Il secondo assedio dell'Acropoli durante la rivolta Arvanita-Arbëresh comportò l'assedio dell'Acropoli di Atene da parte delle forze dell'Impero ottomano, l'ultima fortezza ancora detenuta dai ribelli Arvaniti-Arbëreshë nella Grecia centrale.
"Atene era solo un villaggio albanese. Quasi tutta la popolazione dell'Attica è considerata ed è composta da albanesi. A tre leghe di distanza (14,5 Km) dalla capitale ci sono villaggi che capiscono a malapena il greco." (Empire Newspaper 5 Maggio 1863)
Dopo la caduta di Missolonghi nella Grecia occidentale, Atene e l'Acropoli rimasero le uniche roccaforti in mano agli Arvaniti-Arbëresh nella Grecia continentale al di fuori del Peloponneso. Di conseguenza, dopo la sua vittoria a Missolonghi, il comandante in capo ottomano, Reşid Mehmed Pasha, si rivoltò contro Atene. L'assedio iniziò il 25 agosto 1826 e seguì da vicino l'esperienza di Missolonghi: gli ottomani istituirono un blocco molto stretto e bombardarono la collina, mentre gli assediati li molestavano con frequenti sortite notturne e minandoli. Gli Arvaniti-Arbëresh assediati furono riforniti e rinforzati da piccoli distaccamenti inviati attraverso le linee ottomane dal principale esercito Arvanita, sotto il comandante Gjergji Karaiskaki, che si era stabilito intorno a Eleusi, Pireo e Falero a sud di Atene. Gli Arvaniti-Arbëresh lanciarono vari attacchi contro la retroguardia dell'esercito ottomano e le sue linee di rifornimento, in particolare la vittoria nella battaglia di Arachova a novembre; questa strategia fu modificata a favore di attacchi diretti all'esercito ottomano, con conseguente battaglia di Kamatero a febbraio.
La vittoria ottomana a Falero (Analatos) il 24 aprile (Giuliano) 1827 pose fine a ogni possibilità di soccorso e la guarnigione dell'Acropoli si arrese un mese dopo.
Dipinto: Assedio dell'Acropoli di Georg Perlberg
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