mercoledì 6 novembre 2024

SICA ⚔

 

La Sica era un pugnale ricurvo o una spada corta di origine traco-illirica cioè di quelle antiche popolazioni pelasgo-albanesi dell'Età del Bronzo come gli Epiroti, i Macedoni, i Daci, gli Illiri, i Traci ma anche degli antichi pelasgi-albanesi che occupavano la Sicilia.

"La loro principale arma offensiva era la spada ricurva, una forma di arma che può essere fatta risalire all'età del bronzo..." (storico John Wilkes)

Ed è proprio nalla lingua Albanese-Arbëresh che si deve trovare l'etimologia di questa particolare spada: 

In albanese come anche in Arbëresh il coltello si chiama THIKA (con la th come l'inglese thing), riferimento palese all'origine di quest'arma da questo popolo pelasgico-albanese che popolavano i Balcani e la Sicilia nell'antichità pre-classica e classica.

Cosa interessante è anche l'etimologia degli antichi popoli pelasgi che occupavano la Sicilia centrale dove appunto la Sica era l'arma comunemente usata dai Sicani da cui presero l'antico nome dal pelasgo-albanese THIKANËT cioè i portatori di coltello.

Secondo lo storico John Wilkes:
"Sebbene una corta spada ricurva fosse usata da diversi popoli del Mediterraneo, i Romani consideravano la Sica come un'arma propriamente Illirica usata dal furtivo "Sicario"(sicarius)..." A Roma la Sica veniva utilizzata soprattutto da bande di ladri, da cui il nome Sicarii a queste bande; dall'albanese THIKARI cioè colui che porta il coltello.

La Sica veniva usata solamente con la curva rivolta verso il basso, concava, e lo stile di combattimento era simile a quello del Kama (鎌). Consentiva, se usata con maestria, di tranciare un arto con facilità. Era molto temuta dai legionari romani, e comportò delle modifiche nella progettazione delle loro armature.

Mentre le prime Sicae si presentavano con lama a un solo taglio, quelle successive erano evidentemente a doppio taglio. La forma specifica era progettata per aggirare i lati dello scudo del nemico, pugnalarlo o trapassarlo dalla schiena. 

Siccome l'avversario abituale del gladiatore trace era il Mirmillone dotato del grande scudo, un'arma come la Sica era necessaria per rendere il duello più equilibrato ed eccitante.

Anche l'etimologia della parola Mirmillone va trovata nell'Arbëresh: il Mirmillone era una delle categorie gladiatorie che si esibivano negli anfiteatri in epoca romana. Nella categoria dei Mirmilloni venivano infatti arruolati i lottatori dal fisico più possente, e quindi la parola Mirmillone deriva proprio dall'albanese I MIRI, il migliore e I LONI, lasciato da parte e quindi il Mirmillone era "il miglior gladiatore lasciato da parte".

martedì 5 novembre 2024

LA BATTAGLIA DI ISSO ⚔

 


🌿 Oggi, nel 333 a.C., Alessandro Magno ottenne una grande vittoria su Dario di Persia nella battaglia di Isso nell'Anatolia sud-orientale. 

Alessandro Magno fu davvero un genio nel modo in cui riuscì a unire i capi albanesi dopo la morte del padre, dato che ogni volta che moriva un re macedone c'era sempre una guerra civile che devastava il paese. Ma non quando morì Filippo, perché Alessandro teneva di più alla gloria e alla fama piuttosto che ai beni materiali, e così diede ai re e ai principi albanesi ricchi doni e terre in cambio del loro servizio nella successiva campagna asiatica. Così Alessandro portò con sé un esercito confederato albanese rinforzato da unità greche e traci, rendendo così il suo esercito la migliore forza militare che il mondo avesse mai visto.

Dario aveva assoldato 30.000 opliti mercenari greci per fermare Alessandro e salvare il suo impero, ma il giovane re macedone aveva costruito un esercito albanese formidabile all'epoca, dall'Epiro alla Dardania e all'Illiria in Dalmazia, Alessandro aveva scelto unità d'élite dalle forze tribali albanesi e le aveva unite ai suoi contingenti macedoni albanesi per forgiare il miglior esercito del mondo antico. I macedoni, rinforzati dai Dardani e dagli Illiri, sfondarono le linee greche e persiane scatenando una carneficina sul loro cammino, facendo andare nel panico Dario e farlo scappare a gambe levate dalla battaglia, lasciandosi alle spalle il suo accampamento e tutta la sua famiglia per essere catturati dai macedoni. 

Ma Alessandro dimostrò grande cavalleria e trattò la famiglia di Dario come se fosse sua perché, dopotutto, non aveva nulla di personale con Dario, ma stava combattendo contro di lui per la regalità dell'Asia.

📜 Dalla Bibbia leggiamo la profezia di Daniele su Alessandro Magno:
"Guardai, ed  un capro da ovest percorreva la superficie della terra senza toccare il suolo. Il capro aveva fra gli occhi un corno notevole.  Si avvicinava al montone con due corna che avevo visto stare davanti al corso d’acqua; correva verso di lui con tutta la sua furia. Lo vidi scagliarsi contro il montone, pieno di rabbia verso di lui. Assalì il montone e gli ruppe le due corna, e il montone non ebbe la forza di resistergli. Allora il capro lo gettò a terra e lo calpestò, e non c’era nessuno che potesse liberare il montone dal suo potere. Il capro si esaltò moltissimo, ma appena fu diventato potente, il grande corno si ruppe; al suo posto spuntarono quattro corna notevoli, verso i quattro venti dei cieli." (Daniele 8:5-8)

📷 Nella foto: Alessandro in un dettaglio del Mosaico della battaglia di Isso ritrovato a Pompei conservato al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

LA PANAGHIA ARVANITISSA 🇦🇱👑

A Karyes, sull'isola di Chios, oggi inglobato nel moderno stato greco, c'è una chiesa dedicata alla Panaghia Arvanitissa, la Vergine Maria TuttaSanta Arvanita.

L'imperatore Costantino IX Monomaco (1042 - 1054 d.C.) inviò dei muratori Albanesi che provenivano dall'Epiro per costruire Nea Moni a Chios. Dopo la costruzione di Nea Moni (che nonostante i saccheggi e la distruzione da parte dei turchi, sopravvive ancora) queste persone rimasero sull'isola e ne divennero residenti. I loro discendenti erano pastori e si stabilirono a Kochlia (che comprende i villaggi di Karyes, Avgonyma, Anavato e Dafnona).

Questi pastori albanesi che vivevano nel luogo ora noto come Panaghia Arvanitissa videro una ragazza snella in abiti Arvaniti-Arbëresh che vagava tra le cime. Capirono che era la Panaghia e, a causa del suo abbigliamento, la chiamarono Panaghia Arvanitissa.

Nel 1905 in quel luogo fu trovata un'icona della Panaghia e lì fu costruita una chiesa Ortodossa con l'assistenza finanziaria del mercante Alexandros Konstantinidis. Poiché erano gli anni difficili della schiavitù sotto i turchi, che proibivano l'erezione di chiese cristiane, la chiesa fu costruita (come ci informa Stamatis Karmantzis, che scrisse il primo Synaxarion di Panagia Arvanitissa) "in segreto con l'aiuto dei pastori di Karouson e di altri abitanti del villaggio, dopo una lunga lotta, sofferenze e lavoro inimmaginabili, che si svolsero principalmente di notte, perché durante il giorno era molto difficile per paura dei turchi".

Nel 1912, quando Chios fu liberata dai turchi, un gruppo di soldati turchi sconfitti dagli Arvaniti entrò nella chiesa di Panaghia Arvanitissa. La saccheggiarono e danneggiarono le icone. Alcune le ruppero, altre le bruciarono, mentre altre le trafissero e le sfregiarono con le loro spade.

Stamatis Karmantzis nota che "poiché la chiesa è costruita su una collina, gli abitanti di Karyes hanno deciso di festeggiarla il giorno dell'Ascensione. Allo stesso tempo, anche i pastori festeggiano perché è la fine della stagione del foraggio, ringraziando la Panaghia per l'anno trascorso. In suo onore, fanno bollire il latte e lo danno a tutti i pellegrini. Mettono all'asta anche capre e agnelli per la manutenzione e la pulizia della chiesa. La chiesa è chiamata con entrambi i nomi dalla gente di Chios - dell'Ascensione e Panaghia Arvanitissa - ma è meglio conosciuta come la Chiesa della Panaghia Arvanitissa.

Il monaco Nektarios chiarisce, in occasione della veste Arvanita della Vergine Maria, che con il nome Arvanitia si intende Albanese Epirota, perché l'Epiro sin dai tempi antichi è sempre stata una regione Albanese e non greca, essa fu inglobata con la forza nel moderno stato greco solo 80 anni fa quando lo stato greco commise genocidi sulla popolazione espellendo la popolazione nativa albanese. Il monaco Nektarios sottolinea in particolare: "Il Sinaxari di San Nicodemo di Agioreitos nella vita originale di San Cosma di Aitolos e a p. 232 scrive:

"...partito di là, si recò nella parte opposta della Sterea, una regione dell'Arvanitia chiamata Agioi Saranda, e lì insegnò ai cristiani." Come è noto, gli Agioi Saranda si trovano nell'Epiro settentrionale, che a quel tempo si chiamava "Arvanitia". Da qui "Arvanitai". A p. 233 scrive: "E Dio fece per mezzo di lui e là in Albania, similmente ed in altri luoghi cose così maravigliose...".

I cristiani Ortodossi Arvaniti di Chios con le loro lettere all'anziano Nektarios, scritte con fede, semplicità, purezza e rispetto verso la Vergine Maria, rivelano segni miracolosi. Ecco alcuni estratti illustrativi di tre lettere:

a) Dimitrios Malachias di Michele menziona che quando partecipò al lavoro volontario per la riparazione della chiesa, Panaghia Arvanitissa apparve davanti a lui. "Lei si voltò, mi guardò e mi sorrise, senza dire una parola."

b) Konstantinos Andriotis di Nikita riferisce: "La mia bisnonna diceva che quando stavano per costruire la chiesa, poiché la Vergine Maria aveva sognato che costruissero una chiesa, inizialmente cominciarono a collocarla più in basso, dove oggi si trovano ha creato un bacino lacustre. Così la sera gli operai, terminato il lavoro, lasciarono gli attrezzi nel luogo che stavano costruendo. Al mattino gli attrezzi erano scomparsi da dove erano stati lasciati. Dopo 3-4 giorni un pastore trovò gli attrezzi raccolti nel luogo dove oggi si trova l'icona in piazza, accanto alla chiesa, dove c'è un caprifoglio. Quello che devo dire è che Panaghia l'Arvanitissa è davvero viva ed è lì."

c) Eleni Kopsida riferisce: "Ho dovuto affrontare un grave problema di salute, la cui conseguenza è stata un ematoma sulla testa. In quei giorni, nella nostra conversazione telefonica, il monaco Nektarios mi parlò con grande passione della Panaghia Arvanitissa di Chios. Inoltre mi ha detto che la Vergine appare vestita da Arvanitissa. Tra pochi giorni sarei andato ad Atene per fare una risonanza magnetica alla testa. La mia ansia era grande. Poi vedo nel mio sogno una bellissima donna in piedi accanto a me, alta e snella, vestita da Arvanita. La sua uniforme era bianca. L'ho ammirata e ho detto: che bellezza è! Mi sono svegliato dal sogno a mezzanotte e nel dormiveglia dico ad alta voce: "La Madonna Arvanitissa!". Ho raccontato questo sogno alla mia amica Agathi Boyatzi. In due o tre giorni vede anche la Vergine Maria nel sonno vestita esattamente con lo stesso abito, bellissima e con il viso splendente come il sole. In una settimana ho tolto il magnete. Era immacolata! Ho raccontato tutto questo ad uno dei miei cugini di Agrinio, Efrosyni Kyritsis, che ha deciso di venirmi a trovare. All'agenzia Agriniu, dove aspettava di venire a Patrasso, ha visto davanti a sé una fermata dell'autobus, sul cui finestrino c'era scritto: Panaghia i Arvanitissa.


domenica 3 novembre 2024

VISITA A CASTEL NUOVO DI NAPOLI 🏰

 

🌿 Or qui mi accingo a raccontarvi una breve storia de miei avi Difensori della Fede Ortodossa che, esuli dalle loro terre d'origine a causa del Turco invasor, dimorarono a Castel Nuovo di Napoli per il tempo Biblico di 40 anni... ⚔

Dopo la morte di Skanderbeg, D. Giovanni, figlio di lui, fece levata di tutte le donne, i fanciulli, i vecchi inabili alle armi, unendo navi e barche di negozio, dalle città Albanesi di Vallona, Particci, Musachese, Durazzo, Bojana, Dulcigno e Antivari, via facendo verso il porto di questa, ov'erano unite le navi, col convoglio di quattro galere veneziane, con tutta la sua gente fece fatica d'armi, si prepararono all'esodo.

Le donne e i putti mandati furono da essi ad unirsi ad altri uomini, che seguirono don Giovanni ed altri principi albanesi. I cavalieri albanesi che comandavano la soldatesca si chiamavano: Cola Mark-Scini; Elia Mallisi e Marco De Màthia. Quest'ultimo era signore di cinquanta paesi nella Màthia, i due altri erano primari di Scodra. Nella milizia erano molte donne vestite militarmente e che accompagnavano con le armi in mano i loro mariti, e poi unitamente coi detti militi s'imbarcarono.

Le donne, i vecchi e i putti passarono prima il mare, e poi, raggiungendoli D. Giovanni con gli altri soldati, approdarono tutti in Sicilia. E facendo il computo degli imbarcati e delle barche si trovò molta gente mancante e morta per strada d'infermità e di mancanza di viveri, per la repentina partenza, e molte barche dalla tempesta di mare disperse delle quali non ebbero più notizia. E piangendo il loro misero stato e consigliatosi D. Giovanni coi capi suoi, si diressero verso Palermo, dove allora si trovava re Ferrante, al quale rappresentando il loro misero stato chiesero aiuto e che concedesse sbarcare tutta la gente.

Ma il re, conosciuto chi erano, non volle riceverli nel suo regno dubitando del Turco, non venisse appresso a loro; per altro li soccorse di viveri. Ordinò dunque che prendessero il largo: se no, e avria mandato a fondo le navi: e così comandò a tutte le sue terre, o mandò gente che impedisse lo sbarco per tutto il suo regno. Disperatamente rivolsero il cammino verso i mari di Napoli, e fatto consiglio fra loro, con animo intrepido alla fine e da Albanesi risolsero sbarcare in Salerno e indirizzarsi a Napoli.

Don Giovanni di essere uno sventurato che per la Fede Orodossa combattè dodici anni, e che prima di l'avo padre Skanderbeg e i fratelli di questo avvelenati dal Turco avevano speso la vita e la fortuna per difendere la Chiesa Ortodossa e che ora egli caduto e perseguitato da essi nemici de' cristiani, disfatto dal mare, profugo in terra altrui e senza trovare compassione, anzi non ricevuto da re Ferrante ne' suoi stati veniva ad implorare soccorso.

Invece che a Salerno sbarcarono dentro Napoli, e il popolo napoletano li acclamava amici e Difensori della Fede, e li mise in possesso del Castel Nuovo rassettandoli in pochissimi giorni.

In detto Castel Nuovo, D. Giovanni fece fabbricare le quattro torri, ponendo ad ognuna l'impresa del suo casato e la ricordanza d'averlo fabbricata in pietra: stantechè il Castel Nuovo era una fabbrica vecchia e bassa.

Vi fece pure una bellissima cappella in sua memoria ove volle essere sepolto, e vi si vede il suo bellissimo monumento in marmo, cinto da un colonnato di pietra fina, e con cinque lampade che sempre ardono. Sul muro è il ritratto di lui, con cortina innanzi di bellissima fattura.

In Castel Nuovo gli Albanesi dimorarono in pace per quarant'anni. Duopo però gli Albanesi dovettero raggiungere i loro connazionali già stabiliti e andare distribuiti pel regno di Napoli e di Sicilia, come attualmente sono, ed esservi incorporati.

Così la storia si ripete e gli Arbëresh, eredi del suolo che i nostri antichissimi padri, i Divin Pelasgi-Albanesi, in tempi anteriori agli elleni tennero prima, ripopolaron quell'antiche terre ora ricche GJAKUT JON I SHPRISHUR, del nostro sangue sparso.

Ma questa è un'altra Storia...

mercoledì 23 ottobre 2024

I FENICI E CADMO RE DEGLI ILLIRI

 

I Fenici furono uno dei popoli più antichi della terra che dall'Etiopia si insediarono nella Palestina del nord, nella regione costiera del Mediterraneo orientale, in corrispondenza dell'odierno Libano. Da qui si diffusero praticamente ovunque. Furono soprattutto un popolo di navigatori e commercianti che utilizzava il mar Mediterraneo per esportare legname e altri oggetti da scambiare con altri popoli. Conoscevano e sapevano tracciare le rotte, ed erano in grado di navigare di notte, prendendo come punto di riferimento le costellazioni circumpolari. I Fenici furono i primi a circumnavigare l'intero continente Africano, cioè a navigarlo per tutto il suo perimetro, partendo dal Mar Rosso e rientrando nel Mediterraneo dalle Colonne d'Ercole.

"I Fenici chiamavano se stessi Etiopi." (Prof. Drousilla Houston)

"...essi (Frnici) infatti, arrivati dal Mare Eritreo (Mar Rosso) sulle coste del nostro mare, si stanziarono dove vivono ancora tuttora e subito intrapresero lunghi viaggi per mare; trasportando merci provenienti dall’Egitto e dall’Anatolia, giunsero in molte località..." (Erodoto)

"Questi Edomiti sparsero per tutto altrove le Arti loro e le Scienze, fra le quali erano la Navigazione, l'Astronomia e le Lettere... Questi Edomiti che fuggirono dalla Costa del Mediterraneo, traducendo la voce ERITREA in Fenicia, diedero questo nome a sé medesimi e a tutta la spiaggia di Palestina da Azoth fino a Zidon. Quindi venne la Tradizione dei Persiani e degli stessi Fenici menzionata da Erodoto, cioè che i Fenici originariamente fossero venuti dal Mar Rosso (Mare Eritreo); e immediatamente aver intrapresero lunghe navigazioni sul Mediterraneo." (Isaac Newton)

Uno dei più famosi Fenici del passato fu Cadmo (QDM) che introdusse l'alfabeto fenicio alle popolazioni Balcaniche. Cadmo fu il costruttore di Tebe in Boezia; Quando decise di edificare la città i suoi compagni stavano per attingere l'acqua d'una sorgente lì vicina e un drago che la custodiva li sterminò. Cadmo accorse e riuscì a uccidere il mostro. Egli costruì Tebe in Boezia come la Tebe di Kush nell'antica Etiopia. Insieme alla sua sposa Armonia divenne re dei LIRI, gli antichi albanesi e i più antichi abitanti dei Balcani, il cui nome in albanese significa "persone libere". Il Figlio di Cadmo fu ILIRI, "il libero".

Finiq è anche un comune albanese situato nella prefettura di Valona nei pressi dell'antica città di Fenice, uno dei più importanti siti archeologici dell'Albania.

📷 Nella foto: 
Cadmo che uccide il drago con indosso il Plis/Qelesh, il copricapo tradizionale albanese, che simboleggia l'uscita del primo uomo dall'uovo cosmico e quindi l'autoctonia e l'antichità dell'etnia albanese-arbëresh nei Balcani usata dai tempi antichi dai primi abitanti dei Balcani conservata nella tradizione albanese perché essi sono i discendenti del popolo pre-ellenico che nacque in Epiro di cui si narrano le gesta nella mitologia e il cui re fu un Etiope.

martedì 22 ottobre 2024

DOMINARE IL METEO NEL 2025

 

Prima c'era l'allerta firus inesistente che presto ritornerà 📺🐑🐑🐑.

Ora c'è l'allerta meteo artificiale con tempeste indotte✈ 📡🌧📺🐑🐑🐑, che ogni anno farà danni.

Da un'intervista al Generale Fabio Mini, grazie all'amico Rosario Marcianò:

“La guerra ambientale non è più solo una ipotesi: è già in atto. Ma guai a dirlo, si passa per pazzi”.

“Negare l’informazione è già un atto di guerra. Non c’è solo la disinformazione ma c’è una pratica militare che si chiama ‘denial of service’ ovvero si stabilisce che è necessario non solo negare la realtà o l’evidenza, ma negare l’informazione. E questo è già un vero e proprio atto di guerra. Determinate persone o paesi non devono venire a conoscenza delle informazioni e questo può causare catastrofi di proporzioni bibliche, come il devastante tsunami dell’Indonesia. L’informazione sul suo arrivo era disponibile, ma interruzioni nella trasmissione, a causa di anelli mal funzionanti o volutamente non funzionanti, ne ha impedito la comunicazione".

“La bomba climatica è la nuova arma di distruzione di massa a cui si sta lavorando in gran segreto per acquisire vantaggi inimmaginabili su scala planetaria. Alluvioni, terremoti, tsunami, siccità, cataclismi. Uno scenario che purtroppo non è più fantascienza”.

“La maggior parte delle persone ritiene inconcepibili certi scenari, in quanto non è al corrente delle progettazioni in materia di tecnologie militari e quindi delle conseguenti implicazioni".

Il Generale racconta che nel lontano 1946, lo scienziato neozelandese Thomas Leech, lavorò in Australia per conto dell’Università dell’Auckland, con fondi americani e inglesi, per provocare piccoli tsunami. Il “Progetto Seal” ebbe successo, spaventò lo scienziato che interruppe gli esperimenti, e che poi sicuramente sono stati ripresi e perfezionati.

“I militari hanno già la capacità di condizionare l’ambiente: tornado, uragani, terremoti e tsunami alterati o addirittura provocati dall’uomo sono una possibilità concreta”.

“Nell’ambito militare non esiste una moralità che possa impedire di oltrepassare un certo punto. Basti pensare allo sviluppo e le applicazioni degli ordigni atomici. Non esiste vincolo morale, ciò che si può fare si fa”.

Non è solo un problema di mancanza di moralità, ma secondo il Generale si va anche oltre: “La voglia di conseguire un vantaggio spinge ad usare le tecnologie senza fare test a sufficienza. Una possibilità viene messa in atto per verificarne il funzionamento, sperimentandone direttamente sul campo gli effetti”.

Con l’articolo su Limes, il Generale aveva già divulgato il progetto dell’Aereonautica Militare Statunitense del 1995. In “Weather as a Force Multiplier: Owning the Weather in 2025” si delineavano i piani non “di possedere il clima”, ma di controllare il meteo, lo spazio atmosferico e condurre operazioni belliche in sicurezza, dice sempre il Generale. “Per esempio, irrorando le nubi con ioduro di argento, altre sostanze chimiche o polimeri, per dissolverle o spostarle. Oggi siamo piuttosto vicini al traguardo del 2025”.

sabato 19 ottobre 2024

ESTRATTA DA UN CAMPO IN ALBANIA, UNA STATUETTA DI PIÙ DI 2500 ANNI.

 

Secoli di sporcizia sono stati rimossi per rivelare un eccezionale bronzo antico.

All'inizio era solo un luccichio verde e marrone nel terreno, evidenziato durante l'aratura di routine in una fattoria albanese situata accanto a un antico insediamento.

Poi, mentre gli archeologi ripulivano con cura il terreno, ne emerse gradualmente la forma: la figura di un cavaliere in groppa al suo cavallo, con un braccio teso come per brandire un'arma o una frusta.

Gli zoccoli del cavallo sono andati perduti e gran parte del corpo del cavaliere era ancora nascosto sotto strati di terra. Ma gli archeologi che hanno individuato questa statuetta sapevano che si trattava di qualcosa di eccezionale.

Le prime valutazioni basate sulle tecniche artistiche dell'opera, sul modo in cui è stata fusa, sul suo stile e sulla sua ubicazione sono state palesemente falsate, indicando falsamente il suo stile e la sua ubicazione in un'area in cui si erano insediati gli "antichi greci" e che l'oggetto era greco e risaliva a circa il 500 a.C.

Presumendo pure che "antichi greci" si fossero insediati in quell'area, rimane il fatto che i primi greci non avevano competenze nella lavorazione dei metalli, un'abilità escusiva delle tribù autoctone albanesi dei Macedoni, Epiroti ed Illiri, di quel territorio, derivante dal IX secolo a.C. tramite officine di lavorazione dei metalli sparse in giro.

Questa statua è stata trovata nella zona in cui vivevano Elimiote/Taulanti, tribù Arberoi e Kal-arberoi 🐴 albanesi che di quest'arte erano i maestri e non ha nulla a che fare con coloni greci.

Ma scavando ancor più nei dettagli storici, gli Illiri, i Macedoni e gli Epiroti, tre delle principali antiche popolazioni albanesi, erano noti per la loro inclinazione e le loro usanze come grandi allevatori di cavalli. Infatti, gli antichi albanesi erano famosi per cavalcare in sella mentre gli Ateniesi usavano i carri. Quindi se questa statua è stata trovata in Albania esattamente nel territorio della tribù degli Albanoi, perché dare credito ai greci che non abitavano questo territorio e non esistevano nemmeno come nazione e non cavalcavano in sella? Falsità storiche, questa è la risposta.

Alessandro Magno, che non era greco come falsamente ci insegnano a scuola, fu il primo a introdurre il combattimento a cavallo, una tecnica che apprese mentre viveva con sua madre Olimpia in Epiro, della tribù dei Molossi, un'antica tribù albanese. I cosiddetti Greci usavano i carri. 

Gli storici moderni filo elleni mettono la parola "greco" davanti ogni cosa, e voilà, per magia tutto diventa greco. Storicamente parlando, il problema con il modo tradizionale di parlare dei termini "greci" è usato liberamente senza alcun riguardo per le sfumature e i dettagli storici.

Qualche anno fa, durante un'intervista, un archeologo sudamericano ha insistito sul fatto che Butrinto in Albania fosse un sito greco, nonostante il giornalista gli abbia chiesto come può essere un sito greco quando è stata trovata la tomba di una donna con armi e ricchezze. Solo gli Illiri, i Macedoni, gli epiroti e i Celti, tutti di etnia albanese, permettevano alle donne di combattere, ereditare ricchezze ed essere sepolte in questo modo. Donne e uomini erano uguali in queste tribù. I cosiddetti greci trattavano le donne come schiave domestiche. Non le era permesso uscire di casa finché non diventavano madri e anche allora non venivano chiamate per nome ma piuttosto come "la madre del bambino". Le donne nell'ellenismo erano considerate portatrici di figli, niente di più.

Un consiglio da un laureato di Storia dell'Arte come me a chi esce dalle università è, che è importante non seguire ideologie umane o quella che è la storia standard che a pappagallo ci insegnano, ma studiare a fondo e valutare bene i dettagli storici e dare le giuste terminologie ai fatti e non fare di tutta l'erba un fascio per falsificare la storia a interessi personali.

La statuetta bronzea del cavaliere a cavallo è in mostra permanente al Museo Storico Nazionale di Tirana, Albania. 🇦🇱 

venerdì 11 ottobre 2024

GLI ALBANESI DIMENTICATI DELL'ISOLA DI SAMOS 🇦🇱

 

Samos è un'isola che oggi appartiene al moderno stato greco difronte alla Turchia e a sud di Izmir. Non è molto conosciuta, ma intorno agli inizi del XVII secolo vi si stabilirono alcuni Albanesi-Arbëresh (Arvaniti) Cristiani Ortodossi che fondarono un villaggio nella zona centrale e montuosa dell'isola, che in greco venne chiamato Arvanítes (Αρβανίτες), che è appunto "Arvaniti". Più tardi, gli abitanti del villaggio fondarono un altro villaggio nelle vicinanze che fu chiamato Káto Arvanítes (Κάτω Αρβανίτες)=''Arvaniti inferiore'', mentre il primo villaggio fu chiamato Áno Arvanítes (Άνω Αρβανίτες)=''Arvaniti superiore''. Nel 1958, con lo scopo di far dimenticare questa importante presenza Albanese-Arbëresh sull'isola, lo stato greco cambiò i nomi di entrambi i villaggi e Áno Arvanítes fu chiamato "Pándhroso" e l'altro villaggio Káto Arvanítes fuchiamato "Mesójio" e forzò gli abitanti a dimenticare la loro lingua madre.

  Tracce albanesi si possono trovare anche in altre parti dell'isola. Sul versante nord-occidentale di Samos, ad esempio, si trova il villaggio di Léka (Λέκκα), che secondo la tradizione locale prese il nome da Leka (diminutivo albanese di Alessandro), un arvanita emigrato dal Peloponneso e ivi stabilitosi per primo (quindi venne utilizzato anche per il nome Arvanitohóri (Αρβανιτοχώρι)=''il villaggio di Arvanitas''). A Néo Karlóvasi, un po' più lontano, c'è il "ruscello di Gjini" (Χείμαρρος του Γκίνη), Gjini è un nome albanese.

  Vale la pena ricordare che in entrambi i villaggi si produceva (forse anche oggi) un tipo di formaggio che, secondo lo storico Epaminondhas Stamatiadhis, si poteva trovare in Albania ma non altrove. Probabilmente si tratta del formaggio che a quel tempo in turco era conosciuto come "arnavud peynir" (=formaggio albanese) e che veniva prodotto a Konica come menzionato da Sami Frashëri nella sua opera "Kamus al-a'lam".

Fonti tradotte:

  1) "Descrizione dello stato attuale di Samos, Nicaria, Patmos e Monte Athos" di Joseph Georgirenes (1677), pagina 16:

  ''A tre miglia dal villaggio di Spatharéi [Σπαθαραίοι] e su una collina si trova il villaggio di Pírgos [Πύργος], che consiste di circa 100 case e due chiese. Qui viene prodotto il miele più delizioso. Sopra di esso sorge un piccolo villaggio, una colonia di “Arnauti” o “Albanesi”, così viene chiamata oggi questa nazione [cioè la nazione albanese] dai turchi e dai greci. Gli albanesi hanno stabilito molte colonie nell'Impero Ottomano poiché sono incoraggiati a farlo dallo stesso Sultano attraverso privilegi e immunità speciali. Riescono però a preservare la loro lingua (probabilmente l'antico illirico), che risulta incomprensibile alle nazioni vicine. Non è la figlia di una donna slava. Hanno la stessa religione dei greci."

  2) Lettera di un missionario della fine del XVII secolo (pubblicata e adattata nell'opera "Lettres édifiantes et curieuses concernant l'Asie, l'Afrique et l'Amérique" (1838)), pagina 131:

''L'antica città di Samos, l'antica capitale dell'isola, perse il suo nome e oggi si chiama Megáli Hóra [Μεγάλη Χώρα]. Si trova sulla costa orientale e vi è la sede del metropolita e risiede l'agai, che riscuote le tasse per conto del sultano. Marathókambos [Μαραθόκαμπος] si trova a nord mentre sul lato ovest si trovano Karlóvasi [Καρλόβασι], Neohóri [Νεοχώρι] e Vathí [Βαθύ]. Tutti quei villaggi sono costieri. Nell'interno dell'isola ci sono Plátanos [Πλάτανος], Kastaniá [Καστανιά], Arvanitohóri [Αρβανιτοχώρι, (l'originale recita Arvanito, Cori ma questo è apparentemente un errore e avrebbe dovuto essere Arvanitocori)] e Fúrni [Φούρνο ι=moderno Idhrúsa (Υδρούσσα )]. In montagna c'è una colonia di albanesi, che vi si sono stabiliti da più di un secolo. Non sono riuscito a scoprirne la causa. Si occupano di bestiame, più o meno come gli arabi.''

  3) "La vérité sur l'Albanie et les Albanais" [=La verità sull'Albania e sugli albanesi] di Pashko Vasa (Wassa Effendi) (1879), pagina 63:

  "Se tutti i Greci parlassero fin dall'inizio la lingua pelasgica, come è possibile allora che quelli che vennero prima e che erano veri Pelasgi e che riuscirono a sopravvivere nell'Idra e nelle altre isole dell'Arcipelago nonché sui monti dell'Attica? e in alcuni luoghi di Samo hanno conservato la lingua di prima, mentre altri abitanti degli stessi luoghi non ricordano nemmeno questa lingua?''

  4) ''Σαμιακα (τέταρτος τόμος)'' [= Storia di Samo, volume quattro] di Epaminondhas Stamatiadhis (1886), pagine 79-83:

  ''Il villaggio di Arvanítes. Dopo la morte di Gjergj Kastrioti (meglio conosciuto come Skënderbe), i suoi sostenitori albanesi, perseguitati dal sultano Bajazit e dai turchi e rischiando di convertirsi violentemente, si stabilirono a Himare, Sul, Parga e nel Peloponneso. Ma poiché anche lì i turchi non li lasciarono a loro agio, se ne andarono e si stabilirono sui monti di Jeránia [Γεράνεια] e nelle isole di Idhra, Speces, Poros, Salamina, Psara e fino a Cipro. A quel tempo, cioè circa 250 anni fa, come risulta da antichi documenti, due fratelli taglialegna, secondo la tradizione locale, albanesi, si riunirono con i loro parenti a Samo e si stabilirono sull'alta vetta meridionale del monte Ámbelos [Άμπελος] , dove oggi si trova il villaggio di Áno Arvanítes, che si trova a 400 metri sul livello del mare e a più di un'ora di distanza dal villaggio di Mavraxéi [Μαυρατζαίοι]. Vivevano isolati dagli altri. La loro religione era Ortodossa, ma la loro lingua, che nessuno degli isolani capiva, era l'illirico [cioè l'albanese]. Dopo alcuni anni una parte degli abitanti del villaggio si stabilì un po' più in basso, a un quarto d'ora dal villaggio, e fondò il villaggio che da allora si chiama Káto Arvanítes. [...] Il villaggio di Áno Arvanítes è composto da 107 case e una chiesa parrocchiale, mentre Káto Arvanítes anche da 57 case e una chiesa parrocchiale. In totale entrambi i villaggi contano 683 abitanti, che conservano ancora tracce delle loro origini straniere nella loro parlata. [...] Gli abitanti producono vino, miele buonissimo, una specie di formaggio che, come sappiamo da tempo, si trova solo in Albania, catrame e bitume. Si occupano anche di zootecnia.''

  5) ''Σαμιακα (τέταρτος τόμος)'' [= Storia di Samo, volume quattro] di Epaminondhas Stamatiadhis (1886), pagina 25:

  "Il villaggio di Leka. Il primo abitante, secondo la tradizione, fu un albanese [arvanitas] del Peloponneso, che si chiamava Lekas ​​[Lekë]. Insieme ad altri si trasferì nell'isola di Samo per sfuggire alle persecuzioni dei turchi e abitò nel villaggio che da allora prese il suo nome.

  📷 FOTO: mappa dell'isola di Samos che mostra l'ubicazione di entrambi i villaggi albanesi e del villaggio di Léka.

domenica 6 ottobre 2024

SAN BASILIO CRATERETE ☦

 

La presenza del Cristianesimo Ortodosso nel Sud Italia risale fin all'epoca apostolica ed è andato soggetto a quelle stesse evoluzioni che lo avevano accompagnato in Oriente.

Una delle più antiche zone monastiche in Calabria era quella di Castrovillari che non era altro che un estensione orientale dell'Eparchia Monastica del Mercurion.

È importante tener presente che il territorio di Castrovillari era un passaggio obbligatorio per quei monaci che, dal Mercurion, dovevano recarsi a Rossano, centro Cristiano Ortodosso importantissimo, sia per rifornirsi del materiale occorrente allo studio o ad uso liturgico, sia per comunicare con le autorità imperiali di Costantinopoli.

Tra i monasteri Ortodossi più importanti del territorio di Castrovillari vi era quello dedicato a San Basilio Craterete, di cui non si sa nulla della sua vita, fondato forse nel secolo X, tra Castrovillari e l'attuale paese Arbëresh di San Basile; era un monastero che ha avuto un po' di storia ed è durato fino al principio del secolo XVI.

L'appellativo di Craterete deriva dal greco KRATEROS (il forte, il potente), e per suoi nessi vari, potrebbe nel suo nucleo primitivo riferirsi a una fondazione di San Fantino di Cerchiara. 

Il monastero Ortodosso di San Basilio, in seguito fu abbandonato dai monaci Ortodossi a causa dell'occupazione cattolica e la persecuzione da parte di questi contro la chiesa Ortodossa, successivamente veniva annessa alla mensa vescovile cattolica della diocesi di Cassano da parte di Papa Giulio II sotto il napoletano Mario Antonio Tomacelli vescovo cattolico di Cassano.

Il territorio attorno al monastero abbandonato di San Basilio rappresentava solo un feudo rustico e non abitato, ma con l'arrivo degli immigrati Albanesi Ortodossi fuggiti dalle loro terre d'origine a causa delle invasioni turche dopo la morte dell'eroe albanese Skanderbeg, il vescovo cattolico Tomacelli di Cassano concesse agli Albanesi stanziati intorno al monastero una serie di Capitoli allo scopo di popolare quel territorio con manodopera fissa e migliorare la coltivazione delle terre abbaziali.

Così nacque il paese Arbëresh di San Basile 🇦🇱 che prese il nome dall'ex monastero Ortodosso di San Basilio Craterete.

Immediatamente dopo la costruzione del casale di San Basile, da parte dei profughi Albanesi, attorno alla fine del XV secolo, la chiesa dell'ex monastero prese il titolo di Santa Maria dell'Odigitria a causa di uno scambio avvenuto nei secoli circa il tipo di Immagine dipinta sul fondo della chiesa rappresentante il busto di Maria vestita di azzurro sotto il manto rosso e con la testa coronata e da cui scende, fin sulle spalle, un velo verdolino campeggiante su una grande aureola giallo-oro.

Con lo stanziamento degli Albanesi Ortodossi nel territorio il monastero ritornò ad essere Ortodosso ma a causa delle pressioni e persecuzioni della chiesa cattolica ben presto gli Albanesi vennero forzati a diventare cattolici.

Dopo più di un millennio circa, da quando veniva fondato da San Fantino o da qualche suo seguace, e, dopo più di quattro secoli dal momento in cui veniva abbandonato dai monaci Ortodossi, il cenobio di San Basilio è stato rifatto dalle fondamenta il 19 aprile 1932.

📷 Nella foto l'unica Icona esistente di San Basilio Craterete dipinta dal Sacerdote Greco Ortodosso Padre Basilio, commissionata dal Sacerdote Ortodosso Arbëresh Padre Giovanni Capparelli residente in San Basile.

venerdì 4 ottobre 2024

LO IEROMARTIRE ELEFTERIO DI VALONA E ANTIA SUA MADRE 👑☦🇦🇱

 

🌿 Il glorioso martire di Cristo, Elefterio, il cui nome è sinonimo di libertà, nacque a Roma nel II secolo. Suo padre morì quando Elefterio era giovane, ed egli fu allevato nel timore di Dio e nell'amore delle sante virtù dalla pia madre, Anthia, o Evanthia, che aveva ricevuto la santa fede dall'apostolo Paolo. Aniceto, vescovo di Roma (155-166 d.c. quando la chiesa di Roma era ancora Ortodossa), si occupò dell'educazione del giovane, le cui qualità erano così evidenti che fu ordinato diacono all'età di 15 anni, sacerdote all'età di 17, e all'età di 20 anni è stato consegnato al vescovo dal Papa Ortodosso di Roma, come vescovo dell'ampia sede dell'Illiria nei Balcani occidentali. Nonostante la sua giovane età, era riuscito, attraverso la fede in Dio e lo zelo, a maturare «secondo l'età della pienezza di Cristo» (Ef 4,13).

La grande fama del santo ed i miracoli che accompagnarono la sua predicazione furono fatti conoscere all'imperatore, il quale si allarmò per il crescente potere della Chiesa. Mandò Felix, uno dei suoi primi ufficiali, ad arrestare il santo vescovo, ma quando vide il giovane pastore raggiante in mezzo al suo gregge a Valona, ​​il severo soldato rimase scioccato dalla dolcezza del suo insegnamento. Abbandonò le vanità del mondo e credette in Cristo, nonché nelle promesse della vita eterna e fu battezzato. Addirittura, avendo un ardente desiderio di spargere il proprio sangue, apparve davanti all'imperatore insieme al santo.

Seduzioni e minacce non fecero alcuna impressione su Elefterio. Confessò Cristo come il vero Dio e assicurò al tiranno che per coloro che hanno preso su di sé la croce, la tortura è un gioco da bambini e che morire per Cristo è una grande felicità. Lo adagiarono su un letto di ferro rovente, poi gli tirarono le membra e lo cosparsero di olio bollente e altre sostanze brucianti. Ma non ne subì alcun danno, perché la Grazia lo protesse da tutte le torture del maligno. Rimproverò severamente il tiranno, chiamandolo lupo d'Arabia (Abac. 1:8), perché perseguitava il gregge di Cristo. Su consiglio di Koremon, il brutale prefetto della città, costruirono una fornace piena di punte aguzze, nella quale gettarono l'atleta di Cristo. Ma in quel momento Elefterio pregò con fervore per la conversione dei suoi nemici, e improvvisamente Koremon fu illuminato dallo Spirito Santo. Sentì una profonda simpatia per la causa del santo e affermò coraggiosamente il Salvatore. Poi entrò lui stesso nel forno che aveva preparato per il santo. Ma la Grazia lo mantenne incontaminato insieme al santo e venne battezzato da Elefterio. Per questo motivo gli tagliarono anche la testa.

Poiché Elefterio non subì nulla dalla tortura del fuoco, fu rinchiuso in una prigione buia, dove una colomba veniva regolarmente a portargli del cibo. Successivamente lo portarono fuori e lo legarono ai cavalli selvaggi, frustandoli affinché galoppassero e uccidessero il santo. Ma un angelo di Dio venne e liberò il santo, che si stabilì sulle alture di una montagna vicina. Lì visse in pace per qualche tempo in compagnia degli animali selvatici, che restavano immobili mentre pregava e lodava Dio, il Creatore dell'Universo.

Fu scoperto da alcuni cacciatori e nuovamente arrestato. Nel suo viaggio verso Roma convertì i soldati e portò alla conoscenza della Verità molti pagani prima di comparire davanti al tribunale del tiranno. Fu punito essendo gettato in pasto ai leoni nell'arena in un giorno di festa, ma quando gli animali uscirono dalle gabbie, vennero da lui e iniziarono a giocare come gattini gentili. Alla fine la testa del santo fu tagliata; così vinse la corona della vita eterna. Non appena la spada gli toccò la testa, sua madre, Antia, corse a stringere il corpo di suo figlio, lodandolo per aver combattuto così coraggiosamente per Dio. Allora i carnefici la attaccarono con le spade e mescolarono il suo sangue con quello di suo figlio Elefterio.

Le donne incinte hanno l'abitudine di pregare il santo affinché abbiano un parto buono e sano. ❤