domenica 7 settembre 2025

MACEDONIA ED EPIRO SONONIMI DI ALBANIA


 🌿📜 Nella tradizione antica, l'inclusione di territori corrispondenti all'attuale Albania nell'antica Macedonia è attestata da diverse fonti importanti.

Strabone riferisce che, quando il regno macedone fu assorbito da Roma, "la via Egnazia attraversa il territorio di queste tribù, iniziando da Epidamno e Apollonia", collocando così le città di Durazzo e Apollonia all'inizio della grande strada romana all'interno dell'area macedone. Plinio, descrivendo l'organizzazione provinciale romana, è chiaro: "A Lisso inizia la provincia di Macedonia. La sua popolazione sono i Parti e, più all'interno, i Dassareti", integrando così inequivocabilmente le tribù dell'Albania centrale e meridionale nel quadro macedone. Infine, Tolomeo, nella sua Geografia, definisce i confini della Macedonia includendo una serie di città e popolazioni situate nell'attuale Albania: Amantia, Scampi (Elbasan), Dyrrahium (Durazzo), Apollonia e, soprattutto, "In Albani: Albanopolis", che stabilisce la presenza di un etnonimo albanese all'interno della geografia della Macedonia stessa. Queste tre prove coerenti dimostrano che, per gli autori antichi, la Macedonia si estendeva in quella che oggi è l'Albania, abitata da tribù albanesi: dai Partheni, dai Dassareti, dai Taulanti e dagli Albani.

Umanisti come Marin Barleti ripresero questa tradizione, collocando Scutari all'interno della Macedonia ed equiparando l'Epiro e l'Albania all'area macedone. Studiosi albanesi come Pjetër Bogdani e Frang Bardhi rafforzarono ulteriormente questa visione, collegando Alessandro Magno a Skanderbeg e identificando chiaramente Scutari come macedone. È una prova evidente che questa identificazione è rimasta viva nell'autorappresentazione degli albanesi.

Viaggiatori e studiosi europei confermarono la stessa continuità. Lady Mary Wortley Montagu descrisse gli albanesi come nativi dell'"antica Macedonia", mentre Edward Daniel Clarke ne sottolineò la discendenza dai macedoni, sottolineandone la sopravvivenza della lingua, dei costumi e del carattere. Anche i primi cartografi moderni collocarono l'Epiro e la Macedonia all'interno dell'Albania, riflettendo la stessa identificazione.

Questa tradizione ininterrotta, da Strabone, Plinio e Tolomeo, fino agli umanisti e ai viaggiatori moderni, trova il suo culmine nel giudizio degli osservatori del primo Novecento. Come scrisse l'autore francese Georges Verdène nel 1905: "La Macedonia può essere paragonata all'antica Gallia, che nel corso dei secoli e delle successive trasformazioni divenne la Francia moderna. La Macedonia ha cessato di esistere per diventare l'Albania". Questo paragone cattura l'essenza della continuità storica nota nel corso dei secoli: l'Albania non rappresenta una rottura con l'antichità, ma la trasformazione vivente dell'antica Macedonia. Questa concordanza di prove, lungi dal contrario, afferma una chiara conclusione: l'Albania odierna costituisce il cuore stesso dell'antica Macedonia.

Non è un caso che Skanderbeg rivendicasse questa illustre eredità. Ponendosi nella continuità degli Epiroti e dei Macedoni, egli incarnava la continuità vivente tra l'antico dominio di Alessandro e la nazione albanese. In lui, la memoria dell'Epiro e della Macedonia non rimase una reliquia del passato, ma si trasfigurò nel fondamento stesso dell'Albania moderna.

sabato 30 agosto 2025

HISTORIA BYZANTINA DUPLICI COMMENTARIO ILLUSTRATA

 

Autore: Charles du Fresne, Sieur du Cange
Pubblicazione: Parigi, 1680 📖

Nella sua monumentale opera Historia Byzantina duplici commentario illustrata (1680), l'eminente storico francese Charles du Fresne, Sieur du Cange – ampiamente acclamato come il "padre degli studi bizantini" – illumina le genealogie e l'impatto duraturo delle dinastie illiriche, dardane, macedoni, epirote e cioè albanesi. Du Cange evidenzia come queste dinastie non solo difesero le loro terre d'origine, ma raggiunsero anche un ruolo di primo piano nel cuore degli imperi romano e bizantino cioè l'Impero Romano Cristiano Ortodosso d'Oriente.

Dagli imperatori dardani della tarda Roma ai principi epiroti albanesi e ai despoti albanesi di Bisanzio, la loro eredità è inscritta nel contesto stesso della civiltà europea. Questi leader incarnarono coraggio, resilienza e brillantezza strategica, plasmando il corso degli imperi dall'Adriatico a Costantinopoli.

Il commento storico di Du Cange rafforza una verità spesso trascurata: gli albanesi sono gli eredi diretti dell'Impero Romano Cristiano Ortodosso d'Oriente di Costantinopoli, gli eredi diretti degli antichi popoli illirici, epiroti e macedoni il cui valore e il cui governo influenzarono il destino di tutta l'Europa. Questa eredità non è confinata a cronache polverose, ma vive nella nazione albanese, un popolo la cui resistenza, identità culturale e spirito di indipendenza rimangono intatti attraverso i millenni【Du Cange, Historia Byzantina, Parigi 1680】.

L'eredità albanese nella storia bizantina ed europea 🇦🇱

• Radici imperiali: numerosi imperatori e generali bizantini fecero risalire le loro origini all'Illiria, all'Epiro, alla Dardania e alla Macedonia, aree abitate dagli antenati degli odierni albanesi (vedi: J.B. Bury, History of the Later Roman Empire, 1923).

 • Continuità dell'Epiro: il Despotato dell'Epiro, regione albanese, portò avanti le tradizioni ellenistiche e illiriche fino al Medioevo inoltrato (N.G.L. Hammond, Epirus, 1967).

Identità duratura: Du Cange e gli storici successivi riconobbero che gli albanesi preservarono la loro antica eredità nonostante ondate di imperi, conquiste e migrazioni.

Pertanto, la Historia Byzantina è una cronaca bizantina cioè dell'Impero Cristiano Ortodosso d'Oriente Arbër e una testimonianza dell'eterna impronta delle stirpi albanesi sul destino dell'Europa, una stirpe di guerrieri e sovrani la cui eredità ispira ancora orgoglio e unità.

venerdì 29 agosto 2025

GLI ALBANI E LA FONDAZIONE DI ROMA

Presento qui alcuni estratti selezionati dal libro di Dionigi di Alicarnasso "Le Antichità Romane" (The Loeb Classical Library). Dionigi ci informa sulle varie ascendenze Arber romane, tra cui quella degli Albani (Αλβανοί).

Quando gli elleni o greci ancora non esistevano, il Mediterraneo era abitato da popolazioni pelasgiche delle quali gli odierni Albanesi-Arbëresh sono i discendenti.

Tra i primi che si insediarono vicino e nella regione del Lazio vi erano gli Etruschi, gente saggia (Me tru), provenienti dall'Epiro. Molti degli scritti presenti nei loro cimiteri sono stati decifrati grazie alla lingua Albanese.

Gli Enotri, una tribù Arbër arcadica e popolo Italico di origine Pelasgo-illirica cugini dei Dardani Achei e Troiani. Sugli Enotri il glottologo e linguista italiano Giacomo Devoto ne ipotizzò un'origine balcanica proto-Illirica per le somiglianze linguistiche e culturali con quelle degli Albanesi.

Gli Enotri avevano abbandonato spontaneamente il paese allora chiamato Licaonia e ora Arcadia, in cerca di una terra migliore, sotto la guida di Enotro, figlio di Licaone figlio di Pelasgo, da cui la nazione prese il nome. 

Mentre gli Aborigeni occupavano questa regione del Lazio, i primi ad unirsi a loro nel loro insediamento furono i Pelasgi-Albanesi della Emonia ora Tessaglia, dove avevano vissuto per qualche tempo. Dopo i Pelasgi Emoni giunsero i Pelasgi Arcadi dalla città di Pallanzio, che avevano scelto come capo della loro colonia Evandro, figlio di Ermes (Mercurio) e della ninfa Temi (o Carmenta, una donna mortale divenuta dea), insegnando agli abitanti la scrittura e la musica, e fu un alleato di Enea nella guerra contro i Rutuli. Questi costruirono una città accanto a uno dei sette colli che si trovano vicino al centro di Roma, chiamando il luogo Pallanzio, dalla loro città madre in Arcadia. Non molto tempo dopo, quando Eracle giunse in Italia di ritorno a casa con il suo esercito da Eritea, una certa parte del suo esercito, rimase indietro e si stabilì vicino a Pallanzio, accanto a un altro dei colli che ora racchiudono la città. Questo era allora chiamato dagli abitanti colle Saturnio, ma ora è chiamato Campidoglio dai Romani. La maggior parte di questi uomini erano Dori Epei che avevano abbandonato la loro città in Elide dopo che il loro paese era stato devastato da Ercole.

Durante la guerra di Troia, poco prima del duello finale tra Enea e Turno, c'è una conversazione tra gli dei pelasgi dove la dea Era (parola che dall'albanese signfica Vento) "regina del cielo" dice come i nomi Lazio e Albano debbano essere preservati mentre il nome di Troia dovrebbe scomparire.

Accadde che Enea fondò Alba Longa alle pendici del Monte Albano nel Lazio, a capo della confederazione dei popoli latini (populi albenses), da dove venne fondata Roma.

Nella sedicesima generazione dopo la guerra di Troia, gli Albani unirono entrambi questi luoghi in un unico insediamento, circondandoli con un muro e un fossato. Fino ad allora, infatti, c'erano solo ovili per bovini e ovini e alloggi per gli altri pastori, poiché il territorio circostante forniva erba in abbondanza, non solo per l'inverno ma anche per i pascoli estivi, grazie ai fiumi che lo rinfrescavano e lo irrigavano.

Gli Albani erano una nazione composta da Pelasgi-Albanesi: Arcadi, Epei provenienti dall'Elide e, infine, dai Troiani che giunsero in Italia con Enea, figlio di Anchise e Afrodite, dopo la presa di Troia. Ma tutto questo popolo, avendo perso le loro designazioni tribali, finirono per essere chiamati con un nome comune, Latini, da Latino, che era stato re di questo paese. La città murata, quindi, fu costruita da queste tribù nell'anno quattrocentotrentaduesimo dopo la presa di Troia, e nella settima Olimpiade. I capi della colonia erano fratelli gemelli di famiglia reale Albana, Romolo essendo il nome dell'uno e Remo dell'altro. Da parte di madre discendevano da Enea ed erano Dardanidi. Tuttavia, non continuarono entrambi a essere capi della colonia, poiché litigarono per il comando; ma dopo che uno di loro fu ucciso nella battaglia che seguì, Romolo, che sopravvisse, divenne il fondatore della città e la chiamò con il suo nome.

sabato 23 agosto 2025

SAN MERCURIO DEGLI ARBËR E LA MEMORIA STORICA DEGLI STRATIOTI ARBËR IN EUROPA

 

Nella memoria storica e religiosa dei primi Arbër della diaspora, la figura di San Mercurio occupa un posto speciale. 

Mentre oggi il nome di questo santo non è frequente tra gli Arbër e le chiese a lui dedicate sono poche in Grecia e nelle aree di migrazione degli Arbër, nei secoli XV-XVI il suo culto godeva di grande importanza.

Prima del 1821, quando San Giorgio divenne il patrono della rivoluzione Arvanita e in seguito dello stato ellenista greco, la popolazione Arvanita-Arbëresh aveva San Mercurio come patrono. Questo culto era strettamente legato alla natura guerriera degli Arbër e degli Stratioti Albanesi, che vedevano in San Mercurio la figura del santo del soldato e del vincitore in battaglia.

Una chiara testimonianza di questo culto è la diffusione del nome Mërkur tra gli Albanesi del sud e in particolare tra gli Arvaniti. Una delle figure più famose che porta questo nome è Mërkur Bua Shpata, discendente della famiglia principesca Albanese dei Bua Spata in Morea, uno dei più importanti stratioti Albanesi del XV-XVI secolo. Questo nome, associato al culto del santo, racchiudeva non solo il simbolismo della fede Cristiana Ortodossa, ma anche una dimensione identitaria marziale, conferendo al portatore del nome uno status legato alla tradizione dei vincitori e dei difensori della fede.

La figura di Mërkur Bua è una delle prove più evidenti del legame tra il culto di San Mërkur e l'identità marziale degli Arbër. Bua fu comandante di 300 stratioti Arbër e prestò servizio negli eserciti più potenti d'Europa. Combatté per l'imperatore tedesco Massimiliano I, per Luigi XII di Francia, per Venezia e partecipò alle battaglie più importanti dell'epoca. Nella battaglia di Marignani (1515), dove si affrontarono gli eserciti francese e svizzero, gli albanesi al suo comando sbaragliarono l'ordine di battaglia di 40.000 svizzeri, costringendoli alla ritirata. Le cronache europee registrano questa battaglia come la "vittoria dei giganti", dove 300 cavalieri Albanesi si presentarono come un intero esercito.

Lo storico e poeta Coroneo degli Arbani di Grecia, scrisse di lui come discendente di Pirro d'Epiro, Achille, Enea e Alessandro Magno: un'iperbole che attesta lo straordinario rispetto e la fama di questo guerriero Arbano. Nella battaglia di Pavia (1525), pur trovandosi di fronte al suo ex alleato, il re Francesco I di Francia, Bua dimostrò una rara grandezza: quando il re francese fu sconfitto e fatto prigioniero, i mercenari catalani volevano ucciderlo, ma Mërkur Bua intervenne e gli salvò la vita, conferendogli gli onori di un sovrano. Questo gesto era in linea con l'ideale di San Mercurio, guerriero e uomo giusto, a dimostrazione che per gli Arbëri la guerra non aveva solo una dimensione militare, ma anche etica e spirituale.

Il culto di San Mercurio tra gli Arbëri era legato al loro ruolo di soldati della diaspora, come stratioti in Italia, Dalmazia, Francia, Austria, Fiandre, Spagna e Prussia. San Mercurio era visto come il protettore della loro vita precaria, come garante della vittoria e dell'onore in battaglia. Per questo motivo il suo nome divenne comune e numerose chiese dell'epoca gli furono dedicate. Purtroppo, nel corso dei secoli con la presa della chiesa Ortodossa-Arbër di Costantinopoli da parte degli ellenisti e con il mutare delle priorità del culto religioso ellenista del moderno stato greco, questo santo è quasi scomparso dalla memoria collettiva. Oggi, solo resoconti storici e pochi nomi rimasti nelle genealogie testimoniano questo antico legame.

Un importante elemento simbolico è anche la bandiera donata a Mërkur Buas dall'imperatore Massimiliano I nel 1510, che raffigurava un'aquila bicipite nera – simbolo tipico dell'eredità Ortodossa-Arbër – e le insegne araldiche del Ducato di Borgogna. Questa bandiera testimonia la combinazione dell'elemento Arbër con la tradizione europea, a dimostrazione che gli stratioti albanesi e tutti gli Arbër della diaspora non hanno mai perso la loro identità.

Il culto di San Mërkur e la figura di Mërkur Bua fanno parte di un ricco patrimonio, in cui storia, religione e identità Arbër si fondono in una potente narrazione. San Mercurio, in quanto patrono degli Arbër, prima che la Chiesa Ortodossa-Arbër di Costantinopoli fosse presa dagli ellenisti del moderno stato greco e San Giorgio diventasse patrono della Grecia, rappresenta uno strato profondo della cultura della diaspora Albanese e del suo ruolo militare in Europa. La figura di Mercurio Bua, d'altra parte, incarna gli ideali del santo: coraggio, lealtà, onore e grandezza. Questo legame speciale dimostra che gli Arbër, ovunque combattessero, conservarono non solo le loro armi e i loro costumi, ma anche una dimensione spirituale del loro retaggio Ortodosso, rimanendo inseparabili dalle loro radici.


martedì 19 agosto 2025

IL SIGNORE GIURÒ A DAVIDE CON VERITÀ

 

🌿📜 "E, come ricordò Paolo, disse: "Il Signore ha reso stolta la sapienza di questo mondo", ciò che aveva esaminato nella sua sapienza.

E aveva detto: "Da mille donne genererò mille maschi ed erediterò le città del nemico e distruggerò gli idoli".

Ma [il Signore] non gli diede [a Salomone] che tre figli, di cui quello maggiore, il re d'Etiopia, figlio della regina d'Etiopia, è il primogenito.

È lui quello di cui dice nella profezia: "Il Signore giurò a Davide con verità e non se ne pentirà, come, il frutto del tuo ventre, stabilirò sul tuo trono".

Il Signore diede grazia al suo cospetto, a Davide suo servo, e concesse a lui di assidersi sul trono di Dio, dalla sua discendenza, secondo la carne, dalla Vergine: Egli giudicherà i vivi e i morti e retribuirà tutti secondo le proprie azioni. A Lui si deve la Gloria, al Signore nostro Gesù Cristo, nei secoli dei secoli, amìn! E gli concesse anche che, in terra, vi fosse un re sull'arca della Sua Legge, la Santa Celeste Sion, che è il re d'Etiopia.

Quanto a quelli che regneranno, che non sono d'Israele, ciò è una violazione della legge e del comandamento, che il Signore non gradisce."
(Kebra Nagast - La gloria dei re, cap.34)

domenica 17 agosto 2025

BUON COMPLEANNO IMPERATORE MENELIK II

 

🎊🎉💚💛❤️🎊🎉

Il 17 agosto è il compleanno di Imye Menelik, il nostro leader visionario che ha galvanizzato L'Etiopia nella lotta contro il colonialismo nella storica battaglia di Adua del 1° marzo 1896, aprendo le porte alla modernizzazione per la nazione Etiopica.

 Ecco un elenco parziale delle innovazioni da lui introdotte nel Paese di Etiopia:

• Linea ferroviaria
• Telegrafo
• Telefono
• Acqua corrente
• Elettricità
• Fotografia (fu il primo fotografo amatoriale d'Etiopia)
• Automobili
• Addis Abeba come capitale
• Eucalipto
• Servizio postale
• Tipografia
• Riviste di informazione
• Scuola moderna
• Ospedale moderno
• Film
• Biciclette (il primo ciclista d'Etiopia)
• Distilleria
• Filatoio moderno
• Farmacia
• Costituzione scritta
• Ministeri
• Ambasciate straniere (almeno 13 durante il suo mandato)
• Fabbrica di proiettili
• Panetteria
• Cinema
• Registrazione vocale su tamburi di cera
• Patente di guida (fu il primo conducente autorizzato d'Etiopia)
• Orologi con numeri "Geez"
• Riparazione di orologi (fu lui stesso il primo riparatore di orologi ad Addis)
• Pompe per l'acqua
• Ecc. ecc.

Ad eccezione del volo aereo, della televisione, di Internet e di pochi altri - Imye Menelik ha gettato le basi dell'Etiopia moderna.

lunedì 11 agosto 2025

L'OPERA DI PAPANTONIOU

 

"Quando Re Ottone di Grecia arrivò in Grecia nel 1830, riusciva a malapena a sentire qualcuno parlare greco, così chiese: 'Dove sono i greci ad Atene?'

I suoi cortigiani si guardarono l'un l'altro e risposero: 'Non ci sono greci, ma non preoccupatevi perché questa popolazione albanese sarà sempre fedele alla vostra monarchia'".

Questa citazione, inserita in un contesto storico reale, rafforza alcune verità spesso silenziose della storia ufficiale: quando Ottone sbarcò in quella che poi sarà chiamata Grecia (ufficialmente nel 1832), il paese era stato devastato dalla guerra d'indipendenza (1821-1829) e la città di Atene, ancora poco sviluppata e in gran parte disabitata, era abitata principalmente da Arvaniti, albanesi Ortodossi sia autoctoni che insediati fin dal Medioevo.

La lingua greca non era ancora dominante in città come Atene, mentre l'elemento albanese non solo aveva una pronunciata presenza linguistica e culturale, ma costituiva anche la principale forza combattiva che sostenne la formazione dello stato greco moderno. Questi dati, sebbene spesso trascurati dalle narrazioni nazionali, sono confermati anche da altre fonti storiche e documentarie.

Papantoniou, con il suo stile tipicamente critico e tagliente, pone questa realtà al centro della sua ironia storica, mostrando uno scontro tra le aspettative "europee" del re bavarese e la realtà multietnica e linguistica della neonata Grecia. Inoltre, l'affermazione sulla "lealtà della popolazione albanese" alla monarchia è una chiara allusione al ruolo degli Arvaniti nel mantenimento della stabilità interna e al loro contributo alla fondazione dello stato.

Questa prospettiva ci ricorda che la costruzione delle identità nazionali non è un processo semplice e lineare, ma spesso un'attenta selezione della memoria collettiva e la cancellazione di elementi che non si adattano alla narrazione ufficiale. Opere come quella di Papantoniou offrono una rara opportunità di leggere tra le righe della storia e di riscoprire le tracce di comunità che l'hanno significativamente influenzata, ma che sono spesso rimaste nell'ombra.

"Re Ottone" di Zaharias Papantoniou, pubblicato nel 1934 dalla Casa Editrice Dimitrakou di Atene, rappresenta uno dei tentativi più singolari di descrivere con ironia, ma anche con occhio critico, gli albori dello stato greco moderno sotto il regno di re Ottone di Baviera. Tra i numerosi episodi che gettano luce sugli aspetti politici e sociali di quel periodo, un breve ma estremamente significativo frammento serve da spunto per riflettere sulla struttura etnica e linguistica di Atene all'inizio del XIX secolo:

Nota a piè di pagina

1. Zaharias Papantoniou, Re Ottone, Casa Editrice Dimitrakou, Atene, 1934. Sulla copertina vi è raffigurato un albanese in abito tradizionale albanese che in seguito fu rubato dal moderno stato greco.


E anche:
- RE OTTONE NON ACCETTA L'ALBANESE E LA SUA STORIA ⬇️
https://giuseppecapparelli85.blogspot.com/2024/11/re-ottone-non-accetta-lalbanese-e-la.html

Girate queste informazioni ai moderni pseudo filo-greci che nascondono i fatti storici ingannando loro stessi e gli altri.

venerdì 1 agosto 2025

I QUARANTA BAMBINI 🎼🎺🥁

 

🌿 Hailé Selassié I durante la sua prima visita a Gerusalemme (1924)

Hailé Selassié I, futuro imperatore d'Etiopia, compì il suo primo viaggio internazionale nel 1924. All'epoca era giovane ed era sia l'erede al trono che il sovrano d'Etiopia, il che significa che governava in nome dell'imperatrice. Era un leader dalla mentalità moderna che desiderava modernizzare l'Etiopia, abolire la schiavitù e promuovere il suo paese a livello internazionale. Parlava fluentemente il francese e aiutò l'Etiopia ad aderire alla Società delle Nazioni.

Il suo viaggio lo portò attraverso l'Europa e il Medio Oriente per stabilire relazioni diplomatiche. Viaggiò in treno e in nave, arrivando infine a Gerusalemme. Gli etiopi avevano una lunga tradizione di visite a Gerusalemme e lo stesso Hailé Selassié I nutriva un affetto speciale per il Santo Sepolcro, un luogo di grande importanza per i cristiani. Il loro viaggio coincise con le festività pasquali, il che permise loro di partecipare a cerimonie speciali, tra cui l'accensione della lampada. Trascorsero dieci giorni visitando numerosi luoghi sacri e storici.

🌿 Perché Hailé Selassié I visitò Gerusalemme.
Hailé Selassié I aveva obiettivi chiari per il suo viaggio:

Pellegrinaggio: Da cristiano profondamente religioso, stava seguendo le orme del padre. Dimostrò grande rispetto visitando i luoghi santi. Questo contribuì a dissipare le voci in Etiopia secondo cui si fosse convertito al cattolicesimo.

Aiutare gli etiopi a Gerusalemme: Considerava il suo viaggio anche un "viaggio d'affari"; si trattava di aiutare la povera comunità etiope che viveva in condizioni difficili sul tetto del Santo Sepolcro (Golgota). Aveva in programma di incontrare il Patriarca ortodosso egiziano per discutere dei loro problemi.

Proprietà e relazioni ecclesiastiche: Si dice che negoziarono con il Patriarca greco per l'acquisto di una stanza in un monastero vicino al Santo Sepolcro (Golgota) da utilizzare come sala di preghiera per gli etiopi. In cambio, si dice che abbiano donato un ampio appezzamento di terreno al Patriarca greco in Etiopia. Visitarono anche le proprietà etiopi a Gerusalemme che i monaci utilizzavano come fonte di reddito.

🌿 Armenian Orphan Band:

Una delle visite più significative del loro viaggio fu quella a un monastero armeno. Incontrarono il Patriarca armeno e videro una banda musicale composta da 40 bambini armeni di età compresa tra i 15 e i 18 anni, sopravvissuti al genocidio del 1915. Questi orfani erano stati portati a Gerusalemme nel 1922.

Il Patriarca disse ad Hailé Selassié I che prendersi cura di questi talentuosi musicisti era un grande onere finanziario. Hailé Selassié I, mosso da compassione, li portò ad Addis Abeba e diede loro una residenza permanente. Invitò l'intera banda, insieme al loro insegnante e direttore, a trasferirsi ad Addis Abeba e a nominarli Musicisti Reali d'Etiopia. Fu firmato un contratto di residenza quinquennale con l'Armenian Charity Society, responsabile della cura degli orfani. Anche la comunità armena di Gerusalemme accolse con grande gioia l'iniziativa di Hailé Selassié I.

,🌿 "Quaranta Bambini" e l'inno nazionale etiope:

Dopo il fruttuoso viaggio di Hailé Selassié I dall'Europa, gli orfani armeni lo raggiunsero a Porto Said, in Egitto, e si diressero ad Addis Abeba. Sebbene Hailé Selassié I non abbia scritto molto su di loro nelle sue memorie personali, era chiaro che fossero molto importanti per lui.

Questi 40 orfani armeni arrivarono ad Addis Abeba il 6 settembre 1924 e divennero noti come i "Quaranta Bambini". Formarono la Royal Ethiopian Band, ricevettero uno stipendio mensile, alloggio e lezioni di musica dal loro direttore musicale armeno, Kiwerk Nalbandian, egli stesso orfano.

L'imperatore Hailé Selassié I rimase così colpito dall'esibizione della banda che chiese a Nalbandian di comporre l'inno nazionale etiope nel 1926. Nalbandian compose l'inno nazionale, "Tefiri Marsh, Ethiopia Hoi", che significa "Rallegrati, Etiopia!", e fu eseguito per la prima volta dai 40 orfani di Addis Abeba il 2 novembre 1930, quando l'imperatore Hailé Selassié I fu incoronato imperatore.

Sebbene la banda si sciolse dopo l'occultamento dell'imperatore, si dice che la maggior parte dei suoi membri sia rimasta in Etiopia. Questo evento, unito all'arrivo di altri talentuosi armeni, portò la comunità armena di Addis Abeba a crescere e ad aumentare di numero durante il regno dell'imperatore Hailé Selassié I. Ingegneri, fotografi, medici e uomini d'affari armeni contribuirono a trasformare la città in un fiorente centro culturale e commerciale. Al suo apice, oltre duemila armeni vivevano e lavoravano ad Addis Abeba, e la città aveva una chiesa, una scuola superiore e un club molto attivi. Tuttavia, dopo la rivoluzione marxista, ne rimasero solo una cinquantina.

giovedì 31 luglio 2025

I PADRI DELLA RAZZA GRECA E LATINA 🇦🇱

 

⚡ «Οἱ ̓Αλβανοί θεωροῦνται εἰκότως πατέρες τῆς Ἑλληνικῆς φυλῆς»
" Gli Albanesi sono considerati i padri della razza greca"

📜 "Nell'Epiro superiore e medio, dai monti Grammonas e Acrokeravnia alla catena del Pindo e lungo il Drimino, dall'Adriatico e dallo Ionio all'Egeo, ma anche su alcune isole e attorno all'Attica, in gruppi e sporadicamente, vivono gli Albanesi, QUESTA ANTICA TRIBÙ PELASGICA ED ERACLEA, questi coraggiosi e valorosi difensori della fede della patria e fedeli osservatori e custodi degli antichi costumi e tradizioni. GLI ALBANESI SONO CONSIDERATI I PADRI DELLA RAZZA GRECA [...]
 
[...] Questi, come la maggior parte dei popoli antichi dalle rive dell'Eufrate e del Gange fino al Caspio e al Caucaso, accampandosi tra l'Iberia e il Caspio e il Perigeo dell'Ocumene dionisiaco, erano inizialmente ciclopici, nomadi e pastori."
(Estratto da: "Gli albanesi e il loro futuro nell'ellenismo, con un'appendice sui greco-valacchi e bulgari" Anno: 1879)

⚡ «οἱ ̓Αλβανοί πατέρες, τῶν Λατίνων Τὸ γένος, τὰ τειχόκαστρα τῆς δοξασμένης Ρώμης» 
"I padri Albanesi, la stirpe latina, tengano le mura della gloriosa Roma." (Virgilio)

📜"Io, che prima cantavo con un tenero flauto e dalle foreste che emergevano ai campi aperti stringevo e insaziabili coppie di volontà per volgere, un'opera gradita ai contadini, ora canto i carri e l'eroe del crudele Marte, che, come volle il Fato, fuggendo dalla terra di Troia, in Italia sulle rive di Lavinio giunse per primo, poiché dalle divine sinergie ha reso paradisiache molte terre del mare, per l'ira insonne dell'iraconda Era, e poiché da dove molte la guerra sopportò, affinché potesse fondare la patria e portare nel Lazio gli dei di Othe, I PADRI ALBANESI, LA STIRPE LATINA, tengano le mura della gloriosa Roma. Musa, studia le ragioni per me, per la volontà di chi sfida, per quale bisogno di lei la regina degli immortali, il persiano timorato di Dio, soffrì così tanto, così tanto? Tale L'ira si adatta alle viscere celesti. C'era un paese antico, dove i Tiri avevano la loro dimora, in Italia di fronte, di fronte alla foce del Timbrio, Cartagine, ricchissima di potenza e di opere. Feroce in guerra, dove, come si dice, Era amava, unica più di ogni altra terra, più della stessa Samo. Lì aveva un carro, lì carri; a questo regno per dare ai popoli, che il Fato in qualche modo avrebbe perdonato, la dea si prese cura e si prese cura da allora in poi."
(Estratto da: Virgilio, "Eneide di Virgilio", libro primo)

DEREK 🔯🔥

sabato 26 luglio 2025

RE PIRRO D'EPIRO.


 • Re dell'Epiro, Pirro è una delle figure più importanti della storia albanese dell'antichità e la sua vita turbolenta è vividamente descritta da Plutarco.

Con l'ascesa del re molosso, l'antico Epiro acquisì per la prima volta splendore, ben oltre i suoi confini.

~~ Pirro divenne famoso per la sua campagna nell'Italia meridionale, a sostegno delle tribù illiriche come i Messapi e gli Iapigi dell'Illiria di quel tempo.

Pirro e Annibale furono gli unici a contrastare l'avanzata dell'impero romano.

Le vittorie che ottenne, dopo pesanti perdite, diedero origine all'espressione "vittoria di Pirro".

• Tuttavia, la campagna di Pirro in Italia e l'indebolimento della sua patria da parte di una popolazione bellicosa gli causarono in seguito gravi danni, quando fu conquistata dai Romani. Vale la pena notare che Pirro ebbe la fortuna di ereditare l'organizzazione militare di Alessandro Magno, che per l'Epiro è l'equivalente di Filippo II.

~~ Alessandro riorganizzò la società albanese epirota ed è probabilmente il successore delle formazioni che... Nel 353 a.C., il matrimonio di Filippo con Olimpiade portò l'Epiro e il suo esercito sotto l'influenza macedone.

Fu allora che le unità di ricognizione apparvero per la prima volta nell'esercito continentale.

•Nel 281 Taranto (nell'Italia meridionale) chiese l'aiuto di Pirro contro Roma.

Attraversò l'Italia con circa 25.000 uomini e nel 280 ottenne una vittoria completa, forse costosa, su un esercito romano a Eraclea.

Nel 279 Pirro, subendo nuovamente pesanti perdite, sconfisse i Romani ad Ausculum (Ascoli Satriano) in Puglia.

•Nel 275 subì gravi perdite in una battaglia contro Roma a Benevento.

• Anche Pirro, re dell'Epiro, portò venti elefanti per attaccare i Romani nella battaglia di Candia nel 280 a.C.

I Romani non erano preparati a combattere contro gli elefanti e le forze dell'Epiro inflissero loro una schiacciante sconfitta.

• Pirro entrò in Italia con un esercito composto da 20.000 fanti, 3.000 cavalieri, 2.000 arcieri, 500 frombolieri e 20 elefanti da guerra nel tentativo di sottomettere i Romani.

Gli elefanti gli erano stati prestati da Tolomeo II Filadelfo, che aveva anche promesso 9.000 soldati e altri 50 elefanti per difendere l'Epiro mentre Pirro e il suo esercito erano lontani dall'Epiro, che si trovava nell'Italia meridionale.

Fonti:👇
Livio 32.5.9
Hammond 1967: 209-211, 699-700,
Imperium Romano.

martedì 22 luglio 2025

LA GIOIA DEGLI ARVANITI

 

🌿 Alla fine degli anni Ottanta, uno studioso albanese, storico e linguista, si recò ufficialmente in Grecia. Da studioso appassionato, si trovò nella maggior parte delle zone di lingua albanese.

Era padre di un bambino, come tutti gli albanesi di quel tempo, cioè poveri, una volta si fermò da qualche parte a Maratona, in Grecia, sul ciglio della strada, per comprare della frutta. C'era una zona abitata dagli Arvaniti e il venditore era un Arvanita.

Comunicare in albanese con il ragazzo divenne il motivo per cui l'Arvanita intervenne e così abbiamo una storia tanto toccante quanto interessante. L'Arvanita li scambiò per... Arvaniti di Grecia e li ascoltò con molta attenzione...

Il padre va a comprare delle pere, ma il ragazzo non le preferiva e disse al padre in albanese davanti all'Arvanita:

- "Per favore padre, non voglio pere, voglio mele. (nuk dua dardhë, dua mollë)."

L'Arvanita, quando lo sentì, rimase stupito. Era molto colpito da un ragazzo così giovane che conosceva così bene la "lingua arvanita", come faceva da bambino...

"La lingua Arbër vive e non morirà mai con questi uomini coraggiosi", pensò il fruttivendolo.

Negli occhi del vecchio Arvanita, si vedevano stranamente delle lacrime sgorgare dai suoi occhi...

Questo colse padre e figlio di sorpresa.

"Come conosce bene la lingua arvanita il ragazzo", si rivolge a lui il vecchio Arvanita.

"Che tuo figlio viva a lungo come le montagne."

E continuò così: "Con uomini così coraggiosi, la lingua arvanita non andrà mai perduta, non deve andare perduta. Perché è la lingua dei coraggiosi, degli eroi, tutti gli eroi della Grecia sono arvaniti."

Padre e figlio capirono cosa stava succedendo e, dopo averlo lasciato calmare dalla contentezza, il padre disse:

"Noi, signore, non siamo arvaniti, siamo albanesi e parliamo la vostra stessa lingua, come forse saprete."

Il vecchio non se l'aspettava e per un attimo si perse, dato che non aveva mai sentito parlare albanesi prima, ma poi si riprese e disse:

"Eh! Davvero?"

"Sì, signore."

Dopo aver ricevuto alcune spiegazioni, il vecchio finalmente capì.

"Sì, sì, sì, com'è facile capirsi... ma per favore, parlami un po' di albanese..."

"Come parli bene la nostra lingua",
rivolgendosi al figlio...
"Prendila, figlio mio, prendi quante mele vuoi, prendi quello che vuoi, non voglio soldi da te. Poiché mi piaci così tanto, mi hai ricordato la mia infanzia, il tempo in cui nel villaggio tutti parlavano arvanita. Oh, che miracolo fu quello, e anche questo."


Passò più di mezz'ora così, parlando in arvanita.


E poi si rivolge a suo padre, dicendo:

"Centinaia di anni qui in Grecia e la nostra lingua non è cambiata affatto...

Oh, quanto hai reso felice questo vecchio, ne sono stato commosso, ero convinto prima di morire che la nostra lingua vive da qualche parte e che Dio la benedica e la faccia crescere. La lingua Arbër non scomparirà, dicevano gli anziani, ma io avevo paura perché non è scritta e nessuno la insegna a scuola qui in Grecia.

Che tu possa vivere e che Dio sia sempre con te e con la lingua arvanita."

"Ogni pietra che sposterai in Grecia parlerà... arvanita. Ma tempi bui stanno arrivando per la nostra lingua, qui in Grecia. Puoi fare qualcosa al riguardo?"

La preoccupazione del vecchio.
La gioia del vecchio.
L'anima del vecchio.
La lingua arvanita.

Dopo tanto discutere prendemmo la via del ritorno.

Non dimenticherò lo sguardo amaro dell'anziano, che mi guardava perdermi alla svolta della strada. Questo, perché non avrebbe avuto alcuna speranza che gli Arvaniti sarebbero riusciti a sopravvivere.

Dopo 25 anni. Quanto aveva ragione il vecchio Arvanita. Il tempo lo ha dimostrato.

Tra altri 25 anni, non ci saranno più il dialetto arvanita e la lingua albanese in Grecia.

📷 Nella foto: dipinto di Albanesi di Atene... 

"Atene era solo un villaggio albanese. Quasi tutta la popolazione dell'Attica è considerata ed è composta da albanesi. A tre leghe di distanza (14,5 Km) dalla capitale ci sono villaggi che capiscono a malapena il greco."

(Empire Newspaper (Sydney, Australia) 5 Maggio 1863)

venerdì 4 luglio 2025

SULLA "MIGRAZIONE" DEGLI ARVANITI NELLE AREE DEL MODERNO STATO GRECO:

 

Ci viene detto dai moderni filogreci (e loro insistono su questo) che gli Albanesi-Arvaniti giunsero in quel territorio che oggi viene chiamato Grecia, per la prima volta, nel XIII e XIV secolo d.C., e che prima di queste discese, non c'erano Arvaniti in questo paese!

Ma allora:

1. Perché quella che ora è chiamata Grecia, durante il periodo dell'Impero Romano, apparteneva alla provincia dell'"Illirico"?

2. Perché, durante il periodo dell'inizio dell'Impero Bizantino, il Peloponneso apparteneva all'"Illirico Orientale", che aveva Corinto come capitale? E

3. Perché tutti i toponimi antichi (pre-ellenici), i nomi (di dei ed eroi), così come le iscrizioni anteriori al VI secolo a.C., che non possono essere interpretati in lingua greca (antica e moderna), sono interpretati in Albanese-Arvanita-Arbëresh? 

Quindi chiediamo a ogni autentico studioso di storia greca:

È possibile che la Provincia e il Thema dell'Illirico non avessero Illiri, cioè Albanesi-Arvaniti?

È possibile che, dove ci sono toponimi Albanesi-Arvaniti, non ci fossero Arvaniti?

Che qualcuno si renda finalmente conto che la storia degli Albanesi-Arvaniti-Arbëresh è stata scritta di nuovo e in maniera errata, e questa volta... dagli stessi ignoranti Arbëresh e Arvaniti che hanno subìto il lavaggio del cervello dal moderno ellenismo bavarese!!!

Qui le risposte ⬇️
MOJ E BUKURA MORE:
https://giuseppecapparelli85.blogspot.com/2025/06/moj-e-bukura-more.html

📷 Nella foto:
- Mappa della prefettura dell'Illirico 0-399 d.C.

-Traduzine testo foto: La provincia di Acaia, dal 395 d.C. con la separazione dello stato romano d'Oriente da quello d'Occidente, appartiene all'Illirico Orientale con capitale a Corinto e retta da un governatore.

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giovedì 26 giugno 2025

IMPARATE LA STORIA


"Ringrazio le istituzioni italiane per aver integrato e non assimilato gli Arbëresh."
(Bajram Begaj, presidente della Repubblica d'Albania, 26 giugno 2025)

Mentre in Italia gli Arbëresh, o albanesi d'Italia, furono integrati nel territorio italiano, gli Arvaniti, gli Albanesi del moderno falso stato greco, furono perseguitati e forzati a dimenticare le loro radici e la loro lingua e assimilati a uno stato fittizio dove paradossalmente inizialmente non si parlava nemmeno greco.

Nel 1916 nel moderno stato della Grecia voluto dagli inglesi ancora si parlava Albanese, e con tutti i mezzi si cercava di cancellare questa lingua e la loro identità.

📷 Nella foto, Tema: Popullsia Arvanite në Greqinë Arvanite, documento n. 126
"ALBANIA - L'ascesa di un regno" di J. Swire - 1971 
ALBANIA PRIMA DEL TRATTATO DI BERLINO
"I capifamiglia [Arvanite-Albanesi] forniscono i migliori soldati dell'esercito greco e anche ottimi marinai" (E.B. 12: 430).
In un articolo del mensile greco Parnassos (febbraio 1916: C.C. 206), si afferma che "la maggior parte dei nostri soldati parla tra loro in lingua albanese, un'abitudine molto deplorevole. È opportuno che questa abitudine venga eliminata con tutti i mezzi necessari e vigorosi". Il principe Lichnowsky scrisse: "lo stesso cosiddetto abito nazionale greco è di origine albanese".

Furono quindi anche gli stranieri, soprattutto i britannici, a unirsi agli ellenici nello sterminio della lingua Albanese nel moderno stato greco. Perché la lingua è la nazione. Se hai perso la tua lingua, hai perso identità e nazionalità.

E ci sono ancora dei tizi 🤡 filogreci tra gli Arbëresh che cercano di distorcere la storia negando e nascondendo come il moderno stato greco abbia agito per eliminare l'identità e la lingua Albanese.

Questi tizi "copia incolla" che hanno dimenticato la loro lingua e le loro radici e la loro storia cercano di collegare gli Arbëresh con la Grecia moderna per ingraziarsi dei fascistelli greci uniati pseudo ortodossi nascondendo il fatto che la Grecia moderna ha perseguitato i nostri fratelli Arvaniti e li ha costretti a dimenticare la loro lingua e indentità.

Il loro obiettivo é ancora volto all'assimilazione e alla distruzione della lingua Arbëresh. Attenti agli ignoranti lupi rapaci.

Per saperne di più leggi anche:
MOJ E BUKURA MORE ⬇️
https://giuseppecapparelli85.blogspot.com/2025/06/moj-e-bukura-more.html

A quei pseudo Arbëresh filogreci che, per la visita di oggi del presidente della repubblica d'Albania nei paesi Arbëresh, sui social scrivono queste stupide domande chiedendo "Che cosa c'entrano gli Arbëresh col presidente dell'Albania?", rispondo: "Perché chi dovrebbe venire a visitare i paesi Arbëresh? Il presidente della Grecia o quello della Serbia? Due nazioni che hanno perseguitato gli Albanesi e cancellato la loro lingua e che tutt'ora ancora cercano di assimilarli? Imparate la storia"

📷 Nella foto in basso: Soldati Albanesi-Arvaniti-Arbëresh Ortodossi in abito tradizionale militare albanese, a Meteora, nel moderno stato della Grecia, nel 1930.


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lunedì 23 giugno 2025

MOJ E BUKURA MORE 🇦🇱

 

🌿 Noi Arbëresh cantiamo "Moj e bukura More" perché molti di noi provenivano dalla Morea... Sì, perché la Morea, l'odierno Peloponneso, era una regione Albanese abitata da Albanesi fin dall'antichità.

Per esempio storicamente, la città di Sparta, nel Peloponneso, fu fondata dai Dori nel X secolo a.C., un popolo albanese che proveniva dalla Dardania. E gli stessi Micenei, conquistati dai Dori, erano una popolazione albanese anch'essi discendenti della Dardania.

📜 "Gli albanesi vivono in quella che oggi è chiamata Grecia interna fino al Peloponneso fin dall'invasione dorica del XII secolo a.C. I reperti archeologici hanno stabilito affinità tra i teschi delle montagne albanesi settentrionali e quelli trovati a Creta nello stesso periodo. Il che suggerisce abbastanza che Sparta sia stata fondata dagli antenati degli albanesi. Soprattutto perché il fondatore di Sparta era Illo. Un nome che gli albanesi usano ancora oggi nella forma di Yll, che significa stella." (The Dorian Invasion reviewed in the light of some New Evidence, The Antiquaries Journal, Cambridge University Press, Pagina 220, 08 gennaio 2012)

Più recentemente il Sig. Liakopoulos, studiando i registri catastali ottomani, ha scoperto che all'inizio del loro dominio (ca. 1460-1463), il Peloponneso, che un tempo si chiamava Pelasgia dai suoi abitanti pelasgo-albanesi, pullulava di albanesi a tal punto che per lui non erano emigrati da poco ma risiedevano in quella regione dall'inizio dei tempi. Secondo il suo studio, nel Peloponneso gli albanesi avevano un rapporto di 4 a 1 rispetto ai "greci"; riferendosi a "greci" verso coloro che parlavano una lingua grecanica derivante in sé da un substrato albanese.

Inoltre 500 anni fa, a causa del dominio ottomano, nel regno di Napoli emigrarono solo Albanesi-Arbëresh provenienti da queste regioni, perché? Perché di "greci" non c'è n'erano e la Grecia come stato a quei tempi non esisteva affatto.

La maggioranza greca nel moderno stato greco e la minoranza greca in Albania meridionale è stata inventata a tavolino.

La stessa Atene non era altro che un villaggio Albanese: 

📰 Dall'Empire Newspaper (Sydney, Australia) 5 Maggio 1863 leggiamo:
"Atene era solo un villaggio albanese. Quasi tutta la popolazione dell'Attica è considerata ed è composta da albanesi. A tre leghe di distanza (14,5 Km) dalla capitale ci sono villaggi che capiscono a malapena il greco."

Quando Atene aveva una maggioranza albanese altamente visibile, com'è possibile che sulle montagne dell'Albania meridionale ci fosse una minoranza greca? Tutte stupidaggini...

Indubbiamente, la propaganda del moderno falso stato greco ellenista costruito dagli inglesi su una popolazione a maggioranza Albanese ha fatto danni incalcolabili e ora aimè ci sono dei tizi che ancora ci vogliono etichettare come "greci" o provenienti dalla "Grecia" per il solo scopo di assimilazione e falsificazione della storia per inventarsi un primato che non esiste.

Infatti c'è differenza tra etnia e nazione... Sì, molti dei nostri antenati provengono da quella regione dei Balcani che ora è falsamente chiamata Grecia da dopo il 1821, ma le nostre radici, il nostro sangue e la nostra madre lingua è Albanese-Arbëresh.

"Per dimostrare di essere greco o greco antico, devi prima dimostrare di essere un Arbanon, Arber", quindi di origini albanesi, come diceva un famoso studioso Arvanita amante delle sue radici.

Il moderno stato greco è un'invenzione europea moderna, esso fu istituto dopo la rivoluzione Arvanita del 1821 su una popolazione a stragrande maggioranza Albanese, i quali in seguito furono perseguitati e obbligati con la forza a dimenticare la loro identità, le loro radici e la loro madre lingua.

L'affermazione "controlla la lingua di un popolo e ne controllerai la mente" quì calza a pennello; è un'espressione che sottolinea l'importanza della lingua come strumento di potere e controllo culturale. Non si tratta di un controllo letterale della mente, ma di come la lingua possa influenzare il pensiero, la cultura e, di conseguenza, il comportamento di un gruppo di persone.

Ma persino se vogliamo vedere le cose a livello religioso i fatti sono ben diversi da come ce li raccontano; gli immigrati Albanesi-Arbëresh venuti nel regno di Napoli erano Cristiani Ortodossi facenti parte del Patriarcato di Costantinopoli che come insegnano gli storici:

📜 "L'impero bizantino era l'impero illirico e non quello dei greci nel Medioevo, come prevale l'opinione, perché nel Medioevo non esistevano greci ellenici." (Gustave Glotz. Storico francese)

L'Impero Romano Ortodosso d'Oriente sotto la dinastia Illiro-Macedone dell'antica dinastia Dardana Albanese conobbe una rinascita durante il regno degli imperatori Macedoni albanesi tra la fine del IX, X e l'inizio dell'XI secolo, quando ottenne il controllo del Mar Adriatico e dell'Italia meridionale. La dinastia macedone albanese fu caratterizzata da una rinascita culturale in ambiti come la filosofia e le arti, ed è stata soprannominata l'"Età dell'Oro" di Bisanzio. I primi Cristiani d'Europa furono infatti gli Albanesi convertiti dallo stesso San Paolo come egli stesso scrive negli Atti degli Apostoli, e lo stesso Imperatore Costantino il Grande fondatore di Costantinopoli era Albanese.

Ai moderni studiosi filogreci vorrei dire di guardare ai fatti e non alle seghe mentali degli uniatisti, perché lo scopo di questi è ancora volto alla distruzione e all'assimilazione dell'identità Arbëresh e alla cancellazione della loro lingua madre, proprio come ha fatto il moderno stato greco sui nostri fratelli Arvaniti.


📷 Nella foto: Splendida incisione del XIX secolo, colorata a mano, raffigurante l'acropoli di Micene nel Peloponneso; Uno studioso europeo a Micene è in compagnia dei suoi abitanti autoctoni Albanesi in abito tradizionale Albanese.

📷 Nella foto in basso: Micene, veduta della tomba di Agamennone con un Albanese in costume tradizionale Albanese, di Louis Boitte intorno al 1847.


ATTACCO TERRORISTICO AD UNA CHIESA ORTODOSSA DI DAMASCO, SIRIA.


Damasco, 22 giugno 2025

In questo giorno in cui la nostra Chiesa di Antiochia commemora tutti i Santi di Antiochia, la mano infida del male ha colpito questa sera, reclamando la nostra vita, insieme a quella dei nostri cari caduti oggi come martiri durante la Divina Liturgia serale presso la Chiesa del Profeta Elia a Dweilaa, Damasco.

Secondo le prime informazioni disponibili al momento, si è verificata un'esplosione all'ingresso della chiesa, che ha causato la morte di numerosi martiri e il ferimento di molti altri che si trovavano all'interno della chiesa o nelle sue immediate vicinanze.

Mentre stiamo attualmente contando i martiri e i feriti e raccogliendo i resti e i corpi dei nostri martiri, il cui numero esatto non siamo ancora stati in grado di determinare, il Patriarcato Ortodosso di Antiochia e di tutto l'Oriente condanna fermamente questo atto atroce e denuncia, con la massima fermezza, questo crimine orribile. Invita le autorità responsabili ad assumersi la piena responsabilità di quanto accaduto e continua ad accadere in termini di violazione della sacralità delle chiese e a garantire la protezione di tutti i cittadini.

Sua Beatitudine il Patriarca Giovanni X ha seguito personalmente gli sviluppi fin dal primo momento. Sta conducendo comunicazioni sia locali che regionali per trasmettere al mondo intero la triste realtà che si sta svolgendo a Damasco. Chiede un'azione urgente per porre fine a questi massacri.

Offriamo le nostre preghiere per il riposo delle anime dei martiri, per la guarigione dei feriti e per la consolazione dei nostri fedeli addolorati. Riaffermiamo il nostro incrollabile impegno nella fede e, attraverso questa fermezza, il nostro rifiuto di ogni paura e intimidazione. Imploriamo Cristo nostro Dio di guidare la nave della nostra salvezza attraverso le tempeste di questo mondo, Lui che è benedetto per sempre.

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mercoledì 18 giugno 2025

IL CODICE DI TAR DUSHANI TRUFFÒ GLI ALBANESI, li costrinse alla conversione e confiscò i loro beni.

 

Fonti storiche testimoniano le misure particolarmente dure che Stefan Dushan attuò a danno della popolazione albanese. "Gli Arbani sono gravemente oppressi dall'insopportabile e pesantissimo giogo degli odiati sovrani slavi... Il clero è umiliato e perseguitato, i nobili sono espropriati e imprigionati", scrive un rapporto del 1332 dell'arcivescovo francese di Tivat, Guglielmo di Ada.

A partire dal XIII secolo, i re serbi della dinastia Nemanja si adoperarono per spostare l'epicentro del loro stato da Rasha verso le ricche regioni albanesi del Kosovo e di Gand. Le città di quest'ultima, Scutari, Prizren, Pristina e Skopje, divennero in periodi diversi la sede della corte serba. Un altro importante centro del Kosovo, Peja, dalla metà del XIII secolo divenne il centro della chiesa autocefala serba. Lo spostamento dei centri di gravità dello Stato serbo verso sud fu accompagnato da altri fenomeni di natura sociale ed etnica, più visibili in Kosovo. Parte dell'aristocrazia albanese locale fu espropriata e sostituita dall'aristocrazia terriera serba, laica e soprattutto religiosa. A partire dalla seconda metà del XIII secolo, le chiese e i monasteri Ortodossi albanesi del Kosovo furono serbizzati e molti di essi furono costruiti, dotati di ingenti fondi fondiari.

Durante il regno di Stefano Dušan, intorno alla metà del XIII secolo, i monasteri Ortodossi albanesi, ora serbizzati, di Deçan, Greçanica, Banjska, Kryëngjëllit, il monastero Ortodosso di Hilandar sul Monte Athos e, accanto a essi, i vescovati di Peja, Prizren ecc., possedevano una parte considerevole dei villaggi del Kosovo e di altre regioni dell'Albania settentrionale.

Oltre alla colonizzazione, i re serbi, e in particolare lo zar Stefano Dušan, attuarono una politica volta ad assimilare le popolazioni albanesi delle regioni conquistate. Repressione e persecuzione in campo religioso furono scelte come le più efficaci a tal fine. Interi capitoli del codice di Stefano Dušan e ordini speciali dello zar serbo prevedevano misure severe, come la confisca dei beni, la marchiatura a fuoco, l'espulsione e persino la pena di morte per i cristiani cattolici e Ortodossi albanesi che si rifiutavano di convertirsi all'Ortodossia serba e non venivano ribattezzati con nomi slavi. Oltre ai documenti d'archivio, diversi testimoni dell'epoca, come il viaggiatore anonimo del 1308, l'arcivescovo francese di Tivat, Guglielmo d'Ada (1332), e il cardinale italiano Guido da Padova (1350), sottolineano con particolare enfasi questo aspetto della politica dei re serbi nei confronti delle popolazioni non slave conquistate, sancito dal diritto serbo medievale, il codice di Stefano Dušan (1349). Tali misure colpirono principalmente le popolazioni albanesi di fede cattolica e Ortodossa delle regioni settentrionali e nord-orientali, dove la pressione dello Stato serbo era più forte. Determinarono la diffusione del fenomeno della slavizzazione religioso-onomastica in alcuni strati della popolazione albanese.

Per questo motivo, tra il XIII secolo... XIII-XIV, oltre ai numerosi albanesi che portavano nomi come Gjin, Dede, Gjon, Progon, Llesh, in questi territori vi sono anche altri albanesi, descritti dalla documentazione stessa come tali, che portavano nomi slavi o che si erano adattati all'onomastica slava. Nomi come Pribislav, Radomir, Vladislav o i cognomi Vogliç, Kuqeviç, Flokovci, Gjinovci, ecc., dimostrano che in questo periodo (prima metà del XIV secolo) una parte della popolazione albanese dei territori settentrionali, sotto la violenta pressione degli invasori serbi, si trovava in una fase transitoria di assimilazione culturale e religiosa. In molti territori questo processo di assimilazione si interruppe nelle nuove condizioni che si crearono con la distruzione dello stato serbo e l'arrivo dei turchi ottomani (seconda metà del XIV secolo). Fu in questo periodo che si osservò un ritorno della popolazione alla caratteristica onomastica albanese, parallelamente al nuovo fenomeno dell'assunzione di nomi ottomani. Tuttavia, in alcuni dei territori in questione, soprattutto in specifiche aree di Gentë (Zeta), il processo di slavizzazione continuò anche dopo, portando gradualmente all'assimilazione culturale ed etnica di altre comunità albanesi.

(STORIA DEL POPOLO ALBANESE, V. 1, P. 238-242.)

domenica 15 giugno 2025

VISITA ALLA CHIESA ORTODOSSA DI SANTA SOFIA DI BERAT, ALBANIA 🇦🇱

 

🌿 Immersa nel cuore del Castello di Berat, la Chiesa di Santa Sofia è un gioiello nascosto lungo il sentiero che conduce alla Cattedrale di Santa Maria, oggi sede del Museo Onufri.

Risalente al XVII o XVIII secolo, questa chiesa Ortodossa si distingue per la sua pianta rettangolare e l'abside rivolta ad Est.

È riconosciuta come monumento culturale di I categoria, preservando un pezzo unico della storia di Berat.

Ciò che rende questa chiesa speciale è la sua dedicazione a Santa Sofia, la Sapienza di Dio, una rarità tra le chiese di tutto il mondo. 

Celebrata 25 giorni dopo la Pasqua nel calendario Ortodosso, questa dedicazione differisce da quella a Santa Sofia, la martire onorata il 17 settembre.

La chiesa ha assistito a molti capitoli di storia.

Ha subito danni durante la Seconda Guerra Mondiale a causa dei bombardamenti tedeschi ed è stata successivamente trasformata in un asilo durante il periodo comunista in Albania, quando la religione era fuorilegge. Dopo gli anni '90, è stata riaperta come luogo di culto e, nel 2021, è iniziato un importante restauro, guidato da fedeli devoti.

I visitatori noteranno una targa all'ingresso, che ricorda la ricostruzione della chiesa nel 1946 da parte di un gruppo di fedeli, a testimonianza della sua resilienza e del suo significato duraturo.

Esplorate questo santuario sereno e storico e scoprite le storie incise nelle sue mura e nella sua comunità.


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venerdì 13 giugno 2025

ALLE MURA PELASGICHE DI BERAT 🪨🇦🇱

 

🌿 Per mura Pelasgiche si intendono le antichissime mura ciclopiche costruite in pietra grezza dagli antichi Pelasgo-Albanesi, la più antica popolazione d'Europa.

Molto prima dei greci e dell'ascesa della potenza romana, i Balcani occidentali risuonavano del suono della pietra sulla pietra, con le tribù Pelasgo-Albanesi o Illiriche che costruivano imponenti fortezze sulle colline che ancora oggi sfidano il tempo.

I Pelasgo-Illiri costruirono fortezze così avanzate che persino Roma se ne accorse.

Uno degli esempi più straordinari è a Berat, in Albania, fondata dalla tribù pelasgo-albanese dei Dassareti nel VI secolo a.C. In seguito, è stata sotto il dominio di altre tribù illiriche e poi dei romani. Nel 1385 Berat venne conquistata dai turchi ottomani e nel 1396, il clan albanese Cristiano Ortodosso dei Muzaka assunse il controllo di Berat che divenne capitale di una signoria autonoma, il principato di Berat.

I Dassareti furono una tribù pelasgo-illirica dell'Epiro. Erano una sottotribù nordica dei Caoni. Il nome Dassareti deriva dalla parola albanese DASH, cioè ARIETE; l'ariete era il simbolo della loro tribù che veniva inciso anche sugli elmi dei soldati [Qui un esempio ➡️ : https://giuseppecapparelli85.blogspot.com/2024/07/elmo-illirico-decorato.html ]; come per i Caoni il simbolo era il KA o KAU, che significa TORO in albanese.

Le imponenti mura ciclopiche di Berat, di cui oggi rimangono solo pochi tratti delle loro fondamenta, furono costruite con blocchi di pietra così grandi e perfettamente incastrati che gli ingegneri moderni ne dibattono ancora oggi i metodi. Non si trattava di una rozza difesa tribale. Era un'architettura di livello statale, come quella della tribù Pelasgo-Albanese micenea e dell'antica Roma.

E non si trattava neanche di casi isolati. Da Nord a Sud dei Balcani, i forti pelasgo-illirici facevano parte di una rete di roccaforti militari che controllavano passi montani, rotte commerciali e valli fluviali. La loro posizione non era casuale: erano strategici, difendibili e imponenti.

I Pelasgo-Illiri non erano una cultura marginale. Erano ingegneri. Costruttori. Guerrieri. E la loro eredità è scolpita nella pietra lungo le colline dei Balcani.

Ne approfitto per sottolineare l'opportunità di correggere un errore millenario, in particolare quello che traduce costantemente la parola διοι, che qualifica i Pelasgi come "divini", come se questo διοι avesse alcun legame con l'aggettivo Θειος, che a sua volta deriva dal sostantivo Θεος, che significa "Dio" e da cui deriva l'aggettivo Θειος, che corrisponde a: "divino".

In effetti, la parola διοι, che è stata confusa in questo modo dall'ignoranza, non è altro che l'aggettivo preverbale dell'albanese o pelasgico: di-ës, che deriva dal verbo di, con il significato di "ho conoscenza". Διος: quindi è la stessa parola del pelasgico: di-ës, che significa saggio, colui che conosce; e la traduzione corretta di διοι Πελασγοι sarebbe quindi: "I Sapienti Pelasgi" o "I Saggi Pelasgi", e non "I divini Pelasgi", come è sempre stato tradotto in modo errato o per ignoranza.

Un'ignoranza dovuta ad una scarsa presa di coscienza del fatto che il patrimonio linguistico degli antichi popoli dei Balcani, sia degli Illiri che dei Traci e dei greci, è strettamente legato alla lingua albanese, la lingua più antica d'Europa.

mercoledì 28 maggio 2025

SAN DEMETRIO NEOMARTIRE ARVANITA-ARBËRESH 👑🌿

 

Martirizzato a Tripoli il 28 maggio 1794

Demetrio era un Arvanita-Arbëresh originario del villaggio Arvanita-Arbëresh di Theisoa in Ilia, nella Morea, Peloponneso, e veniva chiamato con il diminutivo popolare del suo nome Dimitri, Mitri.

Quando era un bambino di undici anni, fu ingannato da alcuni turchi e si convertì all'Islam. Durante la sua crescita, ricoprì varie posizioni nella gerarchia dell'Impero Ottomano e arrivò a ricoprire la carica di Ipparco, con molti subordinati, schiavi e molta ricchezza.

A un certo punto, tuttavia, tornò in sé e cominciò a ricordare la Fede dei suoi antenati. Si pentì, andò a Tripoli e, dopo aver venduto tutti i suoi beni e confessato, si unì nuovamente alla Chiesa Ortodossa e visse per dieci anni come un devoto Cristiano Ortodosso.

Tuttavia, una volta, mentre si trovava a Mistra per affari, fu riconosciuto da alcuni turchi, suoi vecchi conoscenti. Lo rapirono, lo portarono a Tripoli e lo denunciarono al giudice turco per apostasia. Il giudice gli chiese poi perché avesse rinunciato all'Islam e fosse tornato al Cristianesimo. Il Santo rispose con coraggio e a voce alta: «Sono stato cristiano fin da piccolo, ma a causa della mia ingenuità infantile sono stato ingannato, ho rinnegato la Fede e sono diventato turco». Poi ho capito che la mia Fede era Luce e l'ho persa, mentre la tua era oscurità, come ho imparato a conoscere. Pertanto, confesso ora davanti a voi che ho commesso un errore abbandonando la Luce e accettando l'oscurità. Sono nato cristiano e voglio morire cristiano. Credo nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, una Trinità consustanziale e inseparabile. Per la mia fede sono pronto a sopportare qualsiasi tortura e persino a versare il mio sangue per amore del mio Salvatore Gesù Cristo».

Allora uno degli agha presenti gli chiese: Dov'è la tua barba, Mustafa agha? Il Santo rispose: Il mio nome non è Mustafa, ma Demetrio, e così sono stato battezzato, nel nome della Santissima Trinità. Per quanto riguarda la mia barba, la porto avanti da tanti anni e non solo non ho visto alcun progresso, ma non ho visto nemmeno il minimo beneficio. Per questo li tagliai e li restituii al padrone che avevo adulato invano per tanti anni. Il giudice che lo ascoltava cominciò subito a lusingarlo: "Se ritorni alla nostra religione, ti daremo onori, posizioni e donazioni". Il coraggioso martire di Cristo, applicando il detto apostolico: «Considero tutto come spazzatura, per guadagnare Cristo», rispose loro: «Io sono cristiano e credo in Gesù Cristo come Vero Dio, e tutto ciò che mi comandate, lo osservo per voi stessi, non ne ho bisogno».

Quindi lo rinchiusero in prigione e tutti gli imam e gli hodja si radunarono e cercarono di farlo ritornare alla loro fede. Il Santo non solo non prestò attenzione alle loro parole, ma parlò anche in modo dispregiativo della loro religione e del profeta. Così, vedendo la sua fermezza, il comandante turco ordinò la sua decapitazione. Lo portarono con le mani legate al luogo dell'esecuzione. Il boia cercò perfino all'ultimo momento di convincerlo a ritornare all'Islam, dicendogli: pover'uomo, fai la tua preghiera (confessione di fede nell'Islam) almeno adesso, all'ultimo momento, e Dio è misericordioso e avrà pietà di te. Il Santo, quando l'udì, rise, sputò e maledisse la preghiera e coloro che credevano in essa. Confessò di nuovo il Dio Uno e Trino. Chiese ai cristiani presenti di pregare per lui. Con una preghiera sulle labbra, fu decapitato il 28 maggio 1794, domenica di Pentecoste.

Al calare della notte, i cristiani, con il permesso del pascià, presero le sue spoglie e le seppellirono nella chiesa di San Demetrio Mirroportatore. Il seguente miracolo avvenne con le reliquie del Santo Martire. La sua mano destra rimase dritta e ferma, con tre dita unite, mentre faceva il segno della croce. Quando lo misero nella tomba, cercarono di piegargli il braccio, ma invano. Alla fine decisero di romperlo con un piccone. Immediatamente la mano, inflessibile e immobile, si piegò da sola e si posò sul corpo del martire Kallinikos.

Per intercessione del Santo Nuovo Martire Arvanita-Arbëresh, rendici degni, o Signore, del tuo Regno.

sabato 24 maggio 2025

DRUIDI 🌳🪵🇦🇱

 

🌿 Nella "Cronaca di Argirokastro", un antico manoscritto donato dall'arcivescovo di DRUInopolis nel 1806 al console francese di Ali Pasha a Giannina (Janina), la storia è raccontata fin dall'antichità, con la terza migrazione Pelasgica della tribù Arbore-Dardana Atlantidea dopo il diluvio di Atlantide, che arrivò e si stabilì in Epiro e Kaonia. 

Il fiume, chiamato Dar'a, Daradus, Daras o Dart, nasce sulle pendici dell'Alto Atlante. Sarebbe più corretto sottolineare che in realtà i fiumi sono due: uno, che scorre verso sud-ovest dai monti Atlante, oggi chiamato Draa, ma che in passato era chiamato Darda; il secondo, che scorre verso nord dai monti Atlante fino allo Stretto di Gibilterra, è ancora oggi chiamato Darda.

Il nome di ATLANTE, o meglio ATLAS, è sempre stato un mistero. 

Questo mistero viene svelato dalla lingua più antica d'Europa parlata ancora oggi dai diretti discendenti dalle tribù Arbore-Dardane Atlantidee, ovvero gli Albanesi e gli Arbëresh, la popolazione più antica d'Europa. Quindi il suo significato va trovato nella lingua Arbëresh come insegnava il sommo Vate Arbëresh di Macchia Albanese in KalArberia, Girolamo De Rada:

📜 "Gli dei del paganesimo hanno tutti nomi derivati ​​​​da radici albanesi. È chiaro quindi che per il culto di Dio e della natura dobbiamo fare riferimento ai Pelasgi. Dopo la trasformazione del Dio Unico in un dio multiforme e antropomorfo seguirono gli idoli, che avevano nomi perfettamente albanesi che ne esprimevano i simboli."
(Girolamo De Rada)

ATLAS non è altro che AT LASHTI che in Albanese-Arbëresh significa ANTICO PADRE riferendosi all'Antico Padre della stirpe Arborea-Dardana Atlantidea d'Etiopia e all'Antico dei giorni, il DIO PADRE Creatore.

Sappiamo anche che Atlante era il nonno materno di Dardano, figlio di Zeus (Zoti). Dardano fundò dapprima l'antico regno di Dardania nell'Albania del nord, e in seguito fu il fondatore della città di Troia e della dinastia troiana.

Secondo il manoscritto, queste tribù pelasgiche, dall'Atlante giunsero a Kythnos e da qui a Trikalla presso Giannina (Janina) in Epiro e, poiché erano numerosi, il re dell'Epiro Demetrio, nome maschile di DHE METRA che in albanese significa MADRE DELLA TERRA, della loro stessa stirpe e discendente della prima emigrazione Arberora Atlantidea, li accolse e li stabilì in zone disabitate. Questi nuovi arrivati ​​nutrivano credenze pagane legate al SOLE e alla QUERCIA, e venivano chiamati "DRUIDI". Si nutrivano del miele delle api che vivevano nella quercia.

Tra le tribù albanesi, la quercia, con le sue folte fronde che filtrano i potenti raggi del sole e trasformano il vento in brezza, con il suo tronco secolare, nei millenni è stata sempre considerata un albero sacro.

Essi venivano chiamati DRUI-DI perché vivevano nei boschi sacri di quercia. Nella lingua pelasga-albanese DRU ha il significato di LEGNO, BOSCO, ALBERO, mentre DI significa CONOSCENZA; i DRUIDI quindi erano i SAPIENTI DEL BOSCO SACRO.

I DRUI-DI possedevano una vasta conoscenza di astronomia e furono i costruttori dei più antichi calendari in pietra presenti in tutta Europa che gli permettevano di tracciare i cambiamenti stagionali e i cicli del tempo. 

Adoravano il Sole e lo utilizzavano per il funzionamento dei calendari. Il sole era chiamato DILLI, parola pelasgo-albanese formata dalla parola DI che oltre al significato di CONOSCENZA significa anche LUCE o GIORNO, e dalla parola YLLI che significa STELLA. Il Sole era considerata la STELLA DEL GIORNO e LA STELLA DELLA CONOSCENZA. Tramite il sole potevano conoscere i cambiamenti del tempo. Famosa era l'Isola di DELOS o l'Isola del Sole, colonizzata dalle prime tribu pelasgo-albanesi. Questi popoli venivano chiamati anche ILLIRI cioè "Popolo delle stelle" e "Popolo dei liberi".

Dall'Epiro, anticamente detta IPARIA che in pelasgo-albanese significa LA PRIMA, cioè la prima regione dominata dalle tribù Arbore-Dardane Atlantidee della prima emigrazione, da qui queste tribù dei DRUIDI si diffusero in tutta Europa.

Secondo il testo, l'area di insediamento in Epiro della terza emigrazione delle tribù Arbore-Dardane Atlantidee comprendeva la zona di Delvinë fino ai confini di Zoile (Zhulat) e la valle del fiume Drino da Libohova fino al confine di Titopolis (Tepelena). Costruirono città antiche come Dryopena o Druopena, Kanopolis o Kauonopolis, ecc. e in seguito, su questi loro insediamenti, i Romani costruirono città antiche nella valle del Drino come Hadrianopolis, Justinianopolis, Libatonopolis, Antigona, Argiro-kastra, Colore (Kordhoca), Goragon (Goranxia) e molte fortezze e chiese cristiane con nomi come quello di Pandokonis, di Santa Maria Dormiente, degli Apostoli, ecc.

Si pensa che nei pressi della moschea di Melan si trovi Dryope, poiché in alcuni punti emergono dal terreno colonne di marmo.

Kanopolis o Kaunopolis è correlato al luogo in cui, a Zhulat, si trova un insediamento che gli archeologi ritengono risalente a oltre 4.000 anni fa.

Qui vi sono delle grandi pietre che sono chiamate "gurët e Kanës" cioè "pietre di Kanë", probabilmente rotolate dalla collina dove si trovano, vicino alle mura ciclopiche di Piriu. 

Kanopoli e questa zona dell'Epiro chiamta Kaonia, era abitata dalla tribù pelasgo-albanese dei Kaoni; il totem di questa tribù era il Bue o Toro.

Ora il Bue o Toro, nell'antica lingua pelasgo-albanese è chiamato KA o KAU, e questo totem fu lo stemma proprio di questa tribù Pelasgo-Illira Dardana e di tutte le nazioni da esse civilizzate; che anzi dal KAU (Toro) portarono nome i Caucasi, i Caoni, i Cauloni, Caspi, i Tauridi ecc.

Non dimentichiamo che in quelle regioni a quell'epoca, secondo la cronaca, vivevano anche dei giganti o Ciclopi dotati di grande forza e corporatura.

📜 "Nell'Epiro superiore e medio, dai monti Grammonas e Acrokeravnia alla catena del Pindo e lungo il Drimino, dall'Adriatico e dallo Ionio all'Egeo, ma anche su alcune isole e attorno all'Attica, in gruppi e sporadicamente, vivono gli Albanesi, QUESTA ANTICA TRIBÙ PELASGICA ED ERACLEA, questi coraggiosi e valorosi difensori della fede della patria e fedeli osservatori e custodi degli antichi costumi e tradizioni. GLI ALBANESI SONO CONSIDERATI I PADRI DELLA RAZZA GRECA [...]
[...] Questi [Albanesi], come la maggior parte dei popoli antichi dalle rive dell'Eufrate e del Gange fino al Caspio e al Caucaso, accampandosi tra l'Iberia e il Caspio e il Perigeo dell'Ocumene dionisiaco, erano inizialmente CICLOPICI, nomadi e pastori."
(Estratto da "Gli albanesi e il loro futuro nell'ellenismo, con un'appendice sui greco-valacchi e bulgari" Anno: 1879)

La tribù Druide di costoro, dopo aver ricevuto istruzioni dall'oracolo presso cui risiedevano le sacerdotesse di Dodona in Epiro, che ricevevano istruzioni dal fruscio delle foglie di quercia nel vento caldo, venne informata nella profezia che avrebbero dovuto partire per la terra di Saturnia, sulle rive di un lago, e lì stabilirsi. E si trasferirono a Spoleto, in Italia, dove oggi si trova il Monteluco, il Bosco sacro, ricco di querce secolari.

Qui si trovano anche antichi scritti su pietre che rappresentano le leggi incise a protezione della foresta sacra. La stessa cosa accade anche nell'Albania Epiri al confine Fushbardhë-Zhulat, dove ci sono due località, una chiamata "Gramat-i" e l'altra "Shkronja-t" che in albanese significano "Gli Scritti". Sopra il luogo chiamato "Përroi i shkronjës" cioè "Burrone della Scritta" si trova la foresta di querce e il luogo chiamato "Shpëri", un tipo di quercia latifoglia che mantiene le foglie sui rami anche in inverno; in altre parti dell'Albania la chiamano "Sparth". La stessa cosa accade a Spoleto, in Italia, dove abbiamo due centri residenziali chiamati "Spiri" accanto al Bosco sacro.

Dall'Albania Epiri, le tribù Druide Arberore della Kaonia si diffusero in tutta Europa. 

In KalArberia cioè in Calabria i Caoni o Cauloni o Auloni o Aoni fondarono l'antica Caulonia, arrivando fino alla Britannia e ancora più a nord. 

L'antico nome della Scozia era Albania fondata da Bruto di Albania Epiri fuggito dopo che Troia fu distrutta. Ecco perché in Gran Bretagna ci sono zone con nomi come Alba, Arbanon o Radati. Sono i nomi delle zone in cui vissero i primi Pelasgi.

I DRUIDI presenti in Gallia, Britannia e Irlanda, con la loro influenza estesa anche nelle aree celtiche dell'Italia settentrionale e delle Alpi, erano sacerdoti, divinatori, bardi (poeti e musicisti), giudici e consiglieri politici. Possedevano una vasta conoscenza di astronomia (Disco di Nebra), botanica, medicina e storia, tramandata oralmente. Celebratori di riti legati alla natura, con particolare attenzione ai boschi e agli alberi (Drut), considerati sacri. 

Allo stesso modo, nella PENISOLA IBERICA, anch'essa anticamente chiamata IPARIA da cui IBERIA, perché come l'EPIRO fu una delle prime regioni dominate dalle tribù Arbore-Dardane Atlantidee della prima emigrazione, qui i nomi di molte città hanno senso solo nella nostra lingua pelasgico-albanese.

Nelle vecchie mappe dell'Albania la zona di Qeparo è chiamata "porto pelasgio". Allo stesso modo, il monte Burreto in precedenza si chiamava monte Pelagus.

"Mali i Lucës" cioè il "Monte Luca" nell'Albania Epiri, in latino significa "Montagna Sacra", proprio come il Monteluco il Italia.

Allo stesso modo, sul "Monte Luca" in Albania si trovano ancora nomi come: "Kroi i Dropullit" "Fontana di Dropuli" e "Përroi i Dropolit" "Burrone di Dropuli", che potrebbero essere rimasti dall'epoca dei Druidi. Per uno scambio fonetico da questo nome deriva anche "Truidë", dall'albanese "Tru" o "me tru" cioè "sapiente", da cui deriva anche il nome di Etruria e degli Etruschi, "popolo sapiente", nell'Italia antica. Molti degli scritti presenti nei loro cimiteri sono stati decifrati tramite la lingua albanese.7

Non invano gli albanologi e gli storici stranieri hanno affermato che:
--"se la storia degli albanesi viene portata alla luce, allora i vicini e l'Europa restano senza storia"!,... e "il 90 percento dell'archeologia sotterranea in Albania è sotto terra e inesplorata".

venerdì 16 maggio 2025

LE CINQUE PORTE DI ATENE 🏛

 

"...si decise di costruire un muro intorno alla città e questo fu realizzato in tre mesi, con l'aiuto dell'intera città e dei villaggi, nonché dei musulmani. L'intera opera fu completata e la città fu protetta da cinque porte: la "Porta Albanese" o "Porta Plaka" a sud, la "Porta Mesogeia" a est, la "Porta dei Santi Apostoli" a nord, la "Porta degli Zingari" a nord-ovest e la quinta, la "Porta Mandravilis", a sud-ovest. C'era anche un'altra porta sull'Acropoli" 
(Dalle memorie di P. Skouzes). 

- La "Porta Albanese" o "Porta Plaka" fu costruita adiacente al quartiere Plaka di Atene che in albanese significa Veccia o Antica, ed è la parte più antica della città che fin dall'antichità era abitata interamente da Albanesi, da cui la porta prende il nome.

- La "Porta Mandravilis" prende il nome da una donna, medico e membro della famiglia albanese dei Mandravili, che viveva nelle vicinanze.

Dall'Empire Newspaper (Sydney, Australia) 5 Maggio 1863 leggiamo:
"Atene era solo un villaggio albanese. Quasi tutta la popolazione dell'Attica è considerata ed è composta da albanesi. A tre leghe di distanza (14,5 Km) dalla capitale ci sono villaggi che capiscono a malapena il greco."

A queste porte dobbiamo aggiungerne un'altra, l'Arco di Adriano, oggi chiamato "Arco della Principessa". In realtà, il muro non fu costruito per scopi difensivi, ma per consentire ad Hadji Ali Haseki, governatore Ottomano, di avere il controllo completo sugli Ateniesi, ai quali impose pesanti tasse accompagnate da punizioni pubbliche con frustate e altre umiliazioni. Nel 1795, questo governatore brutale, sotto il quale gli Ateniesi avevano sofferto più che mai, fu giustiziato tramite decapitazione per ordine del sultano.

📷 Nella foto in alto: dipinto della "Porta Mesogeia" con l'omonima fontana sullo sfondo, dove pastori Albanesi portano le loro capre ad abbeverarsi, uno di loro vestito in fustanella, l'abito tradizionale albanese. Davanti la Porta vi è una guardia turca mentre fuma la pipa. Sulla porta sono evidenti gli spoli dell'acquedotto di Adriano. Dipinto di Edward Dodwell.

📷 Nella foto in basso: Un Albanese-Arvanita in abito tradizionale Albanese di fronte la "Porta Albanese" o "Porta Plaka" nel 1920.


DEREK🔯🔥

venerdì 9 maggio 2025

IL NUOVO PAPOCCHIO PERACCINATORE 📺🐑💉

 


La chiesa cattolica romana ha eletto il suo nuovo papocchio marionetta delle banche che ha preso il nome di Leone XIV. 

Il suo predecessore, papa Leone XIII fu il papa in carica al tempo del primo tentativo di invasione coloniale italiana in Etiopia e della sconfitta ad Adua nel 1896.

Durante l'invasione dell'Italia allo stato sovrano d'Etiopia, il papa Leone XIII, se ne lavò le mani e non si espresse né a favore né contro l'occupazione italiana, adottando uno spettrale atteggiamento neutrale attraverso il silenzio.

Per la chiesa cattolica lo sterminio degli africani non ha mai significato nulla sopratutto se Ortodossi.

Ma l'Etiopia tende le mani a Dio, e in seguito alla sconfitta epica dell'Italia ad Adua da parte dell'Etiopia, papa Leone XIII inviò una lettera all'imperatore Menelik II, Leone di Giuda, chiedendo il rilascio dei prigionieri italiani catturati durante il conflitto.

Il Leone di Giuda Menelik II, a sua volta, noto per le sue capacità diplomatiche, rispose con vera Cristianità, generosità e strategia liberando centinaia di prigionieri, iniziando con 200 di loro il 20 novembre 1896, in occasione del compleanno della Regina d'Italia. Altri gruppi vennero rilasciati nei mesi successivi. Il gesto rafforzò l'immagine di Menelik come leader magnanimo e civile, sfidando gli stereotipi razzisti dell'epoca e consolidando la sua autorità morale e veramente Cristiana.

La chiesa cattolica di Leone XIII, vedeva l'Etiopia come una potenza cristiana troppo indipendente nel mezzo di un continente dominato dalle forze coloniali e voleva rafforzare i legami con Menelik, sia spiritualmente che politicamente, per aumentare l'opera dei missionari cattolici in Etiopia così da destabilizzare la Cristianità Ortodossa millenaria d'Etiopia.

Menelik II, il Leone di Giuda, tuttavia, fu fermo nel proteggere l'autonomia della Chiesa Ortodossa Tewahedo d'Etiopia, profondamente radicata nella cultura e nell'identità etiope. Così nel trattato di amicizia e commercio firmato ad Ancober, tra il rappresentante del Re d'Italia e Menelik II, il 21 maggio 1983, alla chiesa cattolica fu vietato di predicate il cattolicesimo romano in Etiopia durante il regno di Menelik II.

“Non ho intenzione alcuna di comportarmi da spettatore indifferente qualora potenze provenienti da territori lontani facciano il loro ingresso sulla scena di penetrare l’Africa…
Come l'Onnipotente ha protetto l'Etiopia sino ad oggi, sono confidente che Egli la rafforzerà e proteggerà in futuro...
...L'Etiopia non necessita della protezione di nessuno; l'Etiopia protende le proprie mani a Dio.”
~ MENELIK II, Leone di Giuda~

E siamo arrivati ai nostri giorni con questo nuovo papocchio Leone XIV, eletto da pochi giorni, che come il suo predecessore non glie ne frega niente delle vite umane. Egli è reduce di essere accusato diverse volte di coprire i preti pedofili e di essere un servo delle banche e promotore dello sterminio di massa del falso peraccino 📺🐑💉, che ha condotto al macello migliaia di pecore che hanno seguito la sua falsa bocca ruggente ingannatrice, e di cui non dimentichiamo ... quindi per il futuro aspettiamoci di tutto e di quante altre pecore saranno condotte nuovamente al macello.

Nelle Sacre Scritture il termine "leone" può avere due significati: il primo riferito al Regno di Gesù Cristo che, mediante la Potenza dello Spirito Santo, opera prodigi come suo Padre, opera per la salvezza del mondo; e l'altro riferito al regno del falso messia che opera prodigi mediante la potenza di suo padre, Satana, per sedurre il mondo.

In riferimento al Regno di Gesù Cristo, Giovanni dell'Apocalisse dice: "Un angelo mi disse: Non piangere; ecco, ha vinto il Leone della Tribù di Giuda, della radice di Davide"; e, in riferimento al falso messia, Pietro dice: "Siate dunque saggi e rendete saggio il vostro cuore; perché anche il vostro avversario, il diavolo, ruggisce come un leone cercando di divorare".

Come questo nuovo eletto papocchio ha ruggito cercando di divorare più persone possibili seducendo la gente con il peracciono diabolico, Dio solo sa quali altre bestemmie andranno incontro coloro che da ora in avanti lo seguiranno.

Questo è solo un avvertimento sperando che qualcuno apra gli occhi e veda la realtà così com'è...

Noi invece continuiamo per la strada mostrataci dal Re Messia nel suo Carattere Regale, Leone Conquistatore della Tribù di Giuda, Qadamawi Haile Selassie, la Via la Verità e la Vita, seduto sul suo Trono Davidico d'Etiopia, con i titoli di Re dei Re, Luce del mondo, Difensore della Fede Ortodossa e Re di Israele.

Il Leone Conquistatore della Tribù di Giuda ha prevalso! 
La radice di Davide ha prevalso!
Il Leone di Giuda indossa la sua Corona d'onore e di Gloria Eterna.

Benedetto sia il Re dei Re Haile Selassie e fuoco sugli usurpatori del suo Regno.

DEREK🔯🔥
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