lunedì 27 ottobre 2025

NON-ALLINEAMENTO

 

"Le varie attitudini verso la vita e le ideologie moderne non hanno assicurato una pace duratura nel mondo; al contrario, sono diventate fonti di frizione e cause di conflitto. Come abbiamo ripetutamente detto, l'Etiopia ha sempre seguito una politica di non-allineamento e amicizia con tutte le nazioni. Si è sempre sforzata di mantenere e rafforzare queste politiche. L'Etiopia intrattiene relazioni amichevoli con tutti i paesi dell'Africa, dell'Asia, dell'Europa e dell'America, ad eccezione forse di quei pochissimi paesi che non comprendono la reale storia dell'Etiopia e la buona volontà del popolo Etiope. L'Etiopia cerca di sviluppare relazioni pacifiche e amichevoli con tutti i suoi vicini."

"Ripetiamo che il non-allineamento è in nessun modo anti-Orientale o anti-Occidentale, non più di quanto sia anti-Settentrionale o anti-Meridionale. Non è né anti- né pro- in una qualche maniera assoluta. È in gran parte affermativo, non negativo. È a favore della pace e della libertà. È per un livello di vita decente per tutti gli uomini. È per il diritto delle popolazioni di ciascuna nazione di adottare quel sistema economico e politico che la maggioranza al suo interno sceglie liberamente di seguire. È per il diritto degli uomini e delle nazioni di prendere liberamente la loro posizione circa le principali questioni del momento, secondo quanto le proprie coscienze e il proprio senso del diritto e della giustizia – e queste soltanto – dettino loro." 

(Haile Selassie, Re dei Re, Luce del mondo e Re di Israele) 🦁👑

venerdì 24 ottobre 2025

PER IL BENE DELL'UNITÀ DELLA CHIESA

 

"Lavoriamo insieme, guidati dalla fede in Dio Onnipotente, per il bene dell'unità della Chiesa e della pace dell'umanità. Il mondo oggi ha più che mai bisogno della forza spirituale della Chiesa."
(Haile Selassie, Re dei Re, Luce del mondo; Discorso al Consiglio Ecumenico delle Chiese, Ginevra - 1960) 👑🦁

📷 Nella foto: L'imperatore Haile Selassie visita il Consiglio Ecumenico delle Chiese a Ginevra nel 1965.

L'imperatore d'Etiopia Haile Selassie ha salutato il movimento ecumenico come mezzo per rafforzare la pace nel mondo durante la sua visita alla sede centrale del Consiglio Ecumenico delle Chiese a Ginevra, in Svizzera. Dietro l'imperatore c'è Padre Paul Verghese, sacerdote siro-ortodosso e segretario generale associato del Consiglio Ecumenico delle Chiese, che ha fatto parte dello staff dell'imperatore dal 1956 al 1959.

👉🏽 COS'È IL CONSIGLIO ECUMENICO DELLE CHIESE (WCC)?
Leggi l'articolo qui ⬇️
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📜 "Ecco, viene sulle nubi e ognuno lo vedrà;
anche quelli che lo trafissero
e tutte le nazioni della terra si batteranno per lui il petto.
Sì, Amìn!"
(Apocalisse 1:7)

lunedì 20 ottobre 2025

MOREA, LA REGIONE PERDUTA DEGLI ALBANESI

 

La Morea, l'antica penisola del Peloponneso, un tempo ospitava villaggi e città albanesi che ne ricoprivano colline, montagne e coste. Ancor prima dell'esistenza dei greci, era il luogo in cui gli Arbëri, figli dell'Illiria, della Macedonia e dell'Epiro, costruirono le loro vite, le loro chiese, le loro torri e i loro canti fin dai tempi antichi, finché le tempeste delle invasioni non li travolsero.

Sotto i Turchi, sotto i Veneziani e poi sotto il moderno falso stato greco, gli albanesi della Morea come anche quelli dell'Epiro, furono oppressi, dispersi, costretti a rinnegare la loro lingua madre e le loro radici Arbërore.

L'immortale canto "O bella Morea" è rimasto a ricordo di una terra che non parla più albanese, ma dove ogni pietra e ogni montagna un tempo aveva la voce degli Arbëri. ⬇️
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Da questa antica terra di Morea, dall'Epiro, e da tutte le terre abitate da albanesi, i suoi figli partirono verso l'Italia e l'antica Arbëria, portando con sé il canto, il sangue e la memoria.

Morea non è solo un toponimo dimenticato nella storia: è la ferita e l'orgoglio di un popolo e una nazione, quella albanese, che un tempo si estendeva fino al Golfo di Laconia e alle coste dell'Argolide.

Oggi ci ricorda che l'antica Albania era più vasta dei suoi attuali confini e che il ricordo degli Arbëreshë è la prova più evidente che la Morea, come anche l'Epiro, era territorio albanese, la patria perduta dell'Arbëria meridionale.

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PERCHÉ IL PELOPONNESO NON HA UN NOME GRECO E PERCHÉ NON È MAI STATO UN TERRITORIO GRECO? ⬇️
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giovedì 16 ottobre 2025

PERCHÉ IL PELOPONNESO NON HA UN NOME GRECO E PERCHÉ NON È MAI STATO UN TERRITORIO GRECO?


Siamo in tempi pre-ellenici, ed ho già detto tutto!!! La storia inizia con Tantalo, il padre di Pelope, che si dice fosse proprietario di una miniera d'oro sul monte Sipulo, in Anatolia, nell'attuale Turchia. A quale tribù, a quale popolo, apparteneva Pelope secondo gli autori antichi?


In una testimonianza secondo Erodoto:

Serse dà questa risposta ad Artabano quando discutono su come sconfiggere i loro avversari:

"se conduco un esercito contro questi uomini, uomini come Pelope, il Frigio, (Brigje), che era uno schiavo dei miei antenati..." secondo Erodoto, libro 7, capitolo 11.

La successiva prova proviene da Strabone:

“I confini di questi territori sono stati così confusi tra loro che ho spesso detto che è incerto se il territorio intorno al monte Sipulo, che gli antichi chiamano Frigia, facesse parte della Frigia Maggiore o Minore, dove i Frigi dicono che vissero Tantalo, Pelope e Niobe.”, secondo Strabone, Geografia, libro dodicesimo, capitolo 4.

"Mentre si diceva che Pelope fosse stato esiliato nel Peloponneso, è accettato che Tantalo, sebbene scacciato dalla Paflagonia da Ilo, frigio, rimase sulla costa orientale dell'Egeo." Un fatto che, basandosi su scritti ittiti, Mary Elizabeth Cooper riporta nell'opera "Uhha-ziti, re di Arzawa; Tantalo, re di Lidia".

Apollodoro scrive: “Quando Pelope giunse all'oceano, essendo stato scacciato da Efesto, tornò a Pisa, in Elide, e riuscì a prendere il regno di Enamo, ma non prima di aver sottomesso quella che era chiamata Apia e Pelasgio, che lui (Pelopo) chiamò Peloponneso dal suo nome.” secondo Apollodoro, Library Epitome, tradotto da J.G.Frazer.

Secondo Tucidide, “Quei Peloponnesiaci che conservano tradizioni accurate dicono originariamente che Pelope accrebbe il suo potere grazie alle grandi ricchezze che portò con sé dall'Asia in un paese povero dove, sebbene straniero, poté dare il suo nome al Peloponneso e di questa grande fortuna godettero i suoi discendenti dopo la morte di Euristeo, re di Micene, ucciso in Attica dagli Eraclidi.

Atreo (figlio di Pelope) era stato bandito dal padre a causa dell'assassinio di Crisippo.

Euristeo non fece mai ritorno e i Micenei, che avevano paura degli Eraclidi, erano pronti ad accettare Atreo, considerato un uomo potente.

Riuscì così a impadronirsi del trono di Micene e degli altri possedimenti di Euristeo.

La casa di Pelope trionfò su quella di Perseo. Questo accadde, credo, perché Agamennone ereditò questo potere, sebbene fosse in grado di organizzare una spedizione, e gli altri principi lo seguirono non per il bene, ma per paura. " Secondo Tucidide, Storia della guerra del Peloponneso, libro 1, capitolo 9, tradotto da Benjamin Jovett.

Quindi il Peloponneso non ha un nome greco ma frigio.

Atreo ed Erope ebbero i figli Agamennone, Menelao e Anassibia.

Menelao, inizialmente con l'aiuto di Agamennone, diventa re di Sparta e prende in moglie Elena, che in seguito viene rapita dal principe dardano Paride e da Alessandro.

Sempre nel Peloponneso, si stabilirono i Dardani, esiliati per motivi di guerra sull'isola di Tenedo, di fronte a Troia, e condotti prigionieri a Micene da Agamennone. Questi Dardani chiamarono il loro nuovo insediamento Tenea e in seguito furono esiliati in Italia. ⬇️
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Micene e Sparta erano due potenti regni di sangue per metà frigio, i cui re al tempo della guerra di Troia erano discendenti dei primi re dardani di Troo e Ilo.

Il re dardano Priamo ebbe in moglie Ecuba, della tribù frigia dei Brigi.

Le due tribù principali dell'Anatolia, i Dardani e i Frigi, i Brigi, vivevano fianco a fianco nell'Illirico.

Questa prova delle origini di Pelope e dei regni di Micene e Sparta chiarisce meglio chi combatté contro chi a Troia e quali legami di sangue avessero i Dardani, avversari di Troia, con Micene e Sparta.

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MOJ E BUKURA MORE ⬇️
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sabato 11 ottobre 2025

SHËN MËRIA KËTJE LARTË (LA MADONNA DI LASSÙ)

 

Sono andato a visitare uno dei luoghi più suggestivi della zona del Pollino, esempio della vita religiosa eremitica e contemplativa di questo territorio. I ruderi del Santuario della Madonna degli Aramei o delle Armi, meglio conosciuto come Eremo della Madonna di Lassù o “Shën Mëria Këtje Lartë”, dall’idioma albanese ancora in uso tra la minoranza etnica locale, si trova incastonato tra le rocce del Timpone del Corvo a nord del borgo Arbëresh di Frascineto, ad un’altezza di circa 850 metri s.l.m.. Questo affascinante luogo di culto, risalente a prima del X secolo, veniva utilizzato come asceterio dai monaci Cristiani Ortodossi provenienti dall'Oriente, dediti all'ascetismo e ad una vita mistica, prima dell'invasione cattolico-normanna, quando il sud Italia era interamente Cristiano Ortodossa.

Il titolo “Madonna delle Armi” deriva dal Koinè ecclesiastico Των αρμων (Tōn armōn) ossia "delle grotte, degli anfratti", con riferimento alle cavità presenti sulle pendici franose delle Piccole Dolomiti di Frascineto. Invece per quanto riguarda il termine “Aramei” potrebbe riferirsi a quell'antica popolazione, nominata più volte nell’Antico Testamento, che abitava nella Mesopotamia e nelle zone dell’attuale Turchia e Siria. Dapprima adoravano diverse divinità Babilonesi, successivamente furono uno dei primi popoli ad abbracciare il Cristianesimo Ortodosso.

Negli anni dell’Iconoclastia e poi ai tempi della minaccia turca, la Calabria e la Puglia divennero le principali terre d’asilo dei monaci Ortodossi che, per sfuggire alle persecuzioni, furono costretti ad abbandonare le loro terre, attraversare il mare, e nascondersi in luoghi solitari e facilmente difendibili. In cinque secoli la Calabria si popolò di anacoreti in ogni angolo sperduto del suo territorio e uno dei luoghi scelti da questi mistici fu proprio il territorio di Frascineto, inserendosi nel vasto panorama degli insediamenti rupestri dell'antica Calabria Ortodossa. 

Le celle interne presenti inizialmente, sono da ricollegare ai diversi tipi di vita religiosa, che vanno dal completo isolamento della vita eremitica, ad un’esistenza quasi cenobitica che riuniva più monaci in una comunità monastica organizzata. Per l’adattamento da antico asceterio a luogo di culto, fu chiusa l’apertura della spelonca naturale sulla pietra calcarea, dove erano scavate le celle, con un muro prospettico perfettamente mimetizzato nella roccia. L’ampia caverna è divisa in due piani, ora poco evidenti, con la parte inferiore adibita a chiesa e con il piano superiore in cui si aprivano le celle. Questo si deduce dai buchi presenti nel muro in cui erano infilate le travi che reggevano il pavimento del secondo piano. All’interno della struttura si possono notare ancora i muri divisori con coperture a spiovente. Due arcate centrali e un altare sono ormai quasi irriconoscibili. 

Di fronte a questa bellissima struttura è inevitabile il richiamo alla mente delle cappelle rupestri Armene, più precisamente al monastero di Gheghrd, la cui unica differenza è semplicemente il sistema di pietre a croci (Khatchar) che chiude le entrate. 

Un incavo serviva per raccogliere l’acqua che sgocciolava dalla volta: una singolare acquasantiera che si riempiva tramite l’acqua che scivolava su una costola naturale presente nella parete rocciosa. 

Gli anziani del luogo affermano che in passato si poteva ammirare nella grotta un affresco raffigurante una bellissima Icona Ortodossa della Madre di Dio oggi del tutto scomparsa. 

Accanto al santuario rupestre è presente una grotta dove per tradizione nella seconda domenica dopo Pasqua, i fedeli di Ejanina, frazione di Frascineto, sono soliti celebrare un rito religioso risalente al loro passato Ortodosso; dopo aver pranzato ai piedi del santuario, riscendono in paese intonando antiche rapsodi e canti popolari Albanesi dedicati alla Madre di Dio, ma anche alle possenti querce che offrono ombra e ristoro, mentre si svolge la danza tipica popolare Arbëresh, conosciuta come Vallja, una ridda colorata che rievoca una grande vittoria riportata da Giorgio Castriota Skanderberg contro gli invasori Turchi il 27 aprile 1467.

Durante il tragitto, grazie alle suggestioni che il paesaggio offre, ci si immerge come per incanto in un’atmosfera d’altri tempi e si pensa alle difficoltà che dovettero affrontare quei monaci relativamente alla viabilità, ma anche allo svolgimento delle semplici mansioni quotidiane in un luogo così estremamente impervio. Gli asceti, però, qui trovarono un’oasi di pace facendo crescere sempre di più l’abbazia in onore dell’Apostolo Pietro, oggi situata vicino al cimitero comunale e dichiarata Monumento Nazionale, che, anche se rimaneggiata nei secoli, ci offre ancora peculiari testimonianze Ortodosse, come la particolare cupola con calotta a gradoni concentrici, rastremati e coperti di tegole.

Dopo l'invasione Cattolico-normanna, cacciando i monaci Ortodossi, la chiesa di San Pietro fu presa dai cattolici. Furono proprio i preti cattolici dell’abbazia di San Pietro ad accogliere e assegnare le terre ai profughi Albanesi Ortodossi che giunsero alle pendici del Pollino nel XV secolo, creando il primo nucleo da cui nascerà l’attuale Frascineto. Col tempo anche gli Arbëresh furono assorbiti dal cattolicesimo mantenendo qualche antica tradizione a ricordo del loro glorioso passato Ortodosso.  

Purtroppo questo sito è in completo stato di abbandono e la sua non facile accessibilità lo rende ancor di più incline ad essere dimenticato. Solo gli avventurosi che tenacemente si spingono fin “lassù” (Këtje Lartë), tra monumenti e balze rocciose dalle forme maestose e bizzarre che danno l'impressione di trovarsi realmente sulle Dolomiti, riescono a godere della santa atmosfera del luogo, pregna di un palpabile e avvincente misticismo.




giovedì 2 ottobre 2025

LA GJITONIA: IL CUORE DELLE COMUNITÀ ARBËRESHE 🇦🇱

 

🌿 La Gjitonia (parola Arbëresh che significa “vicinato, comunità di case e famiglie”) è molto più di un semplice quartiere: è l’anima sociale e culturale dei paesi Arbëresh fin dall'antichità. Rappresenta il luogo della condivisione, della solidarietà e dell’identità collettiva, un vero e proprio microcosmo in cui la vita quotidiana si intrecciava con i valori della comunità.

La radice semantica della parola Gjitonia è la parola albanese Gji che significa "Seno Materno" o "seno" in generale. Dalla radice albanese Gji seno, provengono le parole Gjirì, Gjiton, Gjitonia. 

Gjirì che dall'Arbëresh si traduce come "parente" o "parente stretto", è l'unione delle parole Gji=seno e Ri=nuovo, che letteralmente dovrebbe significare, "un nuovo seno" o "una persona nata dallo stesso seno".

Gjiton che dall'Arbëresh si traduce come "vicino" o " vicino di casa", è l'unione delle parole Gji=seno e Ton=nostro, ovvero Gji Ton che letteralmente significa " del nostro seno" o "che fa parte del nostro seno".

Gjitonia invece è formato dalle parole albanesi Gji=seno + Ton=nostro e -ia=suffisso che indica un luogo abitato e letteralmente può tradursi come "il luogo del nostro seno materno".

La Gjitonia anticamente era il luogo in cui abitavano i parenti dello stesso seno. La Gjitonia che ora si traduce con "vicinato" era il luogo o spazio abitativo in cui abitavano i parenti della stessa famiglia, dallo stesso seno, dato che prima erano numerose e prevaleva spesso una nutrice. 

Quindi quello che dice il signor Avato assumendo che la parola Gjitonia è una parola di origine greca è completamente falso. Egli dice che deriva dal greco Γειτονιά che a sua volta deriva dal greco antico γείτων legato alla vicinanza fisica ed alla convivenza urbana. Ma questo è totalmente sbagliato perché come ho dimostrato sopra la radice semantica di questa parola si trova esattamente e perfettamente nell'Albanese e nei suoi suffissi e non nel greco, perché rispetto alla lingua Albanese il greco è una lingua tarda piena di prestiti.

Quindi è tutto il contrario, la parola greca che lui cita deriva proprio dall'Albanese essendo l'albanese più antico del greco e dato che la radice semantica della parola si trova perfettamente nello stesso albanese e non nel greco, e cosa importante l'albanese era la lingua più parlata nei Balcani e nel moderno stato greco prima che fosse perseguitata e cancella da questo. Il signor Avato essendo un uniata filogrekko si è pure dimenticato la sua lingua oltre le sue radici e ora sta cercando di distruggere le nostre radici giocando sull'ignoranza delle persone inventandosi queste fesserie. I linguisti che lui cita evidentemente si sono dimenticati dell'antichità della nostra bellissima lingua che contiene i semi delle lingue europee e che precede di millenni il greco e il latino.

Gjitonia è una parola puramente Albanese-Arbëresh e non greca.

Cordiali saluti. 🙏🏽

domenica 28 settembre 2025

LA CATASTROFE DI DRAMALI

 

Nell'estate del 1822, l'Impero Ottomano lanciò una massiccia spedizione per reprimere la Rivoluzione Arvanita-Arbëresh. Mahmud Dramali Pascià guidò un esercito di quasi 30.000 uomini nel Peloponneso, con l'obiettivo di conquistare Nauplia e ripristinare il controllo imperiale. I difensori Arvaniti-Arbëresh, tuttavia, riuscirono a radunare solo circa 2.500-3.000 combattenti sotto il comando del comandante Arvanita-Arbëresh Theodoros Kolokotronis.

Rendendosi conto di non poter affrontare una tale forza in campo aperto, Kolokotronis adottò la strategia della "terra bruciata". I villaggi furono evacuati, le scorte di cibo furono rimosse e i pozzi distrutti, lasciando l'esercito di Dramali senza provviste nell'arido paesaggio estivo. Fame, sete e caldo iniziarono a indebolire le forze ottomane ancor prima del combattimento.

Kolokotronis scelse quindi il terreno perfetto per la battaglia: gli stretti passi montani di Dervenakia. Qui, la vasta cavalleria e il vantaggio numerico degli Ottomani divennero inutili. I combattenti Arvaniti-Arbëresh, nascosti lungo creste e scogliere, lanciarono imboscate, sparando con i moschetti e lanciando pietre sulle affollate colonne ottomane. Tagliati fuori dai rifornimenti e intrappolati in un terreno ostile, il panico si diffuse rapidamente tra le forze di Dramali.

I risultati furono catastrofici per gli ottomani. Circa 4.000 uomini furono uccisi durante le battaglie del 6-8 agosto 1822. Dei circa 30.000 che entrarono nel Peloponneso, più di 20.000 furono uccisi, feriti o (per lo più) dispersi. Al contrario, le perdite Arvanite-Arbëresh furono meno di 300. L'esercito di Dramali, un tempo considerato inarrestabile, fu annientato.

 La portata della sconfitta divenne proverbiale tra la popolazione Arvanita-Arbëresh, dove ogni grande disastro è ancora chiamato "Katastrofa e Dramalit." ("il disastro di Dramali"). Un residuo di circa 3.000 Ottomani tentò di fuggire verso Patrasso, ma nei pressi di Vostizza furono attaccati da Andreas Londos e dai suoi uomini, e solo una manciata di loro riuscì a salvarsi, decretando la completa rovina della campagna di Dramali.

venerdì 26 settembre 2025

L'ALFABETO DI ELBASAN ✒️

 

📜 L'alfabeto Elbasan era un sistema di scrittura di 40 lettere utilizzato per la lingua albanese a metà del XVIII secolo.

Fu creato appositamente per la traduzione manoscritta dei Vangeli in albanese, nota come "Anonymi i Elbasanit".

🔹Questo manoscritto è l'unico documento noto scritto con questo particolare alfabeto.

Gregorio di Durazzo (in albanese: Gregori i Durritsit; o Grigor Konstantinidhi) (c. 1701–1772) fu uno studioso, tipografo, insegnante, monaco e chierico Cristiano Ortodosso Orientale albanese dell'Albania ottomana. Si ritiene che abbia inventato una speciale scrittura alfabetica albanese, la scrittura Elbasan, utilizzata per scrivere il manoscritto del Vangelo di Elbasan.

Il manoscritto è uno dei più antichi testi conosciuti della letteratura Cristiana Ortodossa Albanese, nonché la più antica traduzione conosciuta della Bibbia Ortodossa Orientale in albanese.

domenica 7 settembre 2025

MACEDONIA ED EPIRO SONONIMI DI ALBANIA


 🌿📜 Nella tradizione antica, l'inclusione di territori corrispondenti all'attuale Albania nell'antica Macedonia è attestata da diverse fonti importanti.

Strabone riferisce che, quando il regno macedone fu assorbito da Roma, "la via Egnazia attraversa il territorio di queste tribù, iniziando da Epidamno e Apollonia", collocando così le città di Durazzo e Apollonia all'inizio della grande strada romana all'interno dell'area macedone. Plinio, descrivendo l'organizzazione provinciale romana, è chiaro: "A Lisso inizia la provincia di Macedonia. La sua popolazione sono i Parti e, più all'interno, i Dassareti", integrando così inequivocabilmente le tribù dell'Albania centrale e meridionale nel quadro macedone. Infine, Tolomeo, nella sua Geografia, definisce i confini della Macedonia includendo una serie di città e popolazioni situate nell'attuale Albania: Amantia, Scampi (Elbasan), Dyrrahium (Durazzo), Apollonia e, soprattutto, "In Albani: Albanopolis", che stabilisce la presenza di un etnonimo albanese all'interno della geografia della Macedonia stessa. Queste tre prove coerenti dimostrano che, per gli autori antichi, la Macedonia si estendeva in quella che oggi è l'Albania, abitata da tribù albanesi: dai Partheni, dai Dassareti, dai Taulanti e dagli Albani.

Umanisti come Marin Barleti ripresero questa tradizione, collocando Scutari all'interno della Macedonia ed equiparando l'Epiro e l'Albania all'area macedone. Studiosi albanesi come Pjetër Bogdani e Frang Bardhi rafforzarono ulteriormente questa visione, collegando Alessandro Magno a Skanderbeg e identificando chiaramente Scutari come macedone. È una prova evidente che questa identificazione è rimasta viva nell'autorappresentazione degli albanesi.

Viaggiatori e studiosi europei confermarono la stessa continuità. Lady Mary Wortley Montagu descrisse gli albanesi come nativi dell'"antica Macedonia", mentre Edward Daniel Clarke ne sottolineò la discendenza dai macedoni, sottolineandone la sopravvivenza della lingua, dei costumi e del carattere. Anche i primi cartografi moderni collocarono l'Epiro e la Macedonia all'interno dell'Albania, riflettendo la stessa identificazione.

Questa tradizione ininterrotta, da Strabone, Plinio e Tolomeo, fino agli umanisti e ai viaggiatori moderni, trova il suo culmine nel giudizio degli osservatori del primo Novecento. Come scrisse l'autore francese Georges Verdène nel 1905: "La Macedonia può essere paragonata all'antica Gallia, che nel corso dei secoli e delle successive trasformazioni divenne la Francia moderna. La Macedonia ha cessato di esistere per diventare l'Albania". Questo paragone cattura l'essenza della continuità storica nota nel corso dei secoli: l'Albania non rappresenta una rottura con l'antichità, ma la trasformazione vivente dell'antica Macedonia. Questa concordanza di prove, lungi dal contrario, afferma una chiara conclusione: l'Albania odierna costituisce il cuore stesso dell'antica Macedonia.

Non è un caso che Skanderbeg rivendicasse questa illustre eredità. Ponendosi nella continuità degli Epiroti e dei Macedoni, egli incarnava la continuità vivente tra l'antico dominio di Alessandro e la nazione albanese. In lui, la memoria dell'Epiro e della Macedonia non rimase una reliquia del passato, ma si trasfigurò nel fondamento stesso dell'Albania moderna.

sabato 30 agosto 2025

HISTORIA BYZANTINA DUPLICI COMMENTARIO ILLUSTRATA

 

Autore: Charles du Fresne, Sieur du Cange
Pubblicazione: Parigi, 1680 📖

Nella sua monumentale opera Historia Byzantina duplici commentario illustrata (1680), l'eminente storico francese Charles du Fresne, Sieur du Cange – ampiamente acclamato come il "padre degli studi bizantini" – illumina le genealogie e l'impatto duraturo delle dinastie illiriche, dardane, macedoni, epirote e cioè albanesi. Du Cange evidenzia come queste dinastie non solo difesero le loro terre d'origine, ma raggiunsero anche un ruolo di primo piano nel cuore degli imperi romano e bizantino cioè l'Impero Romano Cristiano Ortodosso d'Oriente.

Dagli imperatori dardani della tarda Roma ai principi epiroti albanesi e ai despoti albanesi di Bisanzio, la loro eredità è inscritta nel contesto stesso della civiltà europea. Questi leader incarnarono coraggio, resilienza e brillantezza strategica, plasmando il corso degli imperi dall'Adriatico a Costantinopoli.

Il commento storico di Du Cange rafforza una verità spesso trascurata: gli albanesi sono gli eredi diretti dell'Impero Romano Cristiano Ortodosso d'Oriente di Costantinopoli, gli eredi diretti degli antichi popoli illirici, epiroti e macedoni il cui valore e il cui governo influenzarono il destino di tutta l'Europa. Questa eredità non è confinata a cronache polverose, ma vive nella nazione albanese, un popolo la cui resistenza, identità culturale e spirito di indipendenza rimangono intatti attraverso i millenni【Du Cange, Historia Byzantina, Parigi 1680】.

L'eredità albanese nella storia bizantina ed europea 🇦🇱

• Radici imperiali: numerosi imperatori e generali bizantini fecero risalire le loro origini all'Illiria, all'Epiro, alla Dardania e alla Macedonia, aree abitate dagli antenati degli odierni albanesi (vedi: J.B. Bury, History of the Later Roman Empire, 1923).

 • Continuità dell'Epiro: il Despotato dell'Epiro, regione albanese, portò avanti le tradizioni ellenistiche e illiriche fino al Medioevo inoltrato (N.G.L. Hammond, Epirus, 1967).

Identità duratura: Du Cange e gli storici successivi riconobbero che gli albanesi preservarono la loro antica eredità nonostante ondate di imperi, conquiste e migrazioni.

Pertanto, la Historia Byzantina è una cronaca bizantina cioè dell'Impero Cristiano Ortodosso d'Oriente Arbër e una testimonianza dell'eterna impronta delle stirpi albanesi sul destino dell'Europa, una stirpe di guerrieri e sovrani la cui eredità ispira ancora orgoglio e unità.