sabato 30 agosto 2025

HISTORIA BYZANTINA DUPLICI COMMENTARIO ILLUSTRATA

 

Autore: Charles du Fresne, Sieur du Cange
Pubblicazione: Parigi, 1680 📖

Nella sua monumentale opera Historia Byzantina duplici commentario illustrata (1680), l'eminente storico francese Charles du Fresne, Sieur du Cange – ampiamente acclamato come il "padre degli studi bizantini" – illumina le genealogie e l'impatto duraturo delle dinastie illiriche, dardane, macedoni, epirote e cioè albanesi. Du Cange evidenzia come queste dinastie non solo difesero le loro terre d'origine, ma raggiunsero anche un ruolo di primo piano nel cuore degli imperi romano e bizantino cioè l'Impero Romano Cristiano Ortodosso d'Oriente.

Dagli imperatori dardani della tarda Roma ai principi epiroti albanesi e ai despoti albanesi di Bisanzio, la loro eredità è inscritta nel contesto stesso della civiltà europea. Questi leader incarnarono coraggio, resilienza e brillantezza strategica, plasmando il corso degli imperi dall'Adriatico a Costantinopoli.

Il commento storico di Du Cange rafforza una verità spesso trascurata: gli albanesi sono gli eredi diretti dell'Impero Romano Cristiano Ortodosso d'Oriente di Costantinopoli, gli eredi diretti degli antichi popoli illirici, epiroti e macedoni il cui valore e il cui governo influenzarono il destino di tutta l'Europa. Questa eredità non è confinata a cronache polverose, ma vive nella nazione albanese, un popolo la cui resistenza, identità culturale e spirito di indipendenza rimangono intatti attraverso i millenni【Du Cange, Historia Byzantina, Parigi 1680】.

L'eredità albanese nella storia bizantina ed europea 🇦🇱

• Radici imperiali: numerosi imperatori e generali bizantini fecero risalire le loro origini all'Illiria, all'Epiro, alla Dardania e alla Macedonia, aree abitate dagli antenati degli odierni albanesi (vedi: J.B. Bury, History of the Later Roman Empire, 1923).

 • Continuità dell'Epiro: il Despotato dell'Epiro, regione albanese, portò avanti le tradizioni ellenistiche e illiriche fino al Medioevo inoltrato (N.G.L. Hammond, Epirus, 1967).

Identità duratura: Du Cange e gli storici successivi riconobbero che gli albanesi preservarono la loro antica eredità nonostante ondate di imperi, conquiste e migrazioni.

Pertanto, la Historia Byzantina è una cronaca bizantina cioè dell'Impero Cristiano Ortodosso d'Oriente Arbër e una testimonianza dell'eterna impronta delle stirpi albanesi sul destino dell'Europa, una stirpe di guerrieri e sovrani la cui eredità ispira ancora orgoglio e unità.

venerdì 29 agosto 2025

GLI ALBANI E LA FONDAZIONE DI ROMA

Presento qui alcuni estratti selezionati dal libro di Dionigi di Alicarnasso "Le Antichità Romane" (The Loeb Classical Library). Dionigi ci informa sulle varie ascendenze Arber romane, tra cui quella degli Albani (Αλβανοί).

Quando gli elleni o greci ancora non esistevano, il Mediterraneo era abitato da popolazioni pelasgiche delle quali gli odierni Albanesi-Arbëresh sono i discendenti.

Tra i primi che si insediarono vicino e nella regione del Lazio vi erano gli Etruschi, gente saggia (Me tru), provenienti dall'Epiro. Molti degli scritti presenti nei loro cimiteri sono stati decifrati grazie alla lingua Albanese.

Gli Enotri, una tribù Arbër arcadica e popolo Italico di origine Pelasgo-illirica cugini dei Dardani Achei e Troiani. Sugli Enotri il glottologo e linguista italiano Giacomo Devoto ne ipotizzò un'origine balcanica proto-Illirica per le somiglianze linguistiche e culturali con quelle degli Albanesi.

Gli Enotri avevano abbandonato spontaneamente il paese allora chiamato Licaonia e ora Arcadia, in cerca di una terra migliore, sotto la guida di Enotro, figlio di Licaone figlio di Pelasgo, da cui la nazione prese il nome. 

Mentre gli Aborigeni occupavano questa regione del Lazio, i primi ad unirsi a loro nel loro insediamento furono i Pelasgi-Albanesi della Emonia ora Tessaglia, dove avevano vissuto per qualche tempo. Dopo i Pelasgi Emoni giunsero i Pelasgi Arcadi dalla città di Pallanzio, che avevano scelto come capo della loro colonia Evandro, figlio di Ermes (Mercurio) e della ninfa Temi (o Carmenta, una donna mortale divenuta dea), insegnando agli abitanti la scrittura e la musica, e fu un alleato di Enea nella guerra contro i Rutuli. Questi costruirono una città accanto a uno dei sette colli che si trovano vicino al centro di Roma, chiamando il luogo Pallanzio, dalla loro città madre in Arcadia. Non molto tempo dopo, quando Eracle giunse in Italia di ritorno a casa con il suo esercito da Eritea, una certa parte del suo esercito, rimase indietro e si stabilì vicino a Pallanzio, accanto a un altro dei colli che ora racchiudono la città. Questo era allora chiamato dagli abitanti colle Saturnio, ma ora è chiamato Campidoglio dai Romani. La maggior parte di questi uomini erano Dori Epei che avevano abbandonato la loro città in Elide dopo che il loro paese era stato devastato da Ercole.

Durante la guerra di Troia, poco prima del duello finale tra Enea e Turno, c'è una conversazione tra gli dei pelasgi dove la dea Era (parola che dall'albanese signfica Vento) "regina del cielo" dice come i nomi Lazio e Albano debbano essere preservati mentre il nome di Troia dovrebbe scomparire.

Accadde che Enea fondò Alba Longa alle pendici del Monte Albano nel Lazio, a capo della confederazione dei popoli latini (populi albenses), da dove venne fondata Roma.

Nella sedicesima generazione dopo la guerra di Troia, gli Albani unirono entrambi questi luoghi in un unico insediamento, circondandoli con un muro e un fossato. Fino ad allora, infatti, c'erano solo ovili per bovini e ovini e alloggi per gli altri pastori, poiché il territorio circostante forniva erba in abbondanza, non solo per l'inverno ma anche per i pascoli estivi, grazie ai fiumi che lo rinfrescavano e lo irrigavano.

Gli Albani erano una nazione composta da Pelasgi-Albanesi: Arcadi, Epei provenienti dall'Elide e, infine, dai Troiani che giunsero in Italia con Enea, figlio di Anchise e Afrodite, dopo la presa di Troia. Ma tutto questo popolo, avendo perso le loro designazioni tribali, finirono per essere chiamati con un nome comune, Latini, da Latino, che era stato re di questo paese. La città murata, quindi, fu costruita da queste tribù nell'anno quattrocentotrentaduesimo dopo la presa di Troia, e nella settima Olimpiade. I capi della colonia erano fratelli gemelli di famiglia reale Albana, Romolo essendo il nome dell'uno e Remo dell'altro. Da parte di madre discendevano da Enea ed erano Dardanidi. Tuttavia, non continuarono entrambi a essere capi della colonia, poiché litigarono per il comando; ma dopo che uno di loro fu ucciso nella battaglia che seguì, Romolo, che sopravvisse, divenne il fondatore della città e la chiamò con il suo nome.

sabato 23 agosto 2025

SAN MERCURIO DEGLI ARBËR E LA MEMORIA STORICA DEGLI STRATIOTI ARBËR IN EUROPA

 

Nella memoria storica e religiosa dei primi Arbër della diaspora, la figura di San Mercurio occupa un posto speciale. 

Mentre oggi il nome di questo santo non è frequente tra gli Arbër e le chiese a lui dedicate sono poche in Grecia e nelle aree di migrazione degli Arbër, nei secoli XV-XVI il suo culto godeva di grande importanza.

Prima del 1821, quando San Giorgio divenne il patrono della rivoluzione Arvanita e in seguito dello stato ellenista greco, la popolazione Arvanita-Arbëresh aveva San Mercurio come patrono. Questo culto era strettamente legato alla natura guerriera degli Arbër e degli Stratioti Albanesi, che vedevano in San Mercurio la figura del santo del soldato e del vincitore in battaglia.

Una chiara testimonianza di questo culto è la diffusione del nome Mërkur tra gli Albanesi del sud e in particolare tra gli Arvaniti. Una delle figure più famose che porta questo nome è Mërkur Bua Shpata, discendente della famiglia principesca Albanese dei Bua Spata in Morea, uno dei più importanti stratioti Albanesi del XV-XVI secolo. Questo nome, associato al culto del santo, racchiudeva non solo il simbolismo della fede Cristiana Ortodossa, ma anche una dimensione identitaria marziale, conferendo al portatore del nome uno status legato alla tradizione dei vincitori e dei difensori della fede.

La figura di Mërkur Bua è una delle prove più evidenti del legame tra il culto di San Mërkur e l'identità marziale degli Arbër. Bua fu comandante di 300 stratioti Arbër e prestò servizio negli eserciti più potenti d'Europa. Combatté per l'imperatore tedesco Massimiliano I, per Luigi XII di Francia, per Venezia e partecipò alle battaglie più importanti dell'epoca. Nella battaglia di Marignani (1515), dove si affrontarono gli eserciti francese e svizzero, gli albanesi al suo comando sbaragliarono l'ordine di battaglia di 40.000 svizzeri, costringendoli alla ritirata. Le cronache europee registrano questa battaglia come la "vittoria dei giganti", dove 300 cavalieri Albanesi si presentarono come un intero esercito.

Lo storico e poeta Coroneo degli Arbani di Grecia, scrisse di lui come discendente di Pirro d'Epiro, Achille, Enea e Alessandro Magno: un'iperbole che attesta lo straordinario rispetto e la fama di questo guerriero Arbano. Nella battaglia di Pavia (1525), pur trovandosi di fronte al suo ex alleato, il re Francesco I di Francia, Bua dimostrò una rara grandezza: quando il re francese fu sconfitto e fatto prigioniero, i mercenari catalani volevano ucciderlo, ma Mërkur Bua intervenne e gli salvò la vita, conferendogli gli onori di un sovrano. Questo gesto era in linea con l'ideale di San Mercurio, guerriero e uomo giusto, a dimostrazione che per gli Arbëri la guerra non aveva solo una dimensione militare, ma anche etica e spirituale.

Il culto di San Mercurio tra gli Arbëri era legato al loro ruolo di soldati della diaspora, come stratioti in Italia, Dalmazia, Francia, Austria, Fiandre, Spagna e Prussia. San Mercurio era visto come il protettore della loro vita precaria, come garante della vittoria e dell'onore in battaglia. Per questo motivo il suo nome divenne comune e numerose chiese dell'epoca gli furono dedicate. Purtroppo, nel corso dei secoli con la presa della chiesa Ortodossa-Arbër di Costantinopoli da parte degli ellenisti e con il mutare delle priorità del culto religioso ellenista del moderno stato greco, questo santo è quasi scomparso dalla memoria collettiva. Oggi, solo resoconti storici e pochi nomi rimasti nelle genealogie testimoniano questo antico legame.

Un importante elemento simbolico è anche la bandiera donata a Mërkur Buas dall'imperatore Massimiliano I nel 1510, che raffigurava un'aquila bicipite nera – simbolo tipico dell'eredità Ortodossa-Arbër – e le insegne araldiche del Ducato di Borgogna. Questa bandiera testimonia la combinazione dell'elemento Arbër con la tradizione europea, a dimostrazione che gli stratioti albanesi e tutti gli Arbër della diaspora non hanno mai perso la loro identità.

Il culto di San Mërkur e la figura di Mërkur Bua fanno parte di un ricco patrimonio, in cui storia, religione e identità Arbër si fondono in una potente narrazione. San Mercurio, in quanto patrono degli Arbër, prima che la Chiesa Ortodossa-Arbër di Costantinopoli fosse presa dagli ellenisti del moderno stato greco e San Giorgio diventasse patrono della Grecia, rappresenta uno strato profondo della cultura della diaspora Albanese e del suo ruolo militare in Europa. La figura di Mercurio Bua, d'altra parte, incarna gli ideali del santo: coraggio, lealtà, onore e grandezza. Questo legame speciale dimostra che gli Arbër, ovunque combattessero, conservarono non solo le loro armi e i loro costumi, ma anche una dimensione spirituale del loro retaggio Ortodosso, rimanendo inseparabili dalle loro radici.


martedì 19 agosto 2025

IL SIGNORE GIURÒ A DAVIDE CON VERITÀ

 

🌿📜 "E, come ricordò Paolo, disse: "Il Signore ha reso stolta la sapienza di questo mondo", ciò che aveva esaminato nella sua sapienza.

E aveva detto: "Da mille donne genererò mille maschi ed erediterò le città del nemico e distruggerò gli idoli".

Ma [il Signore] non gli diede [a Salomone] che tre figli, di cui quello maggiore, il re d'Etiopia, figlio della regina d'Etiopia, è il primogenito.

È lui quello di cui dice nella profezia: "Il Signore giurò a Davide con verità e non se ne pentirà, come, il frutto del tuo ventre, stabilirò sul tuo trono".

Il Signore diede grazia al suo cospetto, a Davide suo servo, e concesse a lui di assidersi sul trono di Dio, dalla sua discendenza, secondo la carne, dalla Vergine: Egli giudicherà i vivi e i morti e retribuirà tutti secondo le proprie azioni. A Lui si deve la Gloria, al Signore nostro Gesù Cristo, nei secoli dei secoli, amìn! E gli concesse anche che, in terra, vi fosse un re sull'arca della Sua Legge, la Santa Celeste Sion, che è il re d'Etiopia.

Quanto a quelli che regneranno, che non sono d'Israele, ciò è una violazione della legge e del comandamento, che il Signore non gradisce."
(Kebra Nagast - La gloria dei re, cap.34)

domenica 17 agosto 2025

BUON COMPLEANNO IMPERATORE MENELIK II

 

🎊🎉💚💛❤️🎊🎉

Il 17 agosto è il compleanno di Imye Menelik, il nostro leader visionario che ha galvanizzato L'Etiopia nella lotta contro il colonialismo nella storica battaglia di Adua del 1° marzo 1896, aprendo le porte alla modernizzazione per la nazione Etiopica.

 Ecco un elenco parziale delle innovazioni da lui introdotte nel Paese di Etiopia:

• Linea ferroviaria
• Telegrafo
• Telefono
• Acqua corrente
• Elettricità
• Fotografia (fu il primo fotografo amatoriale d'Etiopia)
• Automobili
• Addis Abeba come capitale
• Eucalipto
• Servizio postale
• Tipografia
• Riviste di informazione
• Scuola moderna
• Ospedale moderno
• Film
• Biciclette (il primo ciclista d'Etiopia)
• Distilleria
• Filatoio moderno
• Farmacia
• Costituzione scritta
• Ministeri
• Ambasciate straniere (almeno 13 durante il suo mandato)
• Fabbrica di proiettili
• Panetteria
• Cinema
• Registrazione vocale su tamburi di cera
• Patente di guida (fu il primo conducente autorizzato d'Etiopia)
• Orologi con numeri "Geez"
• Riparazione di orologi (fu lui stesso il primo riparatore di orologi ad Addis)
• Pompe per l'acqua
• Ecc. ecc.

Ad eccezione del volo aereo, della televisione, di Internet e di pochi altri - Imye Menelik ha gettato le basi dell'Etiopia moderna.

lunedì 11 agosto 2025

L'OPERA DI PAPANTONIOU

 

"Quando Re Ottone di Grecia arrivò in Grecia nel 1830, riusciva a malapena a sentire qualcuno parlare greco, così chiese: 'Dove sono i greci ad Atene?'

I suoi cortigiani si guardarono l'un l'altro e risposero: 'Non ci sono greci, ma non preoccupatevi perché questa popolazione albanese sarà sempre fedele alla vostra monarchia'".

Questa citazione, inserita in un contesto storico reale, rafforza alcune verità spesso silenziose della storia ufficiale: quando Ottone sbarcò in quella che poi sarà chiamata Grecia (ufficialmente nel 1832), il paese era stato devastato dalla guerra d'indipendenza (1821-1829) e la città di Atene, ancora poco sviluppata e in gran parte disabitata, era abitata principalmente da Arvaniti, albanesi Ortodossi sia autoctoni che insediati fin dal Medioevo.

La lingua greca non era ancora dominante in città come Atene, mentre l'elemento albanese non solo aveva una pronunciata presenza linguistica e culturale, ma costituiva anche la principale forza combattiva che sostenne la formazione dello stato greco moderno. Questi dati, sebbene spesso trascurati dalle narrazioni nazionali, sono confermati anche da altre fonti storiche e documentarie.

Papantoniou, con il suo stile tipicamente critico e tagliente, pone questa realtà al centro della sua ironia storica, mostrando uno scontro tra le aspettative "europee" del re bavarese e la realtà multietnica e linguistica della neonata Grecia. Inoltre, l'affermazione sulla "lealtà della popolazione albanese" alla monarchia è una chiara allusione al ruolo degli Arvaniti nel mantenimento della stabilità interna e al loro contributo alla fondazione dello stato.

Questa prospettiva ci ricorda che la costruzione delle identità nazionali non è un processo semplice e lineare, ma spesso un'attenta selezione della memoria collettiva e la cancellazione di elementi che non si adattano alla narrazione ufficiale. Opere come quella di Papantoniou offrono una rara opportunità di leggere tra le righe della storia e di riscoprire le tracce di comunità che l'hanno significativamente influenzata, ma che sono spesso rimaste nell'ombra.

"Re Ottone" di Zaharias Papantoniou, pubblicato nel 1934 dalla Casa Editrice Dimitrakou di Atene, rappresenta uno dei tentativi più singolari di descrivere con ironia, ma anche con occhio critico, gli albori dello stato greco moderno sotto il regno di re Ottone di Baviera. Tra i numerosi episodi che gettano luce sugli aspetti politici e sociali di quel periodo, un breve ma estremamente significativo frammento serve da spunto per riflettere sulla struttura etnica e linguistica di Atene all'inizio del XIX secolo:

Nota a piè di pagina

1. Zaharias Papantoniou, Re Ottone, Casa Editrice Dimitrakou, Atene, 1934. Sulla copertina vi è raffigurato un albanese in abito tradizionale albanese che in seguito fu rubato dal moderno stato greco.


E anche:
- RE OTTONE NON ACCETTA L'ALBANESE E LA SUA STORIA ⬇️
https://giuseppecapparelli85.blogspot.com/2024/11/re-ottone-non-accetta-lalbanese-e-la.html

Girate queste informazioni ai moderni pseudo filo-greci che nascondono i fatti storici ingannando loro stessi e gli altri.

venerdì 1 agosto 2025

I QUARANTA BAMBINI 🎼🎺🥁

 

🌿 Hailé Selassié I durante la sua prima visita a Gerusalemme (1924)

Hailé Selassié I, futuro imperatore d'Etiopia, compì il suo primo viaggio internazionale nel 1924. All'epoca era giovane ed era sia l'erede al trono che il sovrano d'Etiopia, il che significa che governava in nome dell'imperatrice. Era un leader dalla mentalità moderna che desiderava modernizzare l'Etiopia, abolire la schiavitù e promuovere il suo paese a livello internazionale. Parlava fluentemente il francese e aiutò l'Etiopia ad aderire alla Società delle Nazioni.

Il suo viaggio lo portò attraverso l'Europa e il Medio Oriente per stabilire relazioni diplomatiche. Viaggiò in treno e in nave, arrivando infine a Gerusalemme. Gli etiopi avevano una lunga tradizione di visite a Gerusalemme e lo stesso Hailé Selassié I nutriva un affetto speciale per il Santo Sepolcro, un luogo di grande importanza per i cristiani. Il loro viaggio coincise con le festività pasquali, il che permise loro di partecipare a cerimonie speciali, tra cui l'accensione della lampada. Trascorsero dieci giorni visitando numerosi luoghi sacri e storici.

🌿 Perché Hailé Selassié I visitò Gerusalemme.
Hailé Selassié I aveva obiettivi chiari per il suo viaggio:

Pellegrinaggio: Da cristiano profondamente religioso, stava seguendo le orme del padre. Dimostrò grande rispetto visitando i luoghi santi. Questo contribuì a dissipare le voci in Etiopia secondo cui si fosse convertito al cattolicesimo.

Aiutare gli etiopi a Gerusalemme: Considerava il suo viaggio anche un "viaggio d'affari"; si trattava di aiutare la povera comunità etiope che viveva in condizioni difficili sul tetto del Santo Sepolcro (Golgota). Aveva in programma di incontrare il Patriarca ortodosso egiziano per discutere dei loro problemi.

Proprietà e relazioni ecclesiastiche: Si dice che negoziarono con il Patriarca greco per l'acquisto di una stanza in un monastero vicino al Santo Sepolcro (Golgota) da utilizzare come sala di preghiera per gli etiopi. In cambio, si dice che abbiano donato un ampio appezzamento di terreno al Patriarca greco in Etiopia. Visitarono anche le proprietà etiopi a Gerusalemme che i monaci utilizzavano come fonte di reddito.

🌿 Armenian Orphan Band:

Una delle visite più significative del loro viaggio fu quella a un monastero armeno. Incontrarono il Patriarca armeno e videro una banda musicale composta da 40 bambini armeni di età compresa tra i 15 e i 18 anni, sopravvissuti al genocidio del 1915. Questi orfani erano stati portati a Gerusalemme nel 1922.

Il Patriarca disse ad Hailé Selassié I che prendersi cura di questi talentuosi musicisti era un grande onere finanziario. Hailé Selassié I, mosso da compassione, li portò ad Addis Abeba e diede loro una residenza permanente. Invitò l'intera banda, insieme al loro insegnante e direttore, a trasferirsi ad Addis Abeba e a nominarli Musicisti Reali d'Etiopia. Fu firmato un contratto di residenza quinquennale con l'Armenian Charity Society, responsabile della cura degli orfani. Anche la comunità armena di Gerusalemme accolse con grande gioia l'iniziativa di Hailé Selassié I.

,🌿 "Quaranta Bambini" e l'inno nazionale etiope:

Dopo il fruttuoso viaggio di Hailé Selassié I dall'Europa, gli orfani armeni lo raggiunsero a Porto Said, in Egitto, e si diressero ad Addis Abeba. Sebbene Hailé Selassié I non abbia scritto molto su di loro nelle sue memorie personali, era chiaro che fossero molto importanti per lui.

Questi 40 orfani armeni arrivarono ad Addis Abeba il 6 settembre 1924 e divennero noti come i "Quaranta Bambini". Formarono la Royal Ethiopian Band, ricevettero uno stipendio mensile, alloggio e lezioni di musica dal loro direttore musicale armeno, Kiwerk Nalbandian, egli stesso orfano.

L'imperatore Hailé Selassié I rimase così colpito dall'esibizione della banda che chiese a Nalbandian di comporre l'inno nazionale etiope nel 1926. Nalbandian compose l'inno nazionale, "Tefiri Marsh, Ethiopia Hoi", che significa "Rallegrati, Etiopia!", e fu eseguito per la prima volta dai 40 orfani di Addis Abeba il 2 novembre 1930, quando l'imperatore Hailé Selassié I fu incoronato imperatore.

Sebbene la banda si sciolse dopo l'occultamento dell'imperatore, si dice che la maggior parte dei suoi membri sia rimasta in Etiopia. Questo evento, unito all'arrivo di altri talentuosi armeni, portò la comunità armena di Addis Abeba a crescere e ad aumentare di numero durante il regno dell'imperatore Hailé Selassié I. Ingegneri, fotografi, medici e uomini d'affari armeni contribuirono a trasformare la città in un fiorente centro culturale e commerciale. Al suo apice, oltre duemila armeni vivevano e lavoravano ad Addis Abeba, e la città aveva una chiesa, una scuola superiore e un club molto attivi. Tuttavia, dopo la rivoluzione marxista, ne rimasero solo una cinquantina.

giovedì 31 luglio 2025

I PADRI DELLA RAZZA GRECA E LATINA 🇦🇱

 

⚡ «Οἱ ̓Αλβανοί θεωροῦνται εἰκότως πατέρες τῆς Ἑλληνικῆς φυλῆς»
" Gli Albanesi sono considerati i padri della razza greca"

📜 "Nell'Epiro superiore e medio, dai monti Grammonas e Acrokeravnia alla catena del Pindo e lungo il Drimino, dall'Adriatico e dallo Ionio all'Egeo, ma anche su alcune isole e attorno all'Attica, in gruppi e sporadicamente, vivono gli Albanesi, QUESTA ANTICA TRIBÙ PELASGICA ED ERACLEA, questi coraggiosi e valorosi difensori della fede della patria e fedeli osservatori e custodi degli antichi costumi e tradizioni. GLI ALBANESI SONO CONSIDERATI I PADRI DELLA RAZZA GRECA [...]
 
[...] Questi, come la maggior parte dei popoli antichi dalle rive dell'Eufrate e del Gange fino al Caspio e al Caucaso, accampandosi tra l'Iberia e il Caspio e il Perigeo dell'Ocumene dionisiaco, erano inizialmente ciclopici, nomadi e pastori."
(Estratto da: "Gli albanesi e il loro futuro nell'ellenismo, con un'appendice sui greco-valacchi e bulgari" Anno: 1879)

⚡ «οἱ ̓Αλβανοί πατέρες, τῶν Λατίνων Τὸ γένος, τὰ τειχόκαστρα τῆς δοξασμένης Ρώμης» 
"I padri Albanesi, la stirpe latina, tengano le mura della gloriosa Roma." (Virgilio)

📜"Io, che prima cantavo con un tenero flauto e dalle foreste che emergevano ai campi aperti stringevo e insaziabili coppie di volontà per volgere, un'opera gradita ai contadini, ora canto i carri e l'eroe del crudele Marte, che, come volle il Fato, fuggendo dalla terra di Troia, in Italia sulle rive di Lavinio giunse per primo, poiché dalle divine sinergie ha reso paradisiache molte terre del mare, per l'ira insonne dell'iraconda Era, e poiché da dove molte la guerra sopportò, affinché potesse fondare la patria e portare nel Lazio gli dei di Othe, I PADRI ALBANESI, LA STIRPE LATINA, tengano le mura della gloriosa Roma. Musa, studia le ragioni per me, per la volontà di chi sfida, per quale bisogno di lei la regina degli immortali, il persiano timorato di Dio, soffrì così tanto, così tanto? Tale L'ira si adatta alle viscere celesti. C'era un paese antico, dove i Tiri avevano la loro dimora, in Italia di fronte, di fronte alla foce del Timbrio, Cartagine, ricchissima di potenza e di opere. Feroce in guerra, dove, come si dice, Era amava, unica più di ogni altra terra, più della stessa Samo. Lì aveva un carro, lì carri; a questo regno per dare ai popoli, che il Fato in qualche modo avrebbe perdonato, la dea si prese cura e si prese cura da allora in poi."
(Estratto da: Virgilio, "Eneide di Virgilio", libro primo)

DEREK 🔯🔥

sabato 26 luglio 2025

RE PIRRO D'EPIRO.


 • Re dell'Epiro, Pirro è una delle figure più importanti della storia albanese dell'antichità e la sua vita turbolenta è vividamente descritta da Plutarco.

Con l'ascesa del re molosso, l'antico Epiro acquisì per la prima volta splendore, ben oltre i suoi confini.

~~ Pirro divenne famoso per la sua campagna nell'Italia meridionale, a sostegno delle tribù illiriche come i Messapi e gli Iapigi dell'Illiria di quel tempo.

Pirro e Annibale furono gli unici a contrastare l'avanzata dell'impero romano.

Le vittorie che ottenne, dopo pesanti perdite, diedero origine all'espressione "vittoria di Pirro".

• Tuttavia, la campagna di Pirro in Italia e l'indebolimento della sua patria da parte di una popolazione bellicosa gli causarono in seguito gravi danni, quando fu conquistata dai Romani. Vale la pena notare che Pirro ebbe la fortuna di ereditare l'organizzazione militare di Alessandro Magno, che per l'Epiro è l'equivalente di Filippo II.

~~ Alessandro riorganizzò la società albanese epirota ed è probabilmente il successore delle formazioni che... Nel 353 a.C., il matrimonio di Filippo con Olimpiade portò l'Epiro e il suo esercito sotto l'influenza macedone.

Fu allora che le unità di ricognizione apparvero per la prima volta nell'esercito continentale.

•Nel 281 Taranto (nell'Italia meridionale) chiese l'aiuto di Pirro contro Roma.

Attraversò l'Italia con circa 25.000 uomini e nel 280 ottenne una vittoria completa, forse costosa, su un esercito romano a Eraclea.

Nel 279 Pirro, subendo nuovamente pesanti perdite, sconfisse i Romani ad Ausculum (Ascoli Satriano) in Puglia.

•Nel 275 subì gravi perdite in una battaglia contro Roma a Benevento.

• Anche Pirro, re dell'Epiro, portò venti elefanti per attaccare i Romani nella battaglia di Candia nel 280 a.C.

I Romani non erano preparati a combattere contro gli elefanti e le forze dell'Epiro inflissero loro una schiacciante sconfitta.

• Pirro entrò in Italia con un esercito composto da 20.000 fanti, 3.000 cavalieri, 2.000 arcieri, 500 frombolieri e 20 elefanti da guerra nel tentativo di sottomettere i Romani.

Gli elefanti gli erano stati prestati da Tolomeo II Filadelfo, che aveva anche promesso 9.000 soldati e altri 50 elefanti per difendere l'Epiro mentre Pirro e il suo esercito erano lontani dall'Epiro, che si trovava nell'Italia meridionale.

Fonti:👇
Livio 32.5.9
Hammond 1967: 209-211, 699-700,
Imperium Romano.

martedì 22 luglio 2025

LA GIOIA DEGLI ARVANITI

 

🌿 Alla fine degli anni Ottanta, uno studioso albanese, storico e linguista, si recò ufficialmente in Grecia. Da studioso appassionato, si trovò nella maggior parte delle zone di lingua albanese.

Era padre di un bambino, come tutti gli albanesi di quel tempo, cioè poveri, una volta si fermò da qualche parte a Maratona, in Grecia, sul ciglio della strada, per comprare della frutta. C'era una zona abitata dagli Arvaniti e il venditore era un Arvanita.

Comunicare in albanese con il ragazzo divenne il motivo per cui l'Arvanita intervenne e così abbiamo una storia tanto toccante quanto interessante. L'Arvanita li scambiò per... Arvaniti di Grecia e li ascoltò con molta attenzione...

Il padre va a comprare delle pere, ma il ragazzo non le preferiva e disse al padre in albanese davanti all'Arvanita:

- "Per favore padre, non voglio pere, voglio mele. (nuk dua dardhë, dua mollë)."

L'Arvanita, quando lo sentì, rimase stupito. Era molto colpito da un ragazzo così giovane che conosceva così bene la "lingua arvanita", come faceva da bambino...

"La lingua Arbër vive e non morirà mai con questi uomini coraggiosi", pensò il fruttivendolo.

Negli occhi del vecchio Arvanita, si vedevano stranamente delle lacrime sgorgare dai suoi occhi...

Questo colse padre e figlio di sorpresa.

"Come conosce bene la lingua arvanita il ragazzo", si rivolge a lui il vecchio Arvanita.

"Che tuo figlio viva a lungo come le montagne."

E continuò così: "Con uomini così coraggiosi, la lingua arvanita non andrà mai perduta, non deve andare perduta. Perché è la lingua dei coraggiosi, degli eroi, tutti gli eroi della Grecia sono arvaniti."

Padre e figlio capirono cosa stava succedendo e, dopo averlo lasciato calmare dalla contentezza, il padre disse:

"Noi, signore, non siamo arvaniti, siamo albanesi e parliamo la vostra stessa lingua, come forse saprete."

Il vecchio non se l'aspettava e per un attimo si perse, dato che non aveva mai sentito parlare albanesi prima, ma poi si riprese e disse:

"Eh! Davvero?"

"Sì, signore."

Dopo aver ricevuto alcune spiegazioni, il vecchio finalmente capì.

"Sì, sì, sì, com'è facile capirsi... ma per favore, parlami un po' di albanese..."

"Come parli bene la nostra lingua",
rivolgendosi al figlio...
"Prendila, figlio mio, prendi quante mele vuoi, prendi quello che vuoi, non voglio soldi da te. Poiché mi piaci così tanto, mi hai ricordato la mia infanzia, il tempo in cui nel villaggio tutti parlavano arvanita. Oh, che miracolo fu quello, e anche questo."


Passò più di mezz'ora così, parlando in arvanita.


E poi si rivolge a suo padre, dicendo:

"Centinaia di anni qui in Grecia e la nostra lingua non è cambiata affatto...

Oh, quanto hai reso felice questo vecchio, ne sono stato commosso, ero convinto prima di morire che la nostra lingua vive da qualche parte e che Dio la benedica e la faccia crescere. La lingua Arbër non scomparirà, dicevano gli anziani, ma io avevo paura perché non è scritta e nessuno la insegna a scuola qui in Grecia.

Che tu possa vivere e che Dio sia sempre con te e con la lingua arvanita."

"Ogni pietra che sposterai in Grecia parlerà... arvanita. Ma tempi bui stanno arrivando per la nostra lingua, qui in Grecia. Puoi fare qualcosa al riguardo?"

La preoccupazione del vecchio.
La gioia del vecchio.
L'anima del vecchio.
La lingua arvanita.

Dopo tanto discutere prendemmo la via del ritorno.

Non dimenticherò lo sguardo amaro dell'anziano, che mi guardava perdermi alla svolta della strada. Questo, perché non avrebbe avuto alcuna speranza che gli Arvaniti sarebbero riusciti a sopravvivere.

Dopo 25 anni. Quanto aveva ragione il vecchio Arvanita. Il tempo lo ha dimostrato.

Tra altri 25 anni, non ci saranno più il dialetto arvanita e la lingua albanese in Grecia.

📷 Nella foto: dipinto di Albanesi di Atene... 

"Atene era solo un villaggio albanese. Quasi tutta la popolazione dell'Attica è considerata ed è composta da albanesi. A tre leghe di distanza (14,5 Km) dalla capitale ci sono villaggi che capiscono a malapena il greco."

(Empire Newspaper (Sydney, Australia) 5 Maggio 1863)