla tempesta di mare disperse delle quali non ebbero più notizia. E piangendo il loro misero stato e consigliatosi D. Giovanni coi capi suoi, si diressero verso Palermo, dove allora si trovava re Ferrante, al quale rappresentando il loro misero stato chiesero aiuto e che concedesse sbarcare tutta la gente.

Ma il re, conosciuto chi erano, non volle riceverli nel suo regno dubitando del Turco, non venisse appresso a loro; per altro li soccorse di viveri. Ordinò dunque che prendessero il largo: se no, e avria mandato a fondo le navi: e così comandò a tutte le sue terre, o mandò gente che impedisse lo sbarco per tutto il suo regno. Disperatamente rivolsero il cammino verso i mari di Napoli, e fatto consiglio fra loro, con animo intrepido alla fine e da Albanesi risolsero sbarcare in Salerno e indirizzarsi a Napoli.

Don Giovanni di essere uno sventurato che per la Fede Orodossa combattè dodici anni, e che prima di l'avo padre Skanderbeg e i fratelli di questo avvelenati dal Turco avevano speso la vita e la fortuna per difendere la Chiesa Ortodossa e che ora egli caduto e perseguitato da essi nemici de' cristiani, disfatto dal mare, profugo in terra altrui e senza trovare compassione, anzi non ricevuto da re Ferrante ne' suoi stati veniva ad implorare soccorso.

Invece che a Salerno sbarcarono dentro Napoli, e il popolo napoletano li acclamava amici e Difensori della Fede, e li mise in possesso del Castel Nuovo rassettandoli in pochissimi giorni.

In detto Castel Nuovo, D. Giovanni fece fabbricare le quattro torri, ponendo ad ognuna l'impresa del suo casato e la ricordanza d'averlo fabbricata in pietra: stantechè il Castel Nuovo era una fabbrica vecchia e bassa.

Vi fece pure una bellissima cappella in sua memoria ove volle essere sepolto, e vi si vede il suo bellissimo monumento in marmo, cinto da un colonnato di pietra fina, e con cinque lampade che sempre ardono. Sul muro è il ritratto di lui, con cortina innanzi di bellissima fattura.

In Castel Nuovo gli Albanesi dimorarono in pace per quarant'anni. Duopo però gli Albanesi dovettero raggiungere i loro connazionali già stabiliti e andare distribuiti pel regno di Napoli e di Sicilia, come attualmente sono, ed esservi incorporati.

Così la storia si ripete e gli Arbëresh, eredi del suolo che i nostri antichissimi padri, i Divin Pelasgi-Albanesi, in tempi anteriori agli elleni tennero prima, ripopolaron quell'antiche terre ora ricche GJAKUT JON I SHPRISHUR, del nostro sangue sparso.

Ma questa è un'altra Storia...