domenica 21 gennaio 2024

LA LINGUA MESSAPICA 🔯🇦🇱

 

Il messapico è una lingua dell'età del ferro parlata in Puglia dagli Iapigi (Messapi, Peuceti, Dauni), che si stabilirono in Italia come parte di una migrazione illirica dai Balcani nel periodo di transizione tra l'età del bronzo e quella del ferro. Poiché il messapico è stato attestato dopo oltre 500 anni di sviluppo nella penisola italiana, è generalmente trattato linguisticamente come distinto dall'illirico. Entrambe le lingue sono collocate nello stesso ramo. Eric Hamp li ha raggruppati sotto "Messapo-illirico" che è ulteriormente raggruppato con l'albanese. Altri schemi raggruppano le tre lingue sotto "Illirico generale" e "Paleo-balcanico occidentale". 

Il messapico condivide con l'albanese diverse corrispondenze lessicali esclusive e caratteristiche generali a causa di un comune idioma illirico ancestrale, caratteristiche sviluppate in convergenza tra le lingue del loro raggruppamento nel territorio dell'Illiria. Affini e caratteristiche condivise indicano un legame più stretto tra le due lingue. Gli affini includono il messapico aran e l'albanese arë ("campo"), biliā e bijë ("figlia"), menza- (nel nome Manzanas) e mëz ("puledro"), brendion (in Brundisium) e bri (corna) che dà il nome alla città di Brindisi lo ritroviamo anche in moltissimi termini del nord Italia (Brenta, Brescia, Bressanone) a conferma dell'estensione che la cultura illirica ebbe nell'Europa e nell'Italia di quei tempi.

Alcuni toponimi messapici come Manduria in Puglia non hanno forme etimologiche al di fuori delle fonti linguistiche albanesi. Altri elementi linguistici come particelle, preposizioni, suffissi e caratteristiche fonologiche della lingua messapica trovano singolari affinità solo con l'albanese.

mercoledì 17 gennaio 2024

IL BRIGANTE PIZZICHICCHIO


 Cosimo Mazzeo detto Pizzichicchio fu uno degli ultimi briganti del Sud Italia, nacque il 13 gennaio nel 1837 originario di San Marzano di San Giuseppe (Shën Marcani) paese Arbëresh 🇦🇱 della Puglia (Ta), figlio di Pasquale e Maria Friolo di origine Arbëresh.

Sin da ragazzo dimostrò insofferenza nei confronti delle persone prepotenti, in particolar modo di coloro, come i grandi proprietari terrieri, che sfruttavano sino all’inverosimile i contadini. Era un giovane coraggioso, senza paura, che non si tirava mai indietro di fronte a palesi ingiustizie.

Al tempo dei Borbone, il servizio militare era facoltativo, mentre diventò obbligatorio dopo l’Unità d’Italia e avendo ricevuto la “chiama obbligatoria alle armi”, non accettò di indossare la divisa di soldato italiano, per cui fu costretto a latitare, nascondendosi con il fratello Francesco ed altri tre compagni, dapprima nei vicini boschi e poi nelle quasi inaccessibili Grotte del Vallone, dove vi rimase per un anno, senza mai essere scoperto dai carabinieri. Qui costituì il Nucleo Armato della Resistenza, che andò via via ingrossandosi.

La sua fama valicò i confini del tarantino, diffondendosi ben presto nel materano, nelle Murge baresi, nell’alto e medio Salento.

Dalle autorità italiane fu considerato un pericoloso brigante, ma non lo era affatto, perché scelse di difendere con le armi, con l’onore e con il sangue la propria gente, la propria terra. Non fu un bandito comune, ma un “coraggioso partigiano”, reso tale dalle inique condizioni di vita imposte dall’invasore piemontese.

Pizzichicchio fu un uomo buono e generoso con i contadini, ai quali offriva protezione e sicurezza e dai quali riceveva riparo e vettovaglie. Con il passar dei mesi divenne uomo temutissimo da parte dei ricchi possidenti locali che, abiurando il governo borbonico, avevano accettato i “favori” del nuovo stato italiano. Come dire: i furbi, gli infedeli e i voltagabbana montano sempre sul carro del vincitore, chiunque esso sia. Per tale motivo Cosimo reagì con violenza nei confronti di costoro, assaltando le masserie, depredandole ed offrendo ogni cosa alla povera gente. La banda di Pizzichicchio, in meno di un anno, s’era ingrossata al punto da essere temuta dalle pattuglie dei carabinieri, che spesso subivano violenti attacchi.

La sua bella e appassionante storia finì all’improvviso. I carabinieri, ormai sulle sue tracce, lo pedinavano in continuazione e aspettavano un suo passo falso. In una mattina del giugno 1863, Cosimo con i suoi compagni si mosse dal bosco delle Pianelle, in una località chiamata “Tavola del brigante”, dove la banda aveva il suo quartier generale, per compiere razzie in una zona del Materano. I suoi movimenti, però, furono intercettati prima dal capitano Francesco Allisio, al comando di uno squadrone di cavalleggeri del reggimento Saluzzo, e poi dalla Guardia Nazionale di Taranto. I banditi, braccati per alcuni giorni, trovarono rifugio nella masseria Belmonte, ma furono quasi tutti uccisi. Cosimo riuscì a mettersi in salvo con alcuni fedeli compagni. Ormai, però, il cerchio gli si stava stringendo intorno. Sei mesi dopo fu segnalata la sua presenza nella masseria Ruggiruddo, in agro di Crispiano. Intervenne un folto contingente di carabinieri. Cosimo si nascose in una canna fumaria, ma fu scoperto e consegnato alla Corte marziale di Potenza, che lo condannò a morte. Il 28 novembre 1864, Pizzichicchio, il brigante leggendario, fu fucilato alle spalle, come si faceva con i traditori. Prima della fucilazione, l’uomo chiese ed ottenne di indossare la giacca a doppio petto, la camicia bianca, i pantaloni di velluto e il suo inseparabile copricapo.

A questo “nobile” brigante, a questo “piccolo grande” uomo Arbëresh, che tanto amò e difese la sua terra e che combatté strenuamente ogni prepotenza e sopruso degli uomini, mi sento in dovere di rivolgergli un sentito pensiero di ringraziamento. 

martedì 16 gennaio 2024

Chiesa di Santa Sotira (Kisha e Shën Sotirës), dove Mihal Grameno diffuse la lingua albanese.


Mihal Grameno nato a Korçë in una famiglia di commercianti, nel 1907, entra a far parte della recente formazione "banditesca" di Çerçiz Topulli, una unità partigiana precoce che lotta contro le truppe turche in Albania. 

Nel 1909 Grameno fondò a Korçë la Lega Ortodossa o Alleanza Ortodossa (Lidhja Ortodokse) e lavorò come redattore in un suo periodico con lo stesso nome tra il 1909-1910.

Nel 1910 l'organizzazione ha proclamato l'istituzione di una Chiesa Ortodossa albanese indipendente, ma non venne mai riconosciuta da parte dell'Impero Ottomano.

Nel 1920 ha svolto la sua attività giornalistica e letteraria fino a quando la dittatura del Zog lo costrinse a ritirarsi dalla vita pubblica. Rassegnato e gravemente malato è morto il 5 febbraio 1931 nella sua amata Korçë.

La Chiesa di Santa Sotira si trova a sud-est del villaggio di Vuno, sul lato della strada che porta alla baia di Jal.

La chiesa porta con sé un importante valore storico, poiché nel maggio 1907 Mihal Grameno e altri membri della banda Çerçiz Topulli diffusero la lingua albanese attraverso i libri di testo, utilizzando la chiesa di Santa Sotira come rifugio. Per questo motivo la chiesa è conservata come monumento dall'importante valore storico.

Si tratta di una chiesa semplice che misura 4,4×9,5 m, con la navata separata dall'altare da una semplice iconostasi muraria, dotata di due ingressi. All'interno dell'abside e nella nicchia accanto ad essa si conservano le uniche tracce dell'affresco che un tempo decorava le pareti interne della chiesa.

sabato 13 gennaio 2024

LA RESISTENZA DEGLI ARVANITI 🔯🇦🇱

 

 "Mentre gli Schypetar 🦅, a loro estranei nella lingua, risorgono sui resti della Grecia, che sembrano destinati a coprire con una popolazione superiore in energia ai Greci, che scompaiono e si estinguono in dettaglio.
Questo vigore, che ha origine nella barbarie, era indubbiamente necessario agli albanesi, liberati non sappiamo come dagli scito-slavi, per resistere ai nuovi barbari emergenti dall'Oriente, destinati a cambiare il volto dell'impero, e quasi, quella del mondo intero, quando i Turchi, discendenti dal Caucaso, padroni dell'Asia Minore e della Tracia, si precipitarono sulla Grecia, che trovarono divisa dallo scisma. Bajazet, vincitore degli Albanesi, comandò loro, in verità, di abbracciare la religione del profeta; ma se gli abitanti della pianura obbedirono, i Mirditi, irremovibili, resistettero alla tempesta e rimasero fedeli all'unità della Chiesa. Gli albanesi Ortodossi che riuscirono a raggiungere le montagne, si ritirarono verso i cantoni di Chimera, Souli, Parga;  e quelli che le rocce non potevano difendere passarono nel Peloponneso. Ma presto vessati e inseguiti dai Turchi, alcuni raggiunsero il monte Geranio, altri dovettero cercare asilo nelle isole di Idra, Spezzia, Poros e Salamina, dove ora vediamo le loro fiorenti colonie."
(François Pouqueville)

Dipinto: "L'imbarco dei Parganioti albanesi", di Alphonse Apollodore Callet 1827

mercoledì 10 gennaio 2024

UNA PAROLA ALBANESE NEL FILM SULLA PASSIONE DI CRISTO

 

Perché il regista Mel Gibson inserisce la parola Albanese 🇦🇱 "Zhduki" (Sparisci!!!) nel suo film?

Ne "La Passione di Cristo", registrato a Matera (Italia), per ricreare maggior realismo, il film è stato interamente girato in latino, in ebraico e in aramaico, le lingue del tempo, e sottotitolato nelle lingue moderne. Queste erano le principali lingue parlate, insieme a moltissimi dialetti di altri popoli, al quale vi apparteneva anche l'idioma Albanese. Tra questi vi erano i Pelishtin e gli Hittiti che parlavano una lingua semitico-accadica da cui proviene la base dell'odierno idioma Albanese e Arbëresh. Nel film la parola viene pronunciata da un soldato Filisteo (Pelishtin o Philashtin) contro Maria Maddalena intimandole di stare zitta e andarsene di lì, letteralmente di sparire (Zhduki!!!➡️Sparisci!!!). Questo prova quanto fosse antico questo idioma e soprattutto che non si tratta di una lingua indo-europea ma piuttosto Afro-Asiatica.

"La lingua indo-germanica o indo-europea non esiste! Esistono solo inizialmente le lingue della sponda Sud (afro-asiatiche n.d.r.), da cui tutto si sviluppò" (Prof. Dedola, linguista)





lunedì 8 gennaio 2024

KOSTANDIN E ATHANAS ZOGRAFI 🎨 [attività 1736-1783]

 

I fratelli Kostandin Zografi e Athanas Zografi 🎨 furono pittori albanesi del XVIII secolo originari di Dardhë 🍐, nel distretto di Korçë, nel sud dell'Albania 🇦🇱. Sono considerati i pittori più importanti dell'arte iconografica post-bizantina albanese del XVIII secolo e in generale della regione dell'Epiro. Insieme a David Selenicasi, Kostandin Shpataraku, Terpo Zografi, Efthim Zografi, Gjon Çetiri, Naum Çetiri, Gjergj Çetiri, Nikolla Çetiri e Ndin Çetiri rappresentano la Scuola di pittura di Korçë.

I fratelli Zografi 🎨 hanno decorato con i loro dipinti diverse chiese e monasteri Ortodossi in tutta l'Albania moderna centrale e meridionale, così come sul Monte Athos (Grecia). In particolare, i loro dipinti e affreschi a Moscopole, soprattutto nella chiesa di Sant'Atanasio (in albanese: Kisha e Shën Thanasit) e nel monastero dei Santi Cosma e Damiano a Vithkuq sono di valore unico. Erano attivi nel periodo 1736-1783 e solitamente firmavano le loro opere in greco "Per mano di Konstantinos e Athanasios di Korytsa (Korçë)" (greco: Δια χειρός Κωνσταντίνου και Αθανασίου απ ό Κορυτσά). Hanno firmato le loro opere non solo usando il loro nome, ma anche la parola Shqiptar 🇦🇱 (italiano: albanese), che è l'endonimo che gli albanesi usano per se stessi. Il loro cognome, Zografi, significa "pittore" 🎨 in greco.

L'opera dei fratelli Zografi presenta una spiccata tendenza al barocco, con raffigurazioni lineari delle figure religiose, e allo stesso tempo adottando uno stile ornamentale utilizzando un'ampia varietà di colori bruni e vivaci. I colori principali utilizzati nelle loro opere erano il bianco, il blu brillante e il rosso scuro.

I fratelli Zografi insieme a David Selenicasi continuarono la tradizione dell'arte paleologa che fu ripresa sul Monte Athos nel XVIII secolo.

martedì 2 gennaio 2024

LA TESTIMONIANZA DELLO STORICO TEDESCO FALLMERAJER: "Ad Atene esisteva una corte Avanita."


 Innumerevoli pellegrini occidentali che visitarono Atene nel diciannovesimo secolo notarono una realtà che non avevano mai visto nei loro fandom filoellenici.

Il fascino romantico che si nascondeva dietro le visioni del passato era fortemente turbato dall'esperienza vissuta dai viaggiatori non appena arrivavano ad Atene: a parte le rovine dell'acropoli e le greggi di pecore che pascolavano pacificamente, tutto somigliava a un villaggio Albanese.

Basti pensare alla parte antica della città di Atene.... essa si chiama Plaka, che in albanese significa La Vecchia, L'Antica; ed è la parte più antica di Atene il luogo dove vivevano e vivono tuttora gli antichi Ateniesi prima dell'ellenizzazione, un quartiere interamente abitato fin dall'antichità da Albanesi. Se andate lì vedrete che parlano Albanese ed erano lì prima degli Elleni, quindi gli Albanesi erano gli antichi Ateniesi. Gli Elleni sono solo una tribù divisa dagli auTokToni che già erano lì, cioè gli Arvaniti di oggi. La stessa cosa vale per gli albanesi di oggi, perché gli Epiroti albanesi esistevano prima degli Elleni. La nazionalità odierna è diversa dall'etnia originaria.

Questa è l’ampia testimonianza dello storico tedesco Jakob Philipp Fallmerayer (1790-1861). Carriera accademica sviluppata negli ambienti scolastici bavaresi, si affermerà in Europa per la sua conoscenza enciclopedica della storia della Grecia medievale.

La sua opera monumentale "Storia della Morea nel Medioevo", pubblicata a Stoccarda pochi anni dopo la creazione del moderno stato Grecia, suscitò indignazione in tutti gli ambienti filoellenici d'Europa.

La rivoluzione "greca" in realtà fu una rivoluzione Albanese e in seguito i "Greci" hanno perseguitato la lingua Arvanitika cioè Albanese e ancora oggi non ė riconosciuta come minoranza linguistica (che prima era la maggioranza) come accade in Italia con gli Arbëresh, ma sempre più ogni anno viene cancellata dal ricordo.

Al centro del pensiero di Fallmerayer c'era l'idea che i greci del suo tempo non erano altro che discendenti di Albanesi ellenizzati. In altre parole, secondo lui, non esisteva alcuna continuità genetica tra la vecchia e la nuova Grecia.

L'opera dello storico tirolese contiene storie interessanti sull'insediamento dei primi gruppi albanesi nella Grecia bizantina, le sue conseguenze e altri aspetti interessanti.

Atene, ai tempi di Fallmerajer, era tutta Albanese.

"Oggi Atene, la capitale del nuovo regno, è più albanese di quanto lo fosse durante la rivolta, perché dopo la cacciata degli odiati ottomani, la popolazione albanese abbandonò i villaggi e si stabilì nelle città.

Lì si è dovuto istituire un tribunale speciale in lingua Albanese per amministrare la giustizia nei confronti dei cittadini non greci di Atene", scrive Fallmerayer.

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sabato 30 dicembre 2023

VISITA ALLE RELIQUIE DI SANTA DOMENICA KIRIAKÌ


 A mia Nonna Domenica, in Arbëresh Nonòna Diluça, matriarca Arbëresh dell'umile famiglia Iannino da Janina, Epiro.🔯🌙🇦🇱

Il nome Domenica che significa "del Signore", è la forma latina del greco Ciriaca (Κυριακή) che può essere tradotto come "[donna] del Signore", "soggetta al Signore" o "consacrata al Signore". In Arbëresh Diluça ha lo stesso identico significato e letteralmente tradotta come Donna del Sole.

Secondo la Passio greca, Santa Domenica nata nel 287, era figlia di Doroteo ed Eusebia (o Arsenia) e fu educata al Cristianesimo Ortodosso fin dall’infanzia. Visse in un ambiente profondamente Cristiano, dove la vita quotidiana stessa era pregna della Fede professata.

"O Sposa di Cristo, Santa Domenica, Iddio volendoti chiamare alla santità, ti ha fatto nascere figlia di Doroteo e di Arsenia, genitori Cristiani, i quali ti diedero il nome di Domenica, come del Salvatore."

Nel corso della persecuzione di Diocleziano, imperatore romano illirico, all’età di sedici anni fu arrestata con i genitori e condotta a Nicomedia. I genitori, forse per la posizione di rilievo che occupavano nella comunità locale, vennero graziati, grazie all'interessamento dello stesso imperatore, e mandati in esilio ai confini dell'Eufrate, mentre Domenica fu sottoposta a numerose pressioni per indurla a rinnegare la sua Fede Cristiana.

"O Sposa di Cristo, Santa Domenica, lo Spirito Santo ti accese di tale amore per i beni celesti, che non curasti quelli del mondo; e perciò tutta unita con lo spirito a Lui, sopportasti con fortezza la separazione dai genitori mandati in esilio per la fede."

La santa fu torturata, ma la sua resistenza fece convertire coloro i quali erano accorsi a partecipare al macabro spettacolo. 

"O Sposa di Cristo, Santa Domenica, Iddio ti donò tali lumi per la Vera Fede e ti animò di tale fortezza, che sapesti testimoniarlo davanti ai tribunali degli imperatori e dei presidi senza curare né le loro minacce né le loro offerte."

Venne dunque messa al rogo, ma le fiamme non lambirono il suo corpo.

"O Sposa di Cristo, Santa Domenica, Iddio ti volle glorificare anche tra i tormenti, perché il fuoco non bruciò neppure un tuo capello."

Visti gli inutili tentativi di ripudiare la religione, fu condotta a Nola in Campania, dove fu processata e condannata a morte "ad leones".

Venne allora data in pasto ai leoni, ma anche questo tentativo fu vano, dato che i leoni si ammansirono di fronte a lei.

"Nel tuo agone mortale, o Domenica celeberrima, hai trasceso le forze della natura; tra i leoni rendesti lode al tuo Cristo e superasti la fierezza delle belve. Agnella condotta al macello per amore dell’Agnello Divino, al bellissimo tuo Sposo conservasti il candore dell’anima tua."

Dopo una lunga tortura, venne alfine condannata alla decapitazione.

Le sue spoglie furono sepolte inizialmente a Vizzini (CT) dove fiorì il culto della giovane martire nell'allora Sud Italia Ortodosso. Dopo la forzata e crudele cattolicizzazione del Meridione, nel 1893 le reliquie furono traslate dai cattolici nella cattedrale di Tropea.

Santa Domenica è anche Santa Patrona di Camaldoli (SA), Caraffa di Catanzaro (CZ), Mandanici (ME), Protonotaro (ME), Santa Domenica di Ricadi (VV), Scorrano (LE), Torre di Ruggiero (CZ) e Tremestieri (ME).

"O Sposa di Cristo, Santa Domenica, Iddio, come sua martire, volle che oltre l’eterna corona ottenuta in cielo, avesti gli onori dovuti in terra. Concedici assistenza in tutte le avversità di questa terra, per stare sempre uniti nella Vera Fede Ortodossa." Amìn!

venerdì 29 dicembre 2023

I PROFUGHI DI PARGA 👑🦁🔯🇦🇱🦅🌙🐂

 

"I profughi di Parga", anche noto come "Gli abitanti di Parga che abbandonano la loro patria", è un quadro del pittore italiano Francesco Hayez, realizzato con la tecnica dell'olio su tela nel 1831. Le sue dimensioni sono di 201 × 290 centimetri. Con questo quadro di grandi dimensioni, Hayez volle tradurre in pittura il destino dei profughi della città Albanese di Parga, ceduta dagli inglesi all'impero ottomano nell'anno 1819, trasformando l'esilio in un dipinto di denuncia senza tempo. È conservato nella Pinacoteca Tosio Martinengo, a Brescia.

Quest'opera di grandi dimensioni si ispira a un poemetto omonimo scritto da Giovanni Berchet nel 1823 e basato su un evento storico avvenuto pochi anni prima, nel 1819. Fino a quel momento, Parga, in Epiro, era stata un protettorato britannico, ma nel 1819 gli inglesi decisero di cederla all'impero ottomano durante delle trattative per il controllo delle vicine isole Ionie. Gli abitanti di Parga, pur di non vivere sottomessi dai turchi, decisero di fuggire, migrando verso altre isole, come Cefalonia e Corfù.

L'opera ritrae i pargarioti che si apprestano a lasciare la loro città. Alcuni guardano tristemente le loro case in lontananza, situate sul promontorio sullo sfondo, mentre altri osservano gli occupanti ottomani che stanno per entrare nella loro patria. In primo piano si trova un gruppo di uomini e di donne dagli abiti tradizionali realizzati meticolosamente, mentre per terra si trovano due donne: una è seduta davanti a un teschio e guarda lo spettatore, mentre l'altra sta raccogliendo della sabbia per portarla con sé durante l'esilio. In basso a destra si trovano degli altri Albanesi che aspettano di imbarcarsi per fuggire. A dividere queste due parti dell'opera è la figura di un Sacerdote Ortodosso (riconoscibile dall'abito nero e dal copricapo) raffigurato mentre prega, a simboleggiare come la Fede Ortodossa di questi Albanesi non sia crollata neppure di fronte a un evento tale. 𓏙𓋹𓊽𓍑𓌀𓋴𓈖𓃀𓎟𓆖𓎛𓇳𓎛

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"Una scena di strada al Cairo", di Jean-Leon Gerome


Dipinto: "Una scena di strada al Cairo", di Jean-Leon Gerome

Ad alcuni sembrerà strano, ma ci sono degli uomini nel dipinto che indossano la fustanella al Cairo in Egitto 𓆎𓅓𓏏𓊖.

Non tutti sanno che l’Egitto fu governato da un albanese. 

Si tratta del padre fondatore dell’Egitto moderno. Tutti lo conoscono con il nome di Muhhamad Ali Pasha, ma il suo nome erra Mehmet Ali. Era esattamente un’albanese di Korce! I suoi vivevano in un piccolo villaggio di nome Zemblak . 

Mehmet è nato nel 1769. Il suo mandato è durato dal 1805-1848, i soldati albanesi che lo seguirono provenivano da tutte le province albanesi.

Ancora oggi è il vero padre fondatore dell’Egitto moderno.

La fustanella fa parte dell'abito tradizionale albanese!!!!

𓏙𓋹𓊽𓍑𓌀𓋴𓈖𓃀𓎟𓆖𓎛𓇳𓎛