Sono andato a visitare uno dei luoghi più suggestivi della zona del Pollino, esempio della vita religiosa eremitica e contemplativa di questo territorio. I ruderi del Santuario della Madonna degli Aramei o delle Armi, meglio conosciuto come Eremo della Madonna di Lassù o “Shën Mëria Këtje Lartë”, dall’idioma albanese ancora in uso tra la minoranza etnica locale, si trova incastonato tra le rocce del Timpone del Corvo a nord del borgo Arbëresh di Frascineto, ad un’altezza di circa 850 metri s.l.m.. Questo affascinante luogo di culto, risalente a prima del X secolo, veniva utilizzato come asceterio dai monaci Cristiani Ortodossi provenienti dall'Oriente, dediti all'ascetismo e ad una vita mistica, prima dell'invasione cattolico-normanna, quando il sud Italia era interamente Cristiano Ortodossa.
Il titolo “Madonna delle Armi” deriva dal Koinè ecclesiastico Των αρμων (Tōn armōn) ossia "delle grotte, degli anfratti", con riferimento alle cavità presenti sulle pendici franose delle Piccole Dolomiti di Frascineto. Invece per quanto riguarda il termine “Aramei” potrebbe riferirsi a quell'antica popolazione, nominata più volte nell’Antico Testamento, che abitava nella Mesopotamia e nelle zone dell’attuale Turchia e Siria. Dapprima adoravano diverse divinità Babilonesi, successivamente furono uno dei primi popoli ad abbracciare il Cristianesimo Ortodosso.
Negli anni dell’Iconoclastia e poi ai tempi della minaccia turca, la Calabria e la Puglia divennero le principali terre d’asilo dei monaci Ortodossi che, per sfuggire alle persecuzioni, furono costretti ad abbandonare le loro terre, attraversare il mare, e nascondersi in luoghi solitari e facilmente difendibili. In cinque secoli la Calabria si popolò di anacoreti in ogni angolo sperduto del suo territorio e uno dei luoghi scelti da questi mistici fu proprio il territorio di Frascineto, inserendosi nel vasto panorama degli insediamenti rupestri dell'antica Calabria Ortodossa.
Le celle interne presenti inizialmente, sono da ricollegare ai diversi tipi di vita religiosa, che vanno dal completo isolamento della vita eremitica, ad un’esistenza quasi cenobitica che riuniva più monaci in una comunità monastica organizzata. Per l’adattamento da antico asceterio a luogo di culto, fu chiusa l’apertura della spelonca naturale sulla pietra calcarea, dove erano scavate le celle, con un muro prospettico perfettamente mimetizzato nella roccia. L’ampia caverna è divisa in due piani, ora poco evidenti, con la parte inferiore adibita a chiesa e con il piano superiore in cui si aprivano le celle. Questo si deduce dai buchi presenti nel muro in cui erano infilate le travi che reggevano il pavimento del secondo piano. All’interno della struttura si possono notare ancora i muri divisori con coperture a spiovente. Due arcate centrali e un altare sono ormai quasi irriconoscibili.
Di fronte a questa bellissima struttura è inevitabile il richiamo alla mente delle cappelle rupestri Armene, più precisamente al monastero di Gheghrd, la cui unica differenza è semplicemente il sistema di pietre a croci (Khatchar) che chiude le entrate.
Un incavo serviva per raccogliere l’acqua che sgocciolava dalla volta: una singolare acquasantiera che si riempiva tramite l’acqua che scivolava su una costola naturale presente nella parete rocciosa.
Gli anziani del luogo affermano che in passato si poteva ammirare nella grotta un affresco raffigurante una bellissima Icona Ortodossa della Madre di Dio oggi del tutto scomparsa.
Accanto al santuario rupestre è presente una grotta dove per tradizione nella seconda domenica dopo Pasqua, i fedeli di Ejanina, frazione di Frascineto, sono soliti celebrare un rito religioso risalente al loro passato Ortodosso; dopo aver pranzato ai piedi del santuario, riscendono in paese intonando antiche rapsodi e canti popolari Albanesi dedicati alla Madre di Dio, ma anche alle possenti querce che offrono ombra e ristoro, mentre si svolge la danza tipica popolare Arbëresh, conosciuta come Vallja, una ridda colorata che rievoca una grande vittoria riportata da Giorgio Castriota Skanderberg contro gli invasori Turchi il 27 aprile 1467.
Durante il tragitto, grazie alle suggestioni che il paesaggio offre, ci si immerge come per incanto in un’atmosfera d’altri tempi e si pensa alle difficoltà che dovettero affrontare quei monaci relativamente alla viabilità, ma anche allo svolgimento delle semplici mansioni quotidiane in un luogo così estremamente impervio. Gli asceti, però, qui trovarono un’oasi di pace facendo crescere sempre di più l’abbazia in onore dell’Apostolo Pietro, oggi situata vicino al cimitero comunale e dichiarata Monumento Nazionale, che, anche se rimaneggiata nei secoli, ci offre ancora peculiari testimonianze Ortodosse, come la particolare cupola con calotta a gradoni concentrici, rastremati e coperti di tegole.
Dopo l'invasione Cattolico-normanna, cacciando i monaci Ortodossi, la chiesa di San Pietro fu presa dai cattolici. Furono proprio i preti cattolici dell’abbazia di San Pietro ad accogliere e assegnare le terre ai profughi Albanesi Ortodossi che giunsero alle pendici del Pollino nel XV secolo, creando il primo nucleo da cui nascerà l’attuale Frascineto. Col tempo anche gli Arbëresh furono assorbiti dal cattolicesimo mantenendo qualche antica tradizione a ricordo del loro glorioso passato Ortodosso.
Purtroppo questo sito è in completo stato di abbandono e la sua non facile accessibilità lo rende ancor di più incline ad essere dimenticato. Solo gli avventurosi che tenacemente si spingono fin “lassù” (Këtje Lartë), tra monumenti e balze rocciose dalle forme maestose e bizzarre che danno l'impressione di trovarsi realmente sulle Dolomiti, riescono a godere della santa atmosfera del luogo, pregna di un palpabile e avvincente misticismo.
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