(Anthony Munday - 1611)
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"E’ difficile far aprire gli occhi alla gente, ma è forse ancor più difficile chiuderli se un giorno qualcuno è riuscito a farteli aprire."
I costumi tradizionali dell'Albania comprendono più di 200 diverse varietà di abbigliamento in tutta l'Albania e nei territori e comunità di lingua albanese (compresi gli Arbëresh, gli Arvaniti e gli Arbanasi) ma un abito specifico è particolarmente interessante: la Xhubleta. Questo costume popolare di 4000 anni è riconosciuto e preservato dall'UNESCO.
La Xhubleta rappresenta i primi indumenti in Albania e nei Balcani. BLETA in albanese significa APE. È un artigianato tradizionale unico e una parte importante dell’identità culturale dell’Albania.
➡️ Molte culture antiche veneravano le api 🐝, i Micenei preellenici, gli Ittiti, gli Etruschi tutti della stessa famiglia Pelasgica da cui discendono gli odierni Arbër. Zeus, dio dei Pelasgi, che si nutriva di latte e miele, il latte della ninfa capra Amaltea (Dhia Mjaltë)🍯
➡️ Il paleontologo ungherese F. Nopea fu il primo ad affermare che si trattasse dell'abbigliamento più antico dei Balcani.
➡️ Rrok Zojzi, etnologo albanese, afferma che l'origine della Xhubleta deriva dalla civiltà creto-micenea e secondo l'archeologo francese Pierre Cabanes i micenei sarebbero originari dell'odierna Albania centrale nel 1700 a.C.
➡️ Si tratta di una gonna popolare ondulata a forma di campana che imita la fisionomia di un'ape indossata ESCLUSIVAMENTE dalle donne albanesi-arber. Si aggancia alle spalle tramite due cinghie. È un tipo di abito unico per la sua particolare forma, struttura, materiali e sistema di decorazione.
➡️ Solitamente è decorato con elementi simbolici albanesi di origine pagana come il sole ☀️, la luna 🌙, le stelle 🔯, le aquile 🦅 e i serpenti 🐍.
Il messapico è una lingua dell'età del ferro parlata in Puglia dagli Iapigi (Messapi, Peuceti, Dauni), che si stabilirono in Italia come parte di una migrazione illirica dai Balcani nel periodo di transizione tra l'età del bronzo e quella del ferro. Poiché il messapico è stato attestato dopo oltre 500 anni di sviluppo nella penisola italiana, è generalmente trattato linguisticamente come distinto dall'illirico. Entrambe le lingue sono collocate nello stesso ramo. Eric Hamp li ha raggruppati sotto "Messapo-illirico" che è ulteriormente raggruppato con l'albanese. Altri schemi raggruppano le tre lingue sotto "Illirico generale" e "Paleo-balcanico occidentale".
Il messapico condivide con l'albanese diverse corrispondenze lessicali esclusive e caratteristiche generali a causa di un comune idioma illirico ancestrale, caratteristiche sviluppate in convergenza tra le lingue del loro raggruppamento nel territorio dell'Illiria. Affini e caratteristiche condivise indicano un legame più stretto tra le due lingue. Gli affini includono il messapico aran e l'albanese arë ("campo"), biliā e bijë ("figlia"), menza- (nel nome Manzanas) e mëz ("puledro"), brendion (in Brundisium) e bri (corna) che dà il nome alla città di Brindisi lo ritroviamo anche in moltissimi termini del nord Italia (Brenta, Brescia, Bressanone) a conferma dell'estensione che la cultura illirica ebbe nell'Europa e nell'Italia di quei tempi.
Alcuni toponimi messapici come Manduria in Puglia non hanno forme etimologiche al di fuori delle fonti linguistiche albanesi. Altri elementi linguistici come particelle, preposizioni, suffissi e caratteristiche fonologiche della lingua messapica trovano singolari affinità solo con l'albanese.
Sin da ragazzo dimostrò insofferenza nei confronti delle persone prepotenti, in particolar modo di coloro, come i grandi proprietari terrieri, che sfruttavano sino all’inverosimile i contadini. Era un giovane coraggioso, senza paura, che non si tirava mai indietro di fronte a palesi ingiustizie.
Al tempo dei Borbone, il servizio militare era facoltativo, mentre diventò obbligatorio dopo l’Unità d’Italia e avendo ricevuto la “chiama obbligatoria alle armi”, non accettò di indossare la divisa di soldato italiano, per cui fu costretto a latitare, nascondendosi con il fratello Francesco ed altri tre compagni, dapprima nei vicini boschi e poi nelle quasi inaccessibili Grotte del Vallone, dove vi rimase per un anno, senza mai essere scoperto dai carabinieri. Qui costituì il Nucleo Armato della Resistenza, che andò via via ingrossandosi.
La sua fama valicò i confini del tarantino, diffondendosi ben presto nel materano, nelle Murge baresi, nell’alto e medio Salento.
Dalle autorità italiane fu considerato un pericoloso brigante, ma non lo era affatto, perché scelse di difendere con le armi, con l’onore e con il sangue la propria gente, la propria terra. Non fu un bandito comune, ma un “coraggioso partigiano”, reso tale dalle inique condizioni di vita imposte dall’invasore piemontese.
Pizzichicchio fu un uomo buono e generoso con i contadini, ai quali offriva protezione e sicurezza e dai quali riceveva riparo e vettovaglie. Con il passar dei mesi divenne uomo temutissimo da parte dei ricchi possidenti locali che, abiurando il governo borbonico, avevano accettato i “favori” del nuovo stato italiano. Come dire: i furbi, gli infedeli e i voltagabbana montano sempre sul carro del vincitore, chiunque esso sia. Per tale motivo Cosimo reagì con violenza nei confronti di costoro, assaltando le masserie, depredandole ed offrendo ogni cosa alla povera gente. La banda di Pizzichicchio, in meno di un anno, s’era ingrossata al punto da essere temuta dalle pattuglie dei carabinieri, che spesso subivano violenti attacchi.
La sua bella e appassionante storia finì all’improvviso. I carabinieri, ormai sulle sue tracce, lo pedinavano in continuazione e aspettavano un suo passo falso. In una mattina del giugno 1863, Cosimo con i suoi compagni si mosse dal bosco delle Pianelle, in una località chiamata “Tavola del brigante”, dove la banda aveva il suo quartier generale, per compiere razzie in una zona del Materano. I suoi movimenti, però, furono intercettati prima dal capitano Francesco Allisio, al comando di uno squadrone di cavalleggeri del reggimento Saluzzo, e poi dalla Guardia Nazionale di Taranto. I banditi, braccati per alcuni giorni, trovarono rifugio nella masseria Belmonte, ma furono quasi tutti uccisi. Cosimo riuscì a mettersi in salvo con alcuni fedeli compagni. Ormai, però, il cerchio gli si stava stringendo intorno. Sei mesi dopo fu segnalata la sua presenza nella masseria Ruggiruddo, in agro di Crispiano. Intervenne un folto contingente di carabinieri. Cosimo si nascose in una canna fumaria, ma fu scoperto e consegnato alla Corte marziale di Potenza, che lo condannò a morte. Il 28 novembre 1864, Pizzichicchio, il brigante leggendario, fu fucilato alle spalle, come si faceva con i traditori. Prima della fucilazione, l’uomo chiese ed ottenne di indossare la giacca a doppio petto, la camicia bianca, i pantaloni di velluto e il suo inseparabile copricapo.
A questo “nobile” brigante, a questo “piccolo grande” uomo Arbëresh, che tanto amò e difese la sua terra e che combatté strenuamente ogni prepotenza e sopruso degli uomini, mi sento in dovere di rivolgergli un sentito pensiero di ringraziamento.
Nel 1909 Grameno fondò a Korçë la Lega Ortodossa o Alleanza Ortodossa (Lidhja Ortodokse) e lavorò come redattore in un suo periodico con lo stesso nome tra il 1909-1910.
Nel 1910 l'organizzazione ha proclamato l'istituzione di una Chiesa Ortodossa albanese indipendente, ma non venne mai riconosciuta da parte dell'Impero Ottomano.
Nel 1920 ha svolto la sua attività giornalistica e letteraria fino a quando la dittatura del Zog lo costrinse a ritirarsi dalla vita pubblica. Rassegnato e gravemente malato è morto il 5 febbraio 1931 nella sua amata Korçë.
La Chiesa di Santa Sotira si trova a sud-est del villaggio di Vuno, sul lato della strada che porta alla baia di Jal.
La chiesa porta con sé un importante valore storico, poiché nel maggio 1907 Mihal Grameno e altri membri della banda Çerçiz Topulli diffusero la lingua albanese attraverso i libri di testo, utilizzando la chiesa di Santa Sotira come rifugio. Per questo motivo la chiesa è conservata come monumento dall'importante valore storico.
Si tratta di una chiesa semplice che misura 4,4×9,5 m, con la navata separata dall'altare da una semplice iconostasi muraria, dotata di due ingressi. All'interno dell'abside e nella nicchia accanto ad essa si conservano le uniche tracce dell'affresco che un tempo decorava le pareti interne della chiesa.
"Mentre gli Schypetar 🦅, a loro estranei nella lingua, risorgono sui resti della Grecia, che sembrano destinati a coprire con una popolazione superiore in energia ai Greci, che scompaiono e si estinguono in dettaglio.
Questo vigore, che ha origine nella barbarie, era indubbiamente necessario agli albanesi, liberati non sappiamo come dagli scito-slavi, per resistere ai nuovi barbari emergenti dall'Oriente, destinati a cambiare il volto dell'impero, e quasi, quella del mondo intero, quando i Turchi, discendenti dal Caucaso, padroni dell'Asia Minore e della Tracia, si precipitarono sulla Grecia, che trovarono divisa dallo scisma. Bajazet, vincitore degli Albanesi, comandò loro, in verità, di abbracciare la religione del profeta; ma se gli abitanti della pianura obbedirono, i Mirditi, irremovibili, resistettero alla tempesta e rimasero fedeli all'unità della Chiesa. Gli albanesi Ortodossi che riuscirono a raggiungere le montagne, si ritirarono verso i cantoni di Chimera, Souli, Parga; e quelli che le rocce non potevano difendere passarono nel Peloponneso. Ma presto vessati e inseguiti dai Turchi, alcuni raggiunsero il monte Geranio, altri dovettero cercare asilo nelle isole di Idra, Spezzia, Poros e Salamina, dove ora vediamo le loro fiorenti colonie."
(François Pouqueville)
Dipinto: "L'imbarco dei Parganioti albanesi", di Alphonse Apollodore Callet 1827
Perché il regista Mel Gibson inserisce la parola Albanese 🇦🇱 "Zhduki" (Sparisci!!!) nel suo film?
Ne "La Passione di Cristo", registrato a Matera (Italia), per ricreare maggior realismo, il film è stato interamente girato in latino, in ebraico e in aramaico, le lingue del tempo, e sottotitolato nelle lingue moderne. Queste erano le principali lingue parlate, insieme a moltissimi dialetti di altri popoli, al quale vi apparteneva anche l'idioma Albanese. Tra questi vi erano i Pelishtin e gli Hittiti che parlavano una lingua semitico-accadica da cui proviene la base dell'odierno idioma Albanese e Arbëresh. Nel film la parola viene pronunciata da un soldato Filisteo (Pelishtin o Philashtin) contro Maria Maddalena intimandole di stare zitta e andarsene di lì, letteralmente di sparire (Zhduki!!!➡️Sparisci!!!). Questo prova quanto fosse antico questo idioma e soprattutto che non si tratta di una lingua indo-europea ma piuttosto Afro-Asiatica.
"La lingua indo-germanica o indo-europea non esiste! Esistono solo inizialmente le lingue della sponda Sud (afro-asiatiche n.d.r.), da cui tutto si sviluppò" (Prof. Dedola, linguista)
I fratelli Kostandin Zografi e Athanas Zografi 🎨 furono pittori albanesi del XVIII secolo originari di Dardhë 🍐, nel distretto di Korçë, nel sud dell'Albania 🇦🇱. Sono considerati i pittori più importanti dell'arte iconografica post-bizantina albanese del XVIII secolo e in generale della regione dell'Epiro. Insieme a David Selenicasi, Kostandin Shpataraku, Terpo Zografi, Efthim Zografi, Gjon Çetiri, Naum Çetiri, Gjergj Çetiri, Nikolla Çetiri e Ndin Çetiri rappresentano la Scuola di pittura di Korçë.
I fratelli Zografi 🎨 hanno decorato con i loro dipinti diverse chiese e monasteri Ortodossi in tutta l'Albania moderna centrale e meridionale, così come sul Monte Athos (Grecia). In particolare, i loro dipinti e affreschi a Moscopole, soprattutto nella chiesa di Sant'Atanasio (in albanese: Kisha e Shën Thanasit) e nel monastero dei Santi Cosma e Damiano a Vithkuq sono di valore unico. Erano attivi nel periodo 1736-1783 e solitamente firmavano le loro opere in greco "Per mano di Konstantinos e Athanasios di Korytsa (Korçë)" (greco: Δια χειρός Κωνσταντίνου και Αθανασίου απ ό Κορυτσά). Hanno firmato le loro opere non solo usando il loro nome, ma anche la parola Shqiptar 🇦🇱 (italiano: albanese), che è l'endonimo che gli albanesi usano per se stessi. Il loro cognome, Zografi, significa "pittore" 🎨 in greco.
L'opera dei fratelli Zografi presenta una spiccata tendenza al barocco, con raffigurazioni lineari delle figure religiose, e allo stesso tempo adottando uno stile ornamentale utilizzando un'ampia varietà di colori bruni e vivaci. I colori principali utilizzati nelle loro opere erano il bianco, il blu brillante e il rosso scuro.
I fratelli Zografi insieme a David Selenicasi continuarono la tradizione dell'arte paleologa che fu ripresa sul Monte Athos nel XVIII secolo.
Il fascino romantico che si nascondeva dietro le visioni del passato era fortemente turbato dall'esperienza vissuta dai viaggiatori non appena arrivavano ad Atene: a parte le rovine dell'acropoli e le greggi di pecore che pascolavano pacificamente, tutto somigliava a un villaggio Albanese.
Basti pensare alla parte antica della città di Atene.... essa si chiama Plaka, che in albanese significa La Vecchia, L'Antica; ed è la parte più antica di Atene il luogo dove vivevano e vivono tuttora gli antichi Ateniesi prima dell'ellenizzazione, un quartiere interamente abitato fin dall'antichità da Albanesi. Se andate lì vedrete che parlano Albanese ed erano lì prima degli Elleni, quindi gli Albanesi erano gli antichi Ateniesi. Gli Elleni sono solo una tribù divisa dagli auTokToni che già erano lì, cioè gli Arvaniti di oggi. La stessa cosa vale per gli albanesi di oggi, perché gli Epiroti albanesi esistevano prima degli Elleni. La nazionalità odierna è diversa dall'etnia originaria.
Questa è l’ampia testimonianza dello storico tedesco Jakob Philipp Fallmerayer (1790-1861). Carriera accademica sviluppata negli ambienti scolastici bavaresi, si affermerà in Europa per la sua conoscenza enciclopedica della storia della Grecia medievale.
La sua opera monumentale "Storia della Morea nel Medioevo", pubblicata a Stoccarda pochi anni dopo la creazione del moderno stato Grecia, suscitò indignazione in tutti gli ambienti filoellenici d'Europa.
La rivoluzione "greca" in realtà fu una rivoluzione Albanese e in seguito i "Greci" hanno perseguitato la lingua Arvanitika cioè Albanese e ancora oggi non ė riconosciuta come minoranza linguistica (che prima era la maggioranza) come accade in Italia con gli Arbëresh, ma sempre più ogni anno viene cancellata dal ricordo.
Al centro del pensiero di Fallmerayer c'era l'idea che i greci del suo tempo non erano altro che discendenti di Albanesi ellenizzati. In altre parole, secondo lui, non esisteva alcuna continuità genetica tra la vecchia e la nuova Grecia.
L'opera dello storico tirolese contiene storie interessanti sull'insediamento dei primi gruppi albanesi nella Grecia bizantina, le sue conseguenze e altri aspetti interessanti.
Atene, ai tempi di Fallmerajer, era tutta Albanese.
"Oggi Atene, la capitale del nuovo regno, è più albanese di quanto lo fosse durante la rivolta, perché dopo la cacciata degli odiati ottomani, la popolazione albanese abbandonò i villaggi e si stabilì nelle città.
Lì si è dovuto istituire un tribunale speciale in lingua Albanese per amministrare la giustizia nei confronti dei cittadini non greci di Atene", scrive Fallmerayer.
DEREK 🔯🔥
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